giovedì 25 agosto 2016

“La soffiatrice di vetro” Theresa Révay

LA SOFFIATRICE DI VETRO
di Theresa Révay
SONZOGNO
“Livia Grandi ou Le souffle du destin” è il romanzo di esordio sulla scena italiana di Theresa Révay, autrice della quale nei mesi precedenti vi avevo già proposto due splendidi romanzi “Le luci bianche di Parigi” e “L’altra riva del Bosforo”.

Siamo nel 1945 e la guerra è appena terminata. Livia Grandi appartiene ad una importante famiglia di vetrai di Murano.
Livia ha il vetro e il fuoco nel sangue, dovrebbe essere lei l’erede naturale della famiglia, ma in quanto donna alla morte del nonno, il famoso Alvise Grandi, vede infrangersi il suo grande sogno, obbligata a lasciare il controllo delle vetrerie al fratello che, contrariamente a lei, non ha mai avuto la passione per il vetro e che da quando è tornato dal fronte non è più lo stesso.

Flavio Grandi ha 26 anni all’apparenza è un uomo taciturno, arrogante, invidioso e irascibile, ma tutto è una facciata, nella realtà il fratello di Livia è un uomo insicuro e fragile che non riesce a dimenticare gli orrori vissuti durante il conflitto.

In realtà il titolo del libro è fuorviante: è vero che Livia Grandi è la protagonista del libro, ma non è la sola. La sua storia è piuttosto il filo che lega le storie di tutti gli altri personaggi, anch’essi protagonisti, del romanzo.

Si potrebbe quasi affermare che l’unica e vera protagonista del libro sia l’arte millenaria di lavorare il vetro, possa essere quest’arte riconosciuta nelle vetrate della Lorena, nei vetri di Murano o nei cristalli della Boemia.

Un’altra figura di donna emerge tra le pagine del romanzo di Theresa Révay ed è quella di Hannah Wolf.
Hannah ha subito uno stupro di gruppo a seguito del quale ha dato alla luce una bambina, come gli altri sudeti è stata deportata e ha dovuto lasciare tutto ciò che possedeva, iniziare una nuova vita in un campo profughi, lei ragazza di buona famiglia cresciuta nel rispetto dei valori borghesi, si è dovuta adattare a vivere in un modo completamente a lei estraneo.

Hanna però è una donna forte e, nonostante le difficoltà, riesce a ritrovare se stessa e a conquistare il suo angolo di mondo.

La guerra ha travolto tutto e tutti, ma soprattutto le donne che sono dovute crescere in  fretta, loro che erano abituate a vivere protette tra le mura domestiche da mariti, padri, fratelli.
Gli uomini invece, che le avevano lasciate ragazzine timide e indifese, al loro ritorno non comprendono come la guerra le possa avere tanto indurite e rafforzate, loro che invece la guerra ha reso insicuri e sfiduciati.

Tre donne e i loro fratelli: Elise e François, Hannah e Andreas, Livia e Flavio. Ognuno a modo suo deve ritrovare il proprio equilibro, riappropriarsi della propria vita, elaborare il lutto e superare il trauma.

Quello che ogni volta mi stupisce di questa autrice è la sua magistrale capacità di creare personaggi reali, carichi di passione e di riuscirne ad indagarne perfettamente la psicologia facendoli crescere e mutare man mano che la storia procede.
Non sempre le scelte dei protagonisti incontrano il favore del lettore, ma proprio per questo riescono a risultare più vivi e reali, con le loro debolezze, i loro ripensamenti, i loro dubbi e le loro paure che danno ancora più forza al valore delle loro conquiste.

Theresa Révay ha eseguito inoltre come sempre un lavoro preciso e puntuale di ricerca così che la sua storia risulti completamente convincente ed i suoi personaggi siano  perfettamente inquadrati nella realtà dell’epoca.

“La soffiatrice di vetro” è un libro emozionante e coinvolgente come tutti i romanzi dell’autrice francese e per chi come me è appassionata delle sue storie, non resta che sperare che qualche casa editrice italiana decida di pubblicare presto anche le altre sue opere.





domenica 21 agosto 2016

“Terra perduta” Ann Moore

TERRA PERDUTA
di Ann Moore
SUPERBEAT

Primo romanzo di una trilogia dedicata all’Irlanda moderna e alla diaspora dei suoi abitanti, “Terra perduta” è un romanzo che parla di amore, rivolta, libertà ed oppressione.

Ann Moore sceglie gli anni Quaranta del XIX secolo come punto di partenza del suo racconto.
Alla vigilia di una lunga carestia che metterà in ginocchio l’intero paese, la popolazione irlandese ridotta allo stremo delle proprie forze dalla fame, dal tifo e dalla vessatoria politica inglese, nonostante l’amore per la propria terrà sarà costretta, suo malgrado, a lasciare il proprio paese nel tentativo di sopravvivere.

Protagonista di questo primo romanzo è Grace O’Malley, tipica bellezza irlandese dagli occhi blu e dai capelli di un rosso scurissimo, ereditati dalla madre.

La famiglia O’Malley un tempo era padrona di una vastissima tenuta nell’Irlanda del Nord, poi ai tempi di Giacomo II, ultimo sovrano cattolico in Inghilterra cadde in disgrazia e fu ridotta in povertà.

Come tutti coloro che erano appartenuti ad antiche famiglie cattoliche, ora anche gli O’Malley sono semplici affittuari di un appezzamento di terra di proprietà inglese.
La terra coltivata, per lo più a patate, dalla famiglia di Patrick O’Malley è di proprietà dei Donnelly.

In un momento tanto difficile per la sopravvivenza della famiglia, la salvezza assume le sembianze di Bram Donnelly, secondogenito di Lord Donnelly.

Squire Donnelly è stato “esiliato” dal padre nella contea di Cork a causa delle sue continue e inopportune scappatelle a Londra, già due volte vedovo nonostante abbia solo una trentina di anni, si invaghisce ad una festa della giovanissima Grace O’Malley e decide di farne la sua terza moglie.

Nonostante Grace sia segretamente innamorata, e a sua insaputa corrisposta, di un amico di infanzia, il giovane Morgan McDonagh, accetta di sposare lo squire inglese per il bene della propria famiglia.
Il matrimonio dopo un primo periodo in cui sembra poter funzionare, si rivela invece un totale fallimento.
Bram Donnelly confermerà ben presto la sua fama di uomo violento e collerico mentre l’orgoglio irlandese di Grace, oltre all’amore per la propria famiglia e per la propria terra, si scontrerà ben presto con l’arroganza e la superbia del marito che non perde occasione per calpestare la vita, indegna ai suoi occhi, degli irlandesi.

“Terra perduta” è un’opera di grande narrativa, una prosa perfetta, un romanzo che conquista.
Forse un po’ faticosa la lettura delle prime pagine, ma una volta entrati nel pieno della storia la lettura diventa scorrevole e si è completamente conquistati dalla narrazione e dai suoi affascinanti personaggi.

Grace O’Malley è indubbiamente l’eroina del romanzo che con la sua forza, la sua grazia, la sua tenacia e la sua bontà, riesce a sconfiggere la miseria, la vigliaccheria e la cattiveria del marito Bram Donnelly.
Ogni personaggio fa rivivere attraverso la propria storia quell’antico mondo irlandese popolato di fate e folletti, il mondo di un popolo orgoglioso del suo passato, della sua terra e delle sue origini. Un mondo intriso di magia tenuto in vita dalle ballate e dai canti della sua gente.

Patrick O’Malley vive per i suoi figli e la sua terra, così come Nonna, altro ben riuscito personaggio, che con la sua esperienza riesce a tenere unita la famiglia, lei che tutto vede e sa grazie all’antica saggezza.

I due personaggi maschili a cui Grace è oltremodo legata sono il fratello Sean e l’amico Morgan.

Sean nonostante i problemi fisici a seguito dell’incidente nel quale aveva perso la vita la madre e il cui racconto apre il romanzo, è dotato di una grande forza interiore, è intelligente e scaltro.
Morgan invece è forte, protettivo e coraggioso; devoto a Sean, è innamorato da sempre di Grace.

Quello descritto da Ann Moore è un mondo ancestrale, un mondo dove tutti si conoscono e si danno una mano, un mondo che rappresenta ormai la fine di un’epoca per un popolo, quello irlandese, fiero delle proprie tradizioni, disposto a sacrificare la vita per la propria terra e per tutti gli irlandesi.

Credo che Cathy Cash Spellman parlando di questo libro sul New York Times abbia colto in pieno lo spirito del romanzo: Se amate il suono gioioso delle risate irlandesi e il fiume di lacrime da cui spesso sgorga, Terra perduta vi colpirà dritto al cuore.




martedì 2 agosto 2016

“Amy Snow” di Tracy Rees

AMY SNOW
di Tracy Rees
NERI POZZA
Gennaio 1831. Aurelia Vennaway, figlia unica di Lord Charles e Lady Celestina Vennaway, una delle famiglie più in vista della contea dello Hertfordshire, trova ai margini della foresta una neonata abbandonata nella neve.

Nonostante i genitori si oppongano con fermezza alla decisione della figlia di fare crescere la neonata ad Hatville Court, Aurelia con la sua caparbietà riesce ad ottenere il permesso dei genitori.
La bimba decide di chiamare la trovatella Amy Snow: Amy come la sua bambola preferita e Snow ovviamente perché ritrovata nella neve.

La madre di Aurelia cerca in tutti i modi di tenere Amy distante dalla figlia, ma senza risultato, in quanto niente e nessuno sembra essere abbastanza forte da riuscire a tenere le bambine lontana l’una dall’altra evitando che crescano insieme come due inseparabili sorelle.

La storia del romanzo inizia nel gennaio 1848. Amy è prossima a lasciare Hatville Court dopo la prematura morte di Aurelia, avvenuta alla giovane età di soli 25 anni, a seguito di una malattia cardiaca.

Aurelia ha lasciato ad Amy una somma di appena 100 sterline o almeno ciò è quello che tutti credono alla lettura del testamento, ma la giovane ha lasciato molto di più all’amica del cuore.

Per entrare in possesso della cospicua eredità e conoscere i segreti di Aurelia, Amy Snow però dovrà lasciare quella casa a lei ostile, ma pur sempre l’unica che abbia mai conosciuto, ed addentrarsi nel vasto mondo a lei ignoto.
Come unica guida avrà le lettere che l’amica le ha lasciato e che la condurranno lungo un difficile ed impegnativo cammino, scandito dalle tappe della caccia al tesoro che, per un’ultima volta, l’amica ha predisposto per lei, così come era solita fare quando era bambina.

Il viaggio di Amy Snow inizia a Londra e da lì la ragazza raggiungerà diverse città dell’Inghilterra in ognuna delle quali farà la conoscenza di persone di ogni tipo.
Aurelia ha messo in guardia Amy sul fatto di dover stare molto attenta a non farsi rintracciare dai suoi genitori onde evitare di dover restituire il cospicuo lascito.
E se all’inizio la paura di essere scoperta sarà legata al timore di dover difendere l’eredità dalle mani dei vendicativi Vennaway, ben presto Amy comprenderà che in gioco c’è molto di più di questo perché l’amica le ha celato un grande segreto che solo ora, dopo la sua morte, intende rivelarle.

Tracy Rees riesce a coinvolgere il lettore fin dalle prime pagine. La storia è avvincente ed i personaggi sono affascinanti.

Attraverso le pagine di questo libro rinasce il romanzo vittoriano.
Numerosi sono gli accenni a Charles Dickens, tra l’altro autore preferito dalle eroine del libro, che influenza non solo le aspettative di Amy sulla città di Londra, ma si ritrova nelle atmosfere, nei diversi personaggi e persino nella descrizione delle case.

“Amy Snow” ha però molto in comune anche con i romanzi austeniani: i due protagonisti maschili Garland e Henry potrebbero benissimo essere usciti dalla penna di Jane Austen così come le descrizioni caustiche e sferzanti dell’alta società inglese dell’epoca.

L’affresco storico che ne risulta è perfetto, l’autrice si è ben documentata e traspare in ogni riga quanto questo periodo sia da lei amato; ritroviamo nel romanzo della Rees tutti i temi cari al romanzo vittoriano: la ferrovia, i riferimenti all’industrializzazione del nord, la società di Bath, la filantropia...solo per citarne alcuni.

Ogni personaggio meriterebbe una menzione particolare, ma non essendo questo possibile, lascio al lettore il piacere di scoprire la bella galleria che l’autrice è riuscita a regalarci.

Mi concentrerò solo sui quattro personaggi principali: Amy, la vera protagonista, Aurelia la cooprotagonista la cui storia viene raccontata attraverso le lettere inviate all’amica nonché dalla voce del ricordo dell’amica stessa, il signor Garland e Henry Mead.

Aurelia ed Amy sono due donne molto forti e coraggiose, più scapestrata ed appassionata la prima, più riflessiva e attenta la seconda.
Amy è cresciuta all’ombra di Aurelia e quando deve prendere in mano la sua vita e affrontare il mondo a lei sconosciuto ha indubbiamente paura, ma è anche abbastanza forte nella sua insicurezza per tirare fuori la grinta e le capacità necessarie per superare ogni ostacolo.

Il romanzo della Rees può essere definito un romanzo di formazione proprio come quelli dickensiani in cui l’eroe/l’eroina nel suo percorso crescono e raggiungono la piena maturità.

I due uomini inducono non poco in difficoltà il lettore.

Il signor Garland è educato, raffinato ed elegante. Uno che ha l’aria che neppure il vento potrebbe spettinare e i cui abiti nemmeno la volontà divina sarebbe in grado di stazzonare.

Anche il signor Henry Mead è affascinante seppur in maniera diversa. È cordiale, franco e allegro. Sta cerando di trovare la sua strada e, come ogni giovane, è assediato dalle incertezze e dalle delusioni dei mortali.

Chi dei due però è colui che davvero non nasconde inganni? E se entrambi non fossero ciò che sembrano? Le domande assillano il lettore fino alle pagine conclusive del romanzo.

Ciò che incanta più di ogni altra cosa in questo libro è che nulla può essere dato per scontato, e se vero che forse ad un certo punto si intuisce quale sia il segreto di Aurelia, fino all’ultimo non si ha mai alcuna certezza sui reali sentimenti e intenzioni dei due pretendenti di Amy.

“Amy Snow” è un romanzo assolutamente da leggere consigliato a tutti gli appassionati del romanzo vittoriano e ai lettori che hanno ormai consumato le pagine dei libri di Jane Austen in loro possesso, agli amanti del romanzo storico, agli appassionati della vecchia Inghilterra…

Un romanzo da leggere tutto d’un fiato che ci riporta indietro nel tempo e che ha la capacità di farci sognare come solo i grandi classici hanno saputo fare.







mercoledì 27 luglio 2016

“Il mondo dell’altrove” di Sabrina Biancu

IL MONDO DELL’ALTROVE
di Sabrina Biancu
DEL BUCCHIA
“Il mondo dell’altrove” è una raccolta i cinque brevi racconti che trasportano il lettore in un mondo fantastico, un luogo magico.

Il prologo ci rimanda subito ad un grande capolavoro della letteratura per ragazzi ovvero “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry e, proprio come questo splendido libro, i racconti di Sabrina Biancu affrontano importanti tematiche quali il senso della vita ed il valore dell’amore e dell’amicizia.

Sin dalle prime pagine, l’autrice pone al lettore l’eterno ed annoso quesito sul perché mai diventare adulti dovrebbe significare per forza perdere la capacità di sognare.
Sabrina Biancu risponde alla domanda attraverso le storie di Elia, di Rosy, di Tea, di Desideria e di Irina la stellina.

Cinque magici racconti che accompagnano il lettore adulto in un viaggio fantastico alla riscoperta di sé stesso e dei valori veri della vita ed allo stesso tempo affiancano il lettore adolescente aiutandolo a crescere e a maturare.
“Il mondo dell’altrove” potrebbe essere quindi definito “il libro per tutte le stagioni”.

Questi i titoli dei cinque racconti:

-       Il ristorante della speranza
-       Rosy e l’anatroccolo
-       La rosa bianca
-       Lo spirito della fonte
-       La piccola stellina

Non scrivo nulla della trama perché trattandosi di racconti molto brevi rovinerei il piacere della lettura anticipando inevitabilmente parti significative che è giusto che il lettore scopra da solo.

Ho pensato però che potrebbe essere interessante proporvi una piccola intervista all’autrice, che devo ringraziare per aver accettato di essere ospite sul mio blog.
Chi meglio di lei infatti potrebbe presentare la sua opera?

Sabrina Biancu, classe 1981, è nata ad Oristano e vive a Baressa. Frequenta il corso di laurea in Scienze dell’educazione e della formazione. Ama i bambini, gli animali ed i libri.
Al suo attivo ha una raccolta di racconti dal titolo “Luce azzurra” (2009).


Il titolo “Il mondo dell’altrove” richiama alla mente la favola di Fantaghirò, così come il nome Desideria, protagonista del quarto racconto ricorda un’altra celebre serie TV. Quanto ti hanno ispirato questi racconti? Ci sono storie particolari che ti hanno ispirata?

Questa domanda mi riporta alla mente bellissimi ricordi, quando da ragazzina aspettavo il natale per vedere queste belle favole dove mi è sempre piaciuto rifugiarmi.
Sono sempre stata un’inguaribile sognatrice che ha usato la fantasia, anche perché ho vissuto dei momenti di solitudine a scuola, alle elementari e medie, perciò tenere viva la mente mi ha aiutato a non cadere nello sconforto.
Fantaghirò non ha influito in questi racconti, ma la quarta storia in piccola parte è stata influenzata da Sorellina e il principe del sogno, mi piaceva l’idea che una fonte magica potesse aiutare dei giovani innamorati, quindi la ricorda solo per questo.
Il resto è interamente frutto della mia fantasia, anche se posso dire che le letture e i film dell’infanzia ispirano molto i miei racconti, perché in buona parte non voglio crescere, e non voglio dimenticare di tenere accesa la creatività nonostante i miei 34 anni.

Nel primo racconto “Il ristorante della speranza” scrivi: “Attiri a te ciò che ti serve e l’universo di ascolta”. Credi alla legge dell’attrazione? Quanto secondo te il nostro atteggiamento influisce su ciò che ci succede?

Sei l’unica, o una delle poche che ha notato il chiaro riferimento alla legge dell’attrazione. Sì, credo ciecamente alla legge dell’attrazione, l’ho scoperta per caso e ho provato subito a metterla in pratica e devo dire che ha funzionato, perciò tutt’oggi continuo a usarla.
Se devo essere sincera la sto usando anche per la mia carriera da scrittrice e mi sta aiutando, non solo, la metto in pratica anche per aiutare gli altri e sono felicissima dei risultati, unita all’amore e alla gratitudine è una forza potente.
Se tutti provassero a usarla sono convinta che vivrebbero più felici.

Nei tuoi racconti si parla molto del difficile rapporto genitori-figli: il padre di Nico che vuole imporre le proprie scelte al figlio, il padre di Pietro che al contrario cerca di non imporre regole, ma cerca invece il dialogo, i genitori di Rosy in crisi davanti ai continui capricci della figlia. Quanto è difficile essere genitori oggi?

Questo è un argomento che mi sta molto a cuore. Io lavoro con i bambini, faccio l’animatrice e spesso mi sono ritrovata a chiedere cosa sia cambiato oggi rispetto a quando io ero bambina, e mi sono ritrovata a fare un confronto.
Io provengo da una situazione in cui mio padre era allevatore e mia madre casalinga con quattro figli a carico, quindi non semplice, dove spesso non avevo tutto quello che volevo perché non potevano permetterselo, nonostante ciò sono stata una bambina felice e col senno di poi sono contenta di come sono stata cresciuta anche perché non mi mancava niente.
Oggi invece vedo che il consumismo è maggiore rispetto alle reali esigenze, e credo che sia più difficile fare i genitori cercando di essere all’altezza dei tempi, con bambini che vogliono avere le scarpe di marca e l’ultimo telefonino perché lo hanno tutti altrimenti vengono scartati dai loro coetanei. Forse qualche no in più non farebbe male, in fondo le nuove generazioni dovranno prima o poi imparare a cavarsela con i loro mezzi.

I tuoi racconti parlano di sentimenti: amore, amicizia, solidarietà…. Parlano dell’importanza di essere sempre se stessi e della necessità di tenere a distanza le persone che vogliono solo manipolarci. Insegnano l’importanza della bellezza interiore che troppo spesso viene messa in ombra da quella esteriore…

Ho scritto questo libro pensando alle mie esperienze passate, e volendo comunicare un messaggio. A volte si è talmente occupati a vedere le cose con gli occhi che non si ascolta più con il cuore; sembra che l’esteriorità abbia preso il posto dell'interiorità, eppure spesso chi non si espone è chi ha più bisogno.
Con il mio libro ho voluto dare voce a chi non viene ascoltato, ci tenevo a sottolineare che se diamo una possibilità a ciascuno di dire la sua, può darci più di quanto ci potremmo immaginare.
  
Il tuo libro può sembrare in primo momento un libro dedicato agli adolescenti, può essere sotto questo aspetto considerato uno strumento per aiutarli a crescere, a maturare. Ma leggendo i racconti ci si rende conto, quasi immediatamente, che questi possono tranquillamente essere un valido aiuto anche per gli adulti che si sono persi e devono ritrovare la capacità di sognare e credere…

Bella parola credere, credere per vedere e non il contrario. Aiuta a sperare in un futuro possibile e non smettere di sognare, e se la fiducia è tanta rimarremo soddisfatti di ciò che vorremmo si realizzasse.
Sì, ci hai preso in pieno, questo libro è dedicato agli adulti che si sono persi, che hanno perso la capacità di sognare, perché pensano che diventare grandi non implica lasciarsi andare a queste cose.
Ma i sogni sono fondamentali, chi smette di farlo si perde e si lascia travolgere dagli eventi, pensando di non avere controllo sulla propria vita, invece è il contrario.
I sognatori sono persone felici, che vivono appieno ogni momento e sanno che il futuro gli riserverà qualcosa di bello, perché se lo creeranno esattamente come lo hanno sempre immaginato.

Grazie di cuore Sabrina e in bocca al lupo per la tua carriera!





martedì 12 luglio 2016

“Borderlife” di Dorit Rabinyan

BORDERLIFE
di Dorit Rabinyan
LONGANESI
Liat e Hilmi si incontrano all’ombra dei grattacieli di New York.

Liat,  29 anni, una laurea in letteratura inglese e glottologia, resterà negli Stati Uniti per sei mesi grazie ad una borsa di studio.

Hilmi ha 27 anni, è un artista, per la precisione un pittore e vive a New York già da quattro anni.
Nei suoi dipinti c’è sempre un bimbo che dorme e sogna il mare.

Tra loro scocca immediatamente la fatidica scintilla, il loro è amore a prima vista, un amore travolgente e passionale.

Non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che Liam Benyamini è israeliana e vive a Tel Aviv mentre Hilmi Nasser è un ragazzo palestinese di Ramallah.

Appartengono a due popoli diversi, due popoli in perenne conflitto e proprio per questo, nonostante l’attrazione fortissima, nonostante le numerose cose in comune, la musica, il cinema, la nostalgia di casa, del caldo e del sole, il loro amore è destinato ad essere semplicemente un amore a tempo, un amore segreto e provvisorio.

Il tempo scorre inesorabile: 20 maggio 2003, la data scritta sul biglietto di ritorno di Liat, è inevitabilmente la data che decreterà la fine del sogno, il capolinea di una storia d’amore impossibile.

Dorit Rabinyan, l’autrice del libro, è nata vicino a Tel Aviv in una famiglia di ebrei emigrati dall’Iran così come la protagonista del libro.

“Borderlife” è un bestseller, un romanzo che è volato in testa alle classifiche ed è conteso dagli editori stranieri per i diritti di pubblicazione.
Uscito nel 2014 è stato bandito dalle letture liceali dello stato di Israele, ritenuto pericoloso, in quanto la sua lettura avrebbe potuto influenzare gli adolescenti spingendoli a contrarre matrimoni con non ebrei.

“Borderlife” viene definito da tutti come una grande storia d’amore.
Amos Oz la definisce “una magnifica storia d’amore che la tragedia di due popoli non riesce a sopraffare”.
La critica è  uniformemente concorde con questa descrizione.

La storia di Liat e Hilmi è indubbiamente una storia appassionante e romantica, non sarò di certo io a negare l’evidenza dei fatti, pur tuttavia la diffidenza ed il pregiudizio, la paura e l’incertezza di Liat mi hanno fatto dubitare più di una volta sulla profondità dei suoi sentimenti nei confronti di Hilmi.

Hilmi sembra non vacillare mai, è come se lui al di là delle difficoltà, delle differenze avesse la certezza che l’amore trionferà sempre. Hilmi è un sognatore, un idealista.

Liat invece è sicura sin dall’inizio che la storia terminerà il giorno stesso in cui salirà su quell’aereo che la riporterà a casa, dalla sua famiglia, da quei genitori che sarebbero distrutti dal dolore se sapessero del suo amore per un ragazzo palestinese.
Liat vive costantemente nell’ansia di incontrare per la strada qualcuno che la riconosca, in fin dei conti lei per prima sembra vergognarsi del “suo amore arabo segreto”.
Liat è molto attratta fisicamente da Hilmi, ma la paura di deludere amici e parenti, la diffidenza ed il pregiudizio non le permettono di vivere pienamente i suoi sentimenti per lui.

E allora viene spontaneo chiedersi, l’amore che Liat prova per Hilmi, pur con tutte le attenuanti del caso, può davvero essere considerato un grande amore? Non dovrebbe l’amore con la “A” maiuscola riuscire a guardare oltre, non vedere gli ostacoli o quanto meno cercare di superarli?
Hilmi non ha paura di presentarla alla famiglia, di parlare di lei ad amici e parenti; di prendersi cura di lei durante la malattia. Possiamo dire altrettanto di Liat?

E’ vero, Hilmi e Liat sono due persone molto diverse, non solo perché appartengono a due popoli in conflitto tra loro: lei è precisa e perbenista, lui il tipico bohemien.
Questo loro diverso modo di affrontare la vita, lo riscontriamo anche nel loro approccio alla questione palestinese: lui illuminato e universalista, amante della pace; lei pragmatica e interessata solo ai dettagli pratici.
Sembra quasi che le differenze caratteriali pesino su di loro quanto, se non di più, delle loro differenze culturali e di nascita.

Tutto ciò non toglie nulla alla storia d’amore dei due giovani, ma anzi aiuta a far riflettere su quanto la nostra cultura, l’appartenenza ad una etnia piuttosto che ad un’altra, influenzi radicalmente e profondamente il nostro modo di approcciare la vita.

La storia tra Liat e Hilmi è nata perché entrambi si trovavano a New York, lontano da casa; eppure ho avuto la netta sensazione che forse Hilmi, se avesse avuto l’occasione, avrebbe avuto il coraggio di vivere questa storia d’amore anche se avesse incontrato Liat a Tel Aviv, non altrettanto credo avrebbe avuto il coraggio di fare lei.

Quella tra Liat e Hilmi è una storia d’amore moderna, pragmatica, forse lontana da quelle grandi storie d’amore che la letteratura ci ha regalato in passato, ma senza dubbio più vera e concreta.

Nonostante mi aspettassi un approccio alla storia completamente diverso da parte dell’autrice, “Borderlife” si è rivelato un ottimo romanzo che racconta una storia forte, travolgente, ricca di passione e soprattutto capace di fare riflettere il lettore.

Il ritmo lento segue il flusso dei ricordi e la scrittura è a tratti pura poesia.
Il senso di ineluttabilità del destino incalza il lettore, così come la tensione che si insinua sempre più, pagina dopo pagina, all’avvicinarsi della fatidica data della partenza di Liat, mentre incombe su tutto un senso di perdita, di angoscia e di imminente tragedia.

L’autrice è davvero brava ad accompagnare il lettore in questo viaggio, perchè di un viaggio si può parlare, un viaggio nella mente umana e nei suoi mille modi di agire nel tentativo di proteggersi dalla paura, dalla sofferenza e dal dolore.
Ci racconta del timore di lasciarsi andare, del dubbio se sia meglio donarsi completamente o tirarsi indietro, se sia preferibile combattere per affermare se stessi, magari deludendo chi ci ama, o se sia meglio lasciarsi vivere e, assecondando quelle idee che ci sono state inculcate fin da piccoli, lasciare che le nostre ansie ed i nostri pregiudizi decidano della nostra esistenza.

Credo che non ci sia in questo caso miglior invito alla lettura che chiudere con due frasi tratte da romanzo stesso:

Ma poi tutto passa, stavo per dirle, la vita va avanti: non si può star sempre a ricordare che la fine si avvicina, una mattina ti alzi e in un modo o nell’altro hai dimenticato”.

E chissà se ogni tanto anche tu - a casa, nella strada dove sei tornato, nella tua città – chissà se anche tu senti, vagamente, una specie di tenue ombra sull’anima, chissà se la senti che ti accompagna e fa capolino di tanto in tanto”.





lunedì 4 luglio 2016

“Ross Poldark” di Winston Graham (1908-2003)

ROSS POLDARK
di Graham Winston
SONZOGNO
“Ross Poldark” è il primo dei dodici volumi che compongono la saga scritta da Winston Graham, noto e prolifico romanziere inglese.

Ambientata in Cornovaglia tra il 1783 ed il 1820, questa saga storica, che ha conquistato intere generazioni di lettori, rappresenta oggi un vero e proprio classico del romanzo storico.

Dell’opera di Graham sono stati eseguiti due adattamenti televisivi entrambi prodotti dalla BBC.
Il primo adattamento televisivo del 1975-1977 venne trasmesso in parte anche dalla televisione italiana; il secondo invece (2015) da noi non è ancora andato in onda.
La storia raccontata nella prima serie di questo recente period drama anticipa in parte alcuni avvenimenti successivi a quelli presenti nel primo volume della saga.
La seconda serie è in lavorazione e dovrebbe essere trasmessa, sempre sui canali BBC, nel prossimo autunno.

La saga dei Poldark in passato era stata tradotta in italiano solo parzialmente, ma grazie al nuovo progetto editoriale della Sonzogno, adesso sarà finalmente possibile leggerla in edizione integrale.

Qualche accenno alla trama di questo primo libro.

Nel 1783 il ventitreenne Ross Poldark torna a casa in Cornovaglia dopo aver combattuto tra le fila dell’esercito inglese nella Rivoluzione americana.  
L’uomo che torna è una persona diversa dal giovane scapestrato partito per il nuovo mondo.
Il Capitano Poldark è un uomo maturo che non vede l’ora di iniziare la sua nuova vita accanto alla donna che ama.
Elizabeth però, credendolo ormai morto, ha accettato di sposare Francis, cugino di primo grado di Ross.
Ma non c’è solo la delusione amorosa ad attendere il capitano Poldark, infatti, ben presto questi scopre che Nampara e tutte le proprietà ereditate dal padre, deceduto poco prima del suo ritorno, versano in pessime condizioni.
Sostenuto nei suoi propositi dalla cugina Verity, Ross decide di gettarsi anima e corpo nel lavoro per risollevare le proprie finanze, riapre così una vecchia miniera e si impegna al massimo per sistemare la sua casa avita.
Un giorno, seguendo il suo istinto ed il suo profondo senso di giustizia, salva da un pestaggio una ragazzina tredicenne.
Demelza Carne, cresciuta senza madre e vessata da un padre violento, viene assunta da Ross come sguattera e si trasferisce a Nampara insieme al suo inseparabile cane.
La vivace Demelza crescendo si rivelerà una donna straordinaria, una donna che riuscirà a trasformare la vita di colui che a sua volta, anni prima, aveva cambiato il corso del suo destino.


La ventosa Cornovaglia e la vita dei suoi minatori fanno da sfondo al racconto appassionante e coinvolgente della famiglia Poldark nato dalla prolifica penna di Winston Graham.

Il racconto scorre veloce e la trama cattura letteralmente il lettore che, sin dalle prime pagine, si trova imprigionato nella ragnatela tessuta magistralmente dall’autore.

I personaggi sono tutti ben caratterizzati e la bravura di Graham è data proprio dal fatto che nessuno di questi resta sempre uguale a se stesso, ma cambia atteggiamenti, convinzioni nonché il modo di relazionarsi con gli altri protagonisti sulla scia dei diversi avvenimenti, facendosi coinvolgere e trascinare dalle vite e dalle scelte degli altri personaggi.

Il Ross Poldark di ritorno dalla guerra è un uomo diverso, la disillusione amorosa lo cambierà ulteriormente ma sarà l’amore di Demelza che lo trasformerà definitivamente.

Opposte sorti quelle del cugino Francis che, da uomo perfetto e posato, si rivelerà invece un inetto che si lascerà trascinare nel vizio del gioco, roso dal tarlo della gelosia e dall’invidia per il cugino.

Un particolare accenno va fatto però ai principali personaggi femminili: Demelza, Elizabeth e Verity.

Demelza è a tutti gli effetti il personaggio che più incanta il lettore con la sua crescita durante le pagine del libro e lo affascina per la sua vivacità, la sua caparbietà e per la sua contagiosa voglia di vivere.
Nonostante le sue paure e le sue ansie di non essere all’altezza di quella società meschina ed ipocrita alla quale Ross appartiene, riuscirà sempre a trovare la forza per uscirne vincitrice. Demelza è un personaggio che non si può non amare.

Elizabeth invece è l’opposto: bella ed elegantissima, ma priva di vita e di slanci emotivi, insoddisfatta per natura. Troppo remissiva, si lascia vivere, soggiogata dalle convenzioni sociali. In cuor suo rimpiange di non aver aspettato Ross, ma non muove il lettore a compassione perché è chiaro che non sarebbe stata la donna adatta a lui.

Verity è invece un’eroina austeniana che ricorda moltissimo la Anne Elliot di Persuasione. Una donna non più giovanissima, ovviamente per l’epoca, non bellissima ma dolce, comprensiva e sempre disposta ad aiutare il prossimo; una donna che non si risparmia davanti alle richieste della propria famiglia per quanto assurde ed egoiste queste possano essere.
Verity è trascurata da tutti, nessuno si cura dei suoi sentimenti. Lei ama in silenzio, soffre in silenzio e soprattutto non dimentica. Il lettore non può rimanere impassibile davanti ai suoi sentimenti feriti e non può astenersi dal fare il tifo per il lei ed il capitano Blamey.

“Ross Poldark” è un romanzo avvincente e, se gli altri volumi sono all’altezza di questo primo libro, non stupisce affatto che la saga conti 40 edizioni internazionali e milioni di copie vendute.

Nonostante chi mi segue sappia che io non amo i racconti che prevedono la lettura di numerosi volumi, in questo caso mi sento decisamente incline a consigliarvi di iniziare subito la lettura.
Io nel frattempo resterò in trepidante attesa dell’uscita del secondo libro che credo divorerò in pochi giorni come ho fatto con il primo capitolo della saga.




domenica 19 giugno 2016

“San Pietro” di Alberto Angela

SAN PIETRO
di Alberto Angela
RIZZOLI
“Segreti e meraviglie in un racconto lungo duemila anni”: Alberto Angela ci conduce alla scoperta dei segreti di San Pietro, simbolo della cristianità, ma allo stesso tempo sintesi di quasi duemila anni di storia, arte, scienza e creatività.

La storia di San Pietro inizia con il martirio del santo, crocifisso a testa in giù, e sepolto in quel luogo, il Vaticanum, dove un tempo Nerone aveva fatto costruire il suo circo e accanto al quale, proprio all’epoca della morte di San Pietro, si stava sviluppando una necropoli.

A fare da continuum è l’obelisco portato a Roma da Caligola nel 40 d.C., collocato al centro del circo di Nerone, vide le persecuzioni cristiane, assistette alla costruzione della prima basilica commissionata da Costantino ed ai successivi rimaneggiamenti, nonché alla costruzione della nuova San Pietro.
Nell’estate del 1586, su volere di Papa Sisto V, fu trasferito davanti all’ingresso della basilica, trasferimento che suscitò emozione e apprensione in coloro che potettero assistere al momento più difficile ovvero al momento in cui venne eretto nel luogo della sua attuale collocazione.

E’ proprio questa storia millenaria dalle origini ai giorni nostri che Alberto Angela ci racconta.

Angela ci conduce in un viaggio che ha inizio in quel luogo denominato Vaticanum dove nel corso dei secoli, grazie al frutto dell’ingegno e del lavoro di oltre sessanta generazioni, prese vita la più grande chiesa della cristianità, ricca di tesori e teatro di ogni genere di eventi, basti ricordare tra gli altri l’incoronazione di Carlo Magno.

Veniamo a conoscenza degli artisti Sangallo, Michelangelo, Raffaello, Bramante, Bernini e di tutti gli altri che hanno contribuito a rendere San Pietro quella che è oggi o quella di cui purtroppo nel corso negli anni si sono perse completante le tracce a causa dei continui rimaneggiamenti e dei saccheggi che si sono susseguiti nel corso della storia.

Facciamo conoscenza con i papi che si sono succeduti sul soglio pontificio e uno dopo l’altro hanno voluto lasciare la loro impronta non solo nella storia della cristianità, ma anche in quella del mondo attraverso l’arricchimento della basilica.

Il luogo della sepoltura di Pietro fu meta di pellegrinaggi fin dall’antichità facendo quindi di Roma il centro del mondo cristiano.
Nonostante sin dalle origini si fosse a conoscenza della presenza della tomba di San Pietro nel Vaticano, la scoperta vera e propria della sua sepoltura è piuttosto recente così come recente è la scienza archeologica; fu infatti Papa Pio XII che nel 1940 coraggiosamente volle intraprendere una serie di esplorazioni archeologiche nell’area della Confessione Vaticana e nella parte centrale delle Sacre Grotte.

Tutto viene raccontato come sempre in modo avvincente da Alberto Angela che riesce a farci rivivere la storia come se fosse un bellissimo romanzo e lo fa con quella passione e quell’intensità che lo contraddistinguono nei suoi libri così come nelle sue trasmissioni televisive.

Mentre leggiamo le pagine di San Pietro è come se ci scorressero davanti le immagini e ci viene spontaneo immaginarci l’autore mentre ci conduce nel viaggio alla ricerca delle origini della basilica.

Da segnalare inoltre che il volume è corredato da foto e tavole davvero esaustive e pertanto di grande supporto per la comprensione del testo; testo tra l’altro caratterizzato da una scrittura molto scorrevole che ne rende la lettura davvero piacevole.

Sono stata molto fortunata a poter assistere  alla presentazione dell’autore di questo volume al Salone del Libro di Torino, ma so anche di non essere altrettanto brava nel porgervi il sunto di un’opera che merita davvero di essere letta.
Spero comunque nel mio piccolo, grazie ai brevi cenni che avete trovato in questo mio post, di essere riuscita ad incuriosirvi tanto da spingervi alla lettura perché “San Pietro” è un libro coinvolgente o meglio un viaggio nella storia ricco di fascino assolutamente da fare.