mercoledì 27 luglio 2016

“Il mondo dell’altrove” di Sabrina Biancu

IL MONDO DELL’ALTROVE
di Sabrina Biancu
DEL BUCCHIA
“Il mondo dell’altrove” è una raccolta i cinque brevi racconti che trasportano il lettore in un mondo fantastico, un luogo magico.

Il prologo ci rimanda subito ad un grande capolavoro della letteratura per ragazzi ovvero “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry e, proprio come questo splendido libro, i racconti di Sabrina Biancu affrontano importanti tematiche quali il senso della vita ed il valore dell’amore e dell’amicizia.

Sin dalle prime pagine, l’autrice pone al lettore l’eterno ed annoso quesito sul perché mai diventare adulti dovrebbe significare per forza perdere la capacità di sognare.
Sabrina Biancu risponde alla domanda attraverso le storie di Elia, di Rosy, di Tea, di Desideria e di Irina la stellina.

Cinque magici racconti che accompagnano il lettore adulto in un viaggio fantastico alla riscoperta di sé stesso e dei valori veri della vita ed allo stesso tempo affiancano il lettore adolescente aiutandolo a crescere e a maturare.
“Il mondo dell’altrove” potrebbe essere quindi definito “il libro per tutte le stagioni”.

Questi i titoli dei cinque racconti:

-       Il ristorante della speranza
-       Rosy e l’anatroccolo
-       La rosa bianca
-       Lo spirito della fonte
-       La piccola stellina

Non scrivo nulla della trama perché trattandosi di racconti molto brevi rovinerei il piacere della lettura anticipando inevitabilmente parti significative che è giusto che il lettore scopra da solo.

Ho pensato però che potrebbe essere interessante proporvi una piccola intervista all’autrice, che devo ringraziare per aver accettato di essere ospite sul mio blog.
Chi meglio di lei infatti potrebbe presentare la sua opera?

Sabrina Biancu, classe 1981, è nata ad Oristano e vive a Baressa. Frequenta il corso di laurea in Scienze dell’educazione e della formazione. Ama i bambini, gli animali ed i libri.
Al suo attivo ha una raccolta di racconti dal titolo “Luce azzurra” (2009).


Il titolo “Il mondo dell’altrove” richiama alla mente la favola di Fantaghirò, così come il nome Desideria, protagonista del quarto racconto ricorda un’altra celebre serie TV. Quanto ti hanno ispirato questi racconti? Ci sono storie particolari che ti hanno ispirata?

Questa domanda mi riporta alla mente bellissimi ricordi, quando da ragazzina aspettavo il natale per vedere queste belle favole dove mi è sempre piaciuto rifugiarmi.
Sono sempre stata un’inguaribile sognatrice che ha usato la fantasia, anche perché ho vissuto dei momenti di solitudine a scuola, alle elementari e medie, perciò tenere viva la mente mi ha aiutato a non cadere nello sconforto.
Fantaghirò non ha influito in questi racconti, ma la quarta storia in piccola parte è stata influenzata da Sorellina e il principe del sogno, mi piaceva l’idea che una fonte magica potesse aiutare dei giovani innamorati, quindi la ricorda solo per questo.
Il resto è interamente frutto della mia fantasia, anche se posso dire che le letture e i film dell’infanzia ispirano molto i miei racconti, perché in buona parte non voglio crescere, e non voglio dimenticare di tenere accesa la creatività nonostante i miei 34 anni.

Nel primo racconto “Il ristorante della speranza” scrivi: “Attiri a te ciò che ti serve e l’universo di ascolta”. Credi alla legge dell’attrazione? Quanto secondo te il nostro atteggiamento influisce su ciò che ci succede?

Sei l’unica, o una delle poche che ha notato il chiaro riferimento alla legge dell’attrazione. Sì, credo ciecamente alla legge dell’attrazione, l’ho scoperta per caso e ho provato subito a metterla in pratica e devo dire che ha funzionato, perciò tutt’oggi continuo a usarla.
Se devo essere sincera la sto usando anche per la mia carriera da scrittrice e mi sta aiutando, non solo, la metto in pratica anche per aiutare gli altri e sono felicissima dei risultati, unita all’amore e alla gratitudine è una forza potente.
Se tutti provassero a usarla sono convinta che vivrebbero più felici.

Nei tuoi racconti si parla molto del difficile rapporto genitori-figli: il padre di Nico che vuole imporre le proprie scelte al figlio, il padre di Pietro che al contrario cerca di non imporre regole, ma cerca invece il dialogo, i genitori di Rosy in crisi davanti ai continui capricci della figlia. Quanto è difficile essere genitori oggi?

Questo è un argomento che mi sta molto a cuore. Io lavoro con i bambini, faccio l’animatrice e spesso mi sono ritrovata a chiedere cosa sia cambiato oggi rispetto a quando io ero bambina, e mi sono ritrovata a fare un confronto.
Io provengo da una situazione in cui mio padre era allevatore e mia madre casalinga con quattro figli a carico, quindi non semplice, dove spesso non avevo tutto quello che volevo perché non potevano permetterselo, nonostante ciò sono stata una bambina felice e col senno di poi sono contenta di come sono stata cresciuta anche perché non mi mancava niente.
Oggi invece vedo che il consumismo è maggiore rispetto alle reali esigenze, e credo che sia più difficile fare i genitori cercando di essere all’altezza dei tempi, con bambini che vogliono avere le scarpe di marca e l’ultimo telefonino perché lo hanno tutti altrimenti vengono scartati dai loro coetanei. Forse qualche no in più non farebbe male, in fondo le nuove generazioni dovranno prima o poi imparare a cavarsela con i loro mezzi.

I tuoi racconti parlano di sentimenti: amore, amicizia, solidarietà…. Parlano dell’importanza di essere sempre se stessi e della necessità di tenere a distanza le persone che vogliono solo manipolarci. Insegnano l’importanza della bellezza interiore che troppo spesso viene messa in ombra da quella esteriore…

Ho scritto questo libro pensando alle mie esperienze passate, e volendo comunicare un messaggio. A volte si è talmente occupati a vedere le cose con gli occhi che non si ascolta più con il cuore; sembra che l’esteriorità abbia preso il posto dell'interiorità, eppure spesso chi non si espone è chi ha più bisogno.
Con il mio libro ho voluto dare voce a chi non viene ascoltato, ci tenevo a sottolineare che se diamo una possibilità a ciascuno di dire la sua, può darci più di quanto ci potremmo immaginare.
  
Il tuo libro può sembrare in primo momento un libro dedicato agli adolescenti, può essere sotto questo aspetto considerato uno strumento per aiutarli a crescere, a maturare. Ma leggendo i racconti ci si rende conto, quasi immediatamente, che questi possono tranquillamente essere un valido aiuto anche per gli adulti che si sono persi e devono ritrovare la capacità di sognare e credere…

Bella parola credere, credere per vedere e non il contrario. Aiuta a sperare in un futuro possibile e non smettere di sognare, e se la fiducia è tanta rimarremo soddisfatti di ciò che vorremmo si realizzasse.
Sì, ci hai preso in pieno, questo libro è dedicato agli adulti che si sono persi, che hanno perso la capacità di sognare, perché pensano che diventare grandi non implica lasciarsi andare a queste cose.
Ma i sogni sono fondamentali, chi smette di farlo si perde e si lascia travolgere dagli eventi, pensando di non avere controllo sulla propria vita, invece è il contrario.
I sognatori sono persone felici, che vivono appieno ogni momento e sanno che il futuro gli riserverà qualcosa di bello, perché se lo creeranno esattamente come lo hanno sempre immaginato.

Grazie di cuore Sabrina e in bocca al lupo per la tua carriera!





martedì 12 luglio 2016

“Borderlife” di Dorit Rabinyan

BORDERLIFE
di Dorit Rabinyan
LONGANESI
Liat e Hilmi si incontrano all’ombra dei grattacieli di New York.

Liat,  29 anni, una laurea in letteratura inglese e glottologia, resterà negli Stati Uniti per sei mesi grazie ad una borsa di studio.

Hilmi ha 27 anni, è un artista, per la precisione un pittore e vive a New York già da quattro anni.
Nei suoi dipinti c’è sempre un bimbo che dorme e sogna il mare.

Tra loro scocca immediatamente la fatidica scintilla, il loro è amore a prima vista, un amore travolgente e passionale.

Non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che Liam Benyamini è israeliana e vive a Tel Aviv mentre Hilmi Nasser è un ragazzo palestinese di Ramallah.

Appartengono a due popoli diversi, due popoli in perenne conflitto e proprio per questo, nonostante l’attrazione fortissima, nonostante le numerose cose in comune, la musica, il cinema, la nostalgia di casa, del caldo e del sole, il loro amore è destinato ad essere semplicemente un amore a tempo, un amore segreto e provvisorio.

Il tempo scorre inesorabile: 20 maggio 2003, la data scritta sul biglietto di ritorno di Liat, è inevitabilmente la data che decreterà la fine del sogno, il capolinea di una storia d’amore impossibile.

Dorit Rabinyan, l’autrice del libro, è nata vicino a Tel Aviv in una famiglia di ebrei emigrati dall’Iran così come la protagonista del libro.

“Borderlife” è un bestseller, un romanzo che è volato in testa alle classifiche ed è conteso dagli editori stranieri per i diritti di pubblicazione.
Uscito nel 2014 è stato bandito dalle letture liceali dello stato di Israele, ritenuto pericoloso, in quanto la sua lettura avrebbe potuto influenzare gli adolescenti spingendoli a contrarre matrimoni con non ebrei.

“Borderlife” viene definito da tutti come una grande storia d’amore.
Amos Oz la definisce “una magnifica storia d’amore che la tragedia di due popoli non riesce a sopraffare”.
La critica è  uniformemente concorde con questa descrizione.

La storia di Liat e Hilmi è indubbiamente una storia appassionante e romantica, non sarò di certo io a negare l’evidenza dei fatti, pur tuttavia la diffidenza ed il pregiudizio, la paura e l’incertezza di Liat mi hanno fatto dubitare più di una volta sulla profondità dei suoi sentimenti nei confronti di Hilmi.

Hilmi sembra non vacillare mai, è come se lui al di là delle difficoltà, delle differenze avesse la certezza che l’amore trionferà sempre. Hilmi è un sognatore, un idealista.

Liat invece è sicura sin dall’inizio che la storia terminerà il giorno stesso in cui salirà su quell’aereo che la riporterà a casa, dalla sua famiglia, da quei genitori che sarebbero distrutti dal dolore se sapessero del suo amore per un ragazzo palestinese.
Liat vive costantemente nell’ansia di incontrare per la strada qualcuno che la riconosca, in fin dei conti lei per prima sembra vergognarsi del “suo amore arabo segreto”.
Liat è molto attratta fisicamente da Hilmi, ma la paura di deludere amici e parenti, la diffidenza ed il pregiudizio non le permettono di vivere pienamente i suoi sentimenti per lui.

E allora viene spontaneo chiedersi, l’amore che Liat prova per Hilmi, pur con tutte le attenuanti del caso, può davvero essere considerato un grande amore? Non dovrebbe l’amore con la “A” maiuscola riuscire a guardare oltre, non vedere gli ostacoli o quanto meno cercare di superarli?
Hilmi non ha paura di presentarla alla famiglia, di parlare di lei ad amici e parenti; di prendersi cura di lei durante la malattia. Possiamo dire altrettanto di Liat?

E’ vero, Hilmi e Liat sono due persone molto diverse, non solo perché appartengono a due popoli in conflitto tra loro: lei è precisa e perbenista, lui il tipico bohemien.
Questo loro diverso modo di affrontare la vita, lo riscontriamo anche nel loro approccio alla questione palestinese: lui illuminato e universalista, amante della pace; lei pragmatica e interessata solo ai dettagli pratici.
Sembra quasi che le differenze caratteriali pesino su di loro quanto, se non di più, delle loro differenze culturali e di nascita.

Tutto ciò non toglie nulla alla storia d’amore dei due giovani, ma anzi aiuta a far riflettere su quanto la nostra cultura, l’appartenenza ad una etnia piuttosto che ad un’altra, influenzi radicalmente e profondamente il nostro modo di approcciare la vita.

La storia tra Liat e Hilmi è nata perché entrambi si trovavano a New York, lontano da casa; eppure ho avuto la netta sensazione che forse Hilmi, se avesse avuto l’occasione, avrebbe avuto il coraggio di vivere questa storia d’amore anche se avesse incontrato Liat a Tel Aviv, non altrettanto credo avrebbe avuto il coraggio di fare lei.

Quella tra Liat e Hilmi è una storia d’amore moderna, pragmatica, forse lontana da quelle grandi storie d’amore che la letteratura ci ha regalato in passato, ma senza dubbio più vera e concreta.

Nonostante mi aspettassi un approccio alla storia completamente diverso da parte dell’autrice, “Borderlife” si è rivelato un ottimo romanzo che racconta una storia forte, travolgente, ricca di passione e soprattutto capace di fare riflettere il lettore.

Il ritmo lento segue il flusso dei ricordi e la scrittura è a tratti pura poesia.
Il senso di ineluttabilità del destino incalza il lettore, così come la tensione che si insinua sempre più, pagina dopo pagina, all’avvicinarsi della fatidica data della partenza di Liat, mentre incombe su tutto un senso di perdita, di angoscia e di imminente tragedia.

L’autrice è davvero brava ad accompagnare il lettore in questo viaggio, perchè di un viaggio si può parlare, un viaggio nella mente umana e nei suoi mille modi di agire nel tentativo di proteggersi dalla paura, dalla sofferenza e dal dolore.
Ci racconta del timore di lasciarsi andare, del dubbio se sia meglio donarsi completamente o tirarsi indietro, se sia preferibile combattere per affermare se stessi, magari deludendo chi ci ama, o se sia meglio lasciarsi vivere e, assecondando quelle idee che ci sono state inculcate fin da piccoli, lasciare che le nostre ansie ed i nostri pregiudizi decidano della nostra esistenza.

Credo che non ci sia in questo caso miglior invito alla lettura che chiudere con due frasi tratte da romanzo stesso:

Ma poi tutto passa, stavo per dirle, la vita va avanti: non si può star sempre a ricordare che la fine si avvicina, una mattina ti alzi e in un modo o nell’altro hai dimenticato”.

E chissà se ogni tanto anche tu - a casa, nella strada dove sei tornato, nella tua città – chissà se anche tu senti, vagamente, una specie di tenue ombra sull’anima, chissà se la senti che ti accompagna e fa capolino di tanto in tanto”.





lunedì 4 luglio 2016

“Ross Poldark” di Winston Graham (1908-2003)

ROSS POLDARK
di Graham Winston
SONZOGNO
“Ross Poldark” è il primo dei dodici volumi che compongono la saga scritta da Winston Graham, noto e prolifico romanziere inglese.

Ambientata in Cornovaglia tra il 1783 ed il 1820, questa saga storica, che ha conquistato intere generazioni di lettori, rappresenta oggi un vero e proprio classico del romanzo storico.

Dell’opera di Graham sono stati eseguiti due adattamenti televisivi entrambi prodotti dalla BBC.
Il primo adattamento televisivo del 1975-1977 venne trasmesso in parte anche dalla televisione italiana; il secondo invece (2015) da noi non è ancora andato in onda.
La storia raccontata nella prima serie di questo recente period drama anticipa in parte alcuni avvenimenti successivi a quelli presenti nel primo volume della saga.
La seconda serie è in lavorazione e dovrebbe essere trasmessa, sempre sui canali BBC, nel prossimo autunno.

La saga dei Poldark in passato era stata tradotta in italiano solo parzialmente, ma grazie al nuovo progetto editoriale della Sonzogno, adesso sarà finalmente possibile leggerla in edizione integrale.

Qualche accenno alla trama di questo primo libro.

Nel 1783 il ventitreenne Ross Poldark torna a casa in Cornovaglia dopo aver combattuto tra le fila dell’esercito inglese nella Rivoluzione americana.  
L’uomo che torna è una persona diversa dal giovane scapestrato partito per il nuovo mondo.
Il Capitano Poldark è un uomo maturo che non vede l’ora di iniziare la sua nuova vita accanto alla donna che ama.
Elizabeth però, credendolo ormai morto, ha accettato di sposare Francis, cugino di primo grado di Ross.
Ma non c’è solo la delusione amorosa ad attendere il capitano Poldark, infatti, ben presto questi scopre che Nampara e tutte le proprietà ereditate dal padre, deceduto poco prima del suo ritorno, versano in pessime condizioni.
Sostenuto nei suoi propositi dalla cugina Verity, Ross decide di gettarsi anima e corpo nel lavoro per risollevare le proprie finanze, riapre così una vecchia miniera e si impegna al massimo per sistemare la sua casa avita.
Un giorno, seguendo il suo istinto ed il suo profondo senso di giustizia, salva da un pestaggio una ragazzina tredicenne.
Demelza Carne, cresciuta senza madre e vessata da un padre violento, viene assunta da Ross come sguattera e si trasferisce a Nampara insieme al suo inseparabile cane.
La vivace Demelza crescendo si rivelerà una donna straordinaria, una donna che riuscirà a trasformare la vita di colui che a sua volta, anni prima, aveva cambiato il corso del suo destino.


La ventosa Cornovaglia e la vita dei suoi minatori fanno da sfondo al racconto appassionante e coinvolgente della famiglia Poldark nato dalla prolifica penna di Winston Graham.

Il racconto scorre veloce e la trama cattura letteralmente il lettore che, sin dalle prime pagine, si trova imprigionato nella ragnatela tessuta magistralmente dall’autore.

I personaggi sono tutti ben caratterizzati e la bravura di Graham è data proprio dal fatto che nessuno di questi resta sempre uguale a se stesso, ma cambia atteggiamenti, convinzioni nonché il modo di relazionarsi con gli altri protagonisti sulla scia dei diversi avvenimenti, facendosi coinvolgere e trascinare dalle vite e dalle scelte degli altri personaggi.

Il Ross Poldark di ritorno dalla guerra è un uomo diverso, la disillusione amorosa lo cambierà ulteriormente ma sarà l’amore di Demelza che lo trasformerà definitivamente.

Opposte sorti quelle del cugino Francis che, da uomo perfetto e posato, si rivelerà invece un inetto che si lascerà trascinare nel vizio del gioco, roso dal tarlo della gelosia e dall’invidia per il cugino.

Un particolare accenno va fatto però ai principali personaggi femminili: Demelza, Elizabeth e Verity.

Demelza è a tutti gli effetti il personaggio che più incanta il lettore con la sua crescita durante le pagine del libro e lo affascina per la sua vivacità, la sua caparbietà e per la sua contagiosa voglia di vivere.
Nonostante le sue paure e le sue ansie di non essere all’altezza di quella società meschina ed ipocrita alla quale Ross appartiene, riuscirà sempre a trovare la forza per uscirne vincitrice. Demelza è un personaggio che non si può non amare.

Elizabeth invece è l’opposto: bella ed elegantissima, ma priva di vita e di slanci emotivi, insoddisfatta per natura. Troppo remissiva, si lascia vivere, soggiogata dalle convenzioni sociali. In cuor suo rimpiange di non aver aspettato Ross, ma non muove il lettore a compassione perché è chiaro che non sarebbe stata la donna adatta a lui.

Verity è invece un’eroina austeniana che ricorda moltissimo la Anne Elliot di Persuasione. Una donna non più giovanissima, ovviamente per l’epoca, non bellissima ma dolce, comprensiva e sempre disposta ad aiutare il prossimo; una donna che non si risparmia davanti alle richieste della propria famiglia per quanto assurde ed egoiste queste possano essere.
Verity è trascurata da tutti, nessuno si cura dei suoi sentimenti. Lei ama in silenzio, soffre in silenzio e soprattutto non dimentica. Il lettore non può rimanere impassibile davanti ai suoi sentimenti feriti e non può astenersi dal fare il tifo per il lei ed il capitano Blamey.

“Ross Poldark” è un romanzo avvincente e, se gli altri volumi sono all’altezza di questo primo libro, non stupisce affatto che la saga conti 40 edizioni internazionali e milioni di copie vendute.

Nonostante chi mi segue sappia che io non amo i racconti che prevedono la lettura di numerosi volumi, in questo caso mi sento decisamente incline a consigliarvi di iniziare subito la lettura.
Io nel frattempo resterò in trepidante attesa dell’uscita del secondo libro che credo divorerò in pochi giorni come ho fatto con il primo capitolo della saga.




domenica 19 giugno 2016

“San Pietro” di Alberto Angela

SAN PIETRO
di Alberto Angela
RIZZOLI
“Segreti e meraviglie in un racconto lungo duemila anni”: Alberto Angela ci conduce alla scoperta dei segreti di San Pietro, simbolo della cristianità, ma allo stesso tempo sintesi di quasi duemila anni di storia, arte, scienza e creatività.

La storia di San Pietro inizia con il martirio del santo, crocifisso a testa in giù, e sepolto in quel luogo, il Vaticanum, dove un tempo Nerone aveva fatto costruire il suo circo e accanto al quale, proprio all’epoca della morte di San Pietro, si stava sviluppando una necropoli.

A fare da continuum è l’obelisco portato a Roma da Caligola nel 40 d.C., collocato al centro del circo di Nerone, vide le persecuzioni cristiane, assistette alla costruzione della prima basilica commissionata da Costantino ed ai successivi rimaneggiamenti, nonché alla costruzione della nuova San Pietro.
Nell’estate del 1586, su volere di Papa Sisto V, fu trasferito davanti all’ingresso della basilica, trasferimento che suscitò emozione e apprensione in coloro che potettero assistere al momento più difficile ovvero al momento in cui venne eretto nel luogo della sua attuale collocazione.

E’ proprio questa storia millenaria dalle origini ai giorni nostri che Alberto Angela ci racconta.

Angela ci conduce in un viaggio che ha inizio in quel luogo denominato Vaticanum dove nel corso dei secoli, grazie al frutto dell’ingegno e del lavoro di oltre sessanta generazioni, prese vita la più grande chiesa della cristianità, ricca di tesori e teatro di ogni genere di eventi, basti ricordare tra gli altri l’incoronazione di Carlo Magno.

Veniamo a conoscenza degli artisti Sangallo, Michelangelo, Raffaello, Bramante, Bernini e di tutti gli altri che hanno contribuito a rendere San Pietro quella che è oggi o quella di cui purtroppo nel corso negli anni si sono perse completante le tracce a causa dei continui rimaneggiamenti e dei saccheggi che si sono susseguiti nel corso della storia.

Facciamo conoscenza con i papi che si sono succeduti sul soglio pontificio e uno dopo l’altro hanno voluto lasciare la loro impronta non solo nella storia della cristianità, ma anche in quella del mondo attraverso l’arricchimento della basilica.

Il luogo della sepoltura di Pietro fu meta di pellegrinaggi fin dall’antichità facendo quindi di Roma il centro del mondo cristiano.
Nonostante sin dalle origini si fosse a conoscenza della presenza della tomba di San Pietro nel Vaticano, la scoperta vera e propria della sua sepoltura è piuttosto recente così come recente è la scienza archeologica; fu infatti Papa Pio XII che nel 1940 coraggiosamente volle intraprendere una serie di esplorazioni archeologiche nell’area della Confessione Vaticana e nella parte centrale delle Sacre Grotte.

Tutto viene raccontato come sempre in modo avvincente da Alberto Angela che riesce a farci rivivere la storia come se fosse un bellissimo romanzo e lo fa con quella passione e quell’intensità che lo contraddistinguono nei suoi libri così come nelle sue trasmissioni televisive.

Mentre leggiamo le pagine di San Pietro è come se ci scorressero davanti le immagini e ci viene spontaneo immaginarci l’autore mentre ci conduce nel viaggio alla ricerca delle origini della basilica.

Da segnalare inoltre che il volume è corredato da foto e tavole davvero esaustive e pertanto di grande supporto per la comprensione del testo; testo tra l’altro caratterizzato da una scrittura molto scorrevole che ne rende la lettura davvero piacevole.

Sono stata molto fortunata a poter assistere  alla presentazione dell’autore di questo volume al Salone del Libro di Torino, ma so anche di non essere altrettanto brava nel porgervi il sunto di un’opera che merita davvero di essere letta.
Spero comunque nel mio piccolo, grazie ai brevi cenni che avete trovato in questo mio post, di essere riuscita ad incuriosirvi tanto da spingervi alla lettura perché “San Pietro” è un libro coinvolgente o meglio un viaggio nella storia ricco di fascino assolutamente da fare.




lunedì 30 maggio 2016

“La soffiatrice di vetro” di Petra Durst-Benning

LA SOFFIATRICE DI VETRO
di Petra Durst-Benning
 SUPERBEAT 
Lauscha è un piccolo villaggio della Turingia dove gli abitanti si guadagnano da vivere soffiando il vetro e dove tutti sanno tutto di tutti; un mondo chiuso dove la tradizione vuole che l’arte di soffiare il vetro sia totale appannaggio maschile. Le donne possono occuparsi esclusivamente della decorazione e del confezionamento.

La storia del romanzo si svolge alla fine dell’Ottocento. Il soffiatore Joost Steinmann muore all’improvviso lasciando sole le sue tre figlie: Marie (17 anni), Ruth (19 anni) e Johanna (22 anni).

Le tre ragazze, in serie difficoltà economiche, si vedono da subito costrette a trovare un’occupazione; impiegate presso la bottega del vetraio Wilhelm Heimer, scoprono fin da subito quando sia difficile dover lavorare sotto padrone.

Ognuna di loro però reagirà in modo diverso dinnanzi a questo drastico cambiamento di vita.

Johanna, la maggiore, sopporta meno delle sorelle la sua nuova condizione e, quando viene licenziata dopo un battibecco con il padrone, è felice di potersi sentire libera di accettare l’offerta di lavoro del distributore Friedhelm Strobel e trasferirsi durante la settimana lavorativa nella cittadina di Sonneberg.
Johanna rifiuta la proposta di matrimonio di Peter Maienbaum, il loro vicino di casa da sempre innamorato di lei, ansiosa di far vedere al mondo il suo vero valore, di imparare un mestiere interessante e ben retribuito, che le permetta di trattare con persone importanti e, perché no, imparare a vestire e conversare in modo raffinato.

Ruth invece, che fin da piccola sognava di poter sposare un giorno un principe polacco, si innamora di Thomas, uno dei figli di Wilhelm Heimer, e accetta di sposarlo vedendo nel matrimonio con questi un’occasione da non perdere.

Marie scopre nella bottega di Wilhelm Heimer la sua vera passione ovvero la decorazione, affascinata dai colori, dalle sfumature, dall’oro e dall’argento, Marie si rivela come la vera artista della famiglia.
Sarà proprio lei che, sfidando convenzioni e pregiudizi, farà rivivere la bottega del padre, diventerà lei stessa una soffiatrice di vetro e, grazie alle sue grandi capacità ed alla sua fervida fantasia, creerà le basi per quella che diventerà un’impresa tutta femminile.

Mentre Marie vivrà chiusa nel suo mondo fatto di colori, matite e bacchette di vetro,  Johanna e Ruth dovranno scontrarsi con la dura realtà, dovranno pagare per le loro scelte sbagliate ed avventate, ma tutte e tre insieme riusciranno a superare ogni avversità facendo in modo di riuscire a realizzare comunque i loro sogni, sempre restando fedeli a se stesse.

“La soffiatrice di vetro” è il primo volume di una trilogia. Questo primo libro può essere tranquillamente letto come un romanzo a sé, ma alla fine della lettura resta nel lettore  la forte curiosità di conoscere più nel dettaglio cosa accadrà veramente.
Inoltre troppi sono  gli interrogativi che restano aperti su alcuni personaggi primo tra tutti il misterioso Friedhelm Strobel del quale l’autrice getta in pasto al lettore solo brevi accenni e indizi della sua depravazione e della sua scellerata vita, per non parlare di quel passato perverso e corrotto che si riaffaccia insistentemente tra un capitolo e l’altro della storia.

Un romanzo che ha come protagoniste delle sorelle è di per sé un richiamo a diversi classici della letteratura: tra tutti possiamo ricordare i romanzi di Jane Austen, “Piccole Donne” di Louisa May Alcott, ma il richiamo più forte è forse quello a “Storia di una bottega” di Amy Levy.
Proprio con quest’ultimo libro “La soffiatrice di vetro” ha in comune la capacità e la forza che le protagoniste dimostrano di possedere per riuscire a creare un’impresa commerciale in un mondo di uomini, sfidando le convezioni sociali e i pregiudizi della gente.

La scrittura della “La soffiatrice di vetro” appartiene al romanzo moderno; se la trama può richiamare il romanzo classico, la scrittura è però quella scorrevole di un romanzo contemporaneo in grado di catturare l’attenzione del lettore fin dalla prima pagina.

Petra Durst-Benning ci porta in un mondo affascinante, quello del vetro e della nascita delle decorazioni natalizie.
L’invenzione degli addobbi di vetro per gli alberi di Natale è effettivamente nata a Lauscha dove sembra che non ci fosse stato un singolo inventore di quest’arte, ma che la stessa si fosse sviluppata presso diversi artigiani del paese.
Si ritiene che la lavorazione delle prime sfere di vetro risalga alla meta del XIX secolo ovvero un po’ prima di quando l’autrice colloca la sua storia.
Altro dato storico è che realmente le decorazioni natalizie furono esportate per la prima volta negli Stati Uniti da Franklin Woolworth.

Il romanzo di Petra Durst-Benning ci accompagna dunque indietro nel tempo, all’origine di una tradizione ben radicata nel paese di Lauscha, che ancor oggi è conosciuta come la capitale del vetro della Germania, e lo fa regalandoci una storia intensa, emozionante e coinvolgente, le cui protagoniste affascinano il lettore fin da subito tenendolo incollato alle pagine, ammaliato da queste donne forti e fragili allo stesso tempo, così diverse tra loro eppure così simili nella loro tenacia di riuscire un giorno a realizzare i propri sogni.

“La soffiatrice di vetro” è un romanzo impreziosito da un gran lavoro di documentazione, un romanzo accattivante e particolare,  assolutamente da non perdere.

E a chi, come me, l’avesse già letto non resta che attendere la traduzione italiana degli altri due volumi  i cui titoli dovrebbero suonare più o meno come “”L’Americana” e “Il paradiso del vetro” ovviamente sperando che siano altrettanto avvincenti.






domenica 1 maggio 2016

“Quel diavolo di un trillo” di Uto Ughi

QUEL DIAVOLO DI UN TRILLO
Note della mia vita
di Uto Ughi
    EINAUDI     
Nato a Busto Arsizio il 21 gennaio del 1944, primo di quattro figli, fiero delle origini istriane della sua famiglia, gente tenace dignitosa, abituata alla vita dura, Uto Ughi è uno dei maggiori violinisti al mondo.
Il padre, di professione avvocato, era un umanista molto sensibile, quasi un filosofo e proprio nella casa paterna

Si creò un buon giro di amici, strumentisti dilettanti che erano soliti riunirsi con il maestro Coggi (…) per fare musica insieme.

All’epoca Uto Ughi aveva appena tre anni, ma era già evidente la sua smisurata passione per la musica quando si infilava sotto il pianoforte e, affascinato dalle note, rimaneva lì ad ascoltare.
Il maestro Coggi gli regalò allora un piccolo violino che dovette legargli con una cordicella al collo per evitare che lo strumento gli cadesse.

Coggi fu il primo insegnate al quale ne fecero seguito altri; all’età di nove anni Uto Ughi divenne l’allievo di George Enesco, per seguire le lezioni del quale era costretto a trasferirsi periodicamente a Parigi dove il maestro viveva. Dopo la morte di questi, le lezioni proseguirono con la sua assistente Yvonne Astruc.
A Siena frequentò per una decina d’anni, ogni estate, le lezioni all’Accademia Chigiana, prestigiosa scuola di alta formazione musicale che annoverava all’epoca allievi famosi quali Zubin Metha e Daniel Barenboim.

Un giorno Uto Ughi stesso verrà chiamato a svolgere funzione di docente all’Accademia Chigiana, mettendo a disposizione dei suoi allievi, non solo la sua virtuosa capacità di violista, ma anche quelle due doti che il Maestro ritiene ancor oggi indispensabili per essere un buon insegnante ovvero la pazienza e la perseveranza.
E' fondamentale inoltre che il docente non si imponga mai sull’allievo, ma cerchi piuttosto di convincerlo rispettando sempre la sua personalità.

Il libro è suddiviso in quattro parti.

Nella prima parte, intitolata “La vita e la musica”, Uto Ughi ci racconta della famiglia, dei primi approcci con le note, dei suoi docenti, del suo modo di intendere la musica, dei propri gusti musicali, dei primi concerti e della sua produzione discografica.

Nella seconda parte “La galleria dei ritratti” ci vengono presentate invece le figure dei musicisti che il violinista ha incontrato nella sua carriera e che lo hanno in qualche modo influenzato o con i quali ha condiviso parte della sua vita.

Con “I viaggi” Uto Ughi ripercorre le sue tournée in giro per il mondo: Giappone, Birmania, Messico, India, Israele, Africa per citarne alcuni fino alla sua amata Isola del Giglio ed alla Val di Fiemme, là dove Antonio Stradivari sceglieva gli abeti rossi adatti alla costruzione dei suoi violini.
In questa parte comprendiamo come il violista, lontano dai riflettori, sia in realtà un uomo che ama profondamente i viaggi, la natura, il silenzio, la riflessione e la letteratura.

Proprio a “Riflessioni e letture” è dedicata la quarta parte del volume. Dedicare quotidianamente una parte della giornata alla lettura è basilare per l’artista che ritiene che:

un giorno trascorso senza leggere è un giorno perduto

Uto Ughi in quest’ultima parte  riflette su svariati argomenti come politica, cultura, il tema della morte nella musica, le competizioni musicali, la funzione sociale della musica e ovviamente la letteratura parlando di autori a lui cari tra cui Jorge Luis Borges e Pablo Neruda, Dino Buzzati e Giovanni Papini.

Chiude il volume un bellissimo dialogo.


E’ una vita ricca di passioni quella che viene descritta in questo breve volume di appena poco più di 180 pagine. Poche pagine è vero, ma di un’intensità tale che se si volesse sottolineare i concetti importanti si finirebbe per sottolineare ogni singola riga.

Proprio per questo motivo è anche difficile riuscire a tirare le somme di questa interessante autobiografia dove ognuno troverà senza dubbio spunti di riflessione personali e al contempo potrà formarsi una propria idea dell’uomo e dell’astista Uto Ughi.

La mia impressione leggendo queste pagine è quella di un artista sempre attento ai dettagli, un perfezionista sempre alla ricerca del piccolo particolare che possa fare la differenza.
Un uomo di una cultura vastissima, attratto dal paranormale, un uomo curioso, aperto al mondo, ma allo stesso tempo molto concentrato su se stesso.

Ho apprezzato il modo in cui parla dei grandi artisti del passato, mi sarebbe piaciuto però leggere qualcosa anche sui giovani artisti. Leggendo queste pagine infatti  ho avuto l’impressione che l’autore abbia scelto volutamente di non esprimere opinioni sui contemporanei, quasi pensasse che nessuno di questi possa essere citato in quanto non all’altezza dei suoi predecessori e comunque dei violinisti appartenenti alla sua generazione.

Appassionante è l’amore con cui Ughi parla dei violini, strumenti dotati di un’anima.
Ogni grande artista ha un rapporto unico con il suo strumento e gli strumenti antichi hanno tutti una storia da raccontare.

E’ emozionante leggere di quanto a dieci anni il Maestro fece per la prima volta conoscenza con il suo Stradivari Kreutzer (famoso violinista al quale era appartenuto  e  dal quale prese poi il nome) costruito nel 1701 da Antonio Stradivari, strumento che incrociò nuovamente il suo cammino quando aveva sedici anni e che divenne da quel momento suo compagno di viaggio

Il violino ha un’anima parlava al mio cuore con una qualità di voce meravigliosa, comunicandomi la sua storia

Anni dopo un altro violino entrò a far parte della vita di Uto Ughi, uno dei più bei Guarnieri del Gesù “Rose”, costruito nel 1744, di cui l’ultimo proprietario fu il celebre violinista Arthur Grumiaux.

Lo Stradivari è perfetto, come un dipinto di Raffaello o di Tiziano: perfetto nel disegno, nel colore, nell’armonia delle forme. Il suo suono luminoso è congeniale per determinati autori, ma meno per altri.
(…) i Guarnieri. I loro violini hanno un suono dal timbro scuro, drammatico, struggente, che ricorda i colori caravaggeschi o i dipinti di Rembrandt.

Ascoltai Uto Ughi in concerto la prima volta quando avevo 11 anni, fu la mia prima volta ad un concerto sinfonico e grazie a lui mi innamorai immediatamente del suono del violino.
Questo è stato il motivo principale per cui ho deciso di dedicarmi alla lettura del libro e ancora una volta non sono stata delusa.

“Quel diavolo di un trillo” è consigliato non solo a coloro che amano il suono di questo magico strumento, ma anche a tutti coloro che come il Maestro pensano che

La musica è una via di amore, di libertà, di umanità. La musica va al di là della parola, delle barriere ideologiche che limitano la comprensione fra gli esseri umani: spalanca le finestre dell’anima lasciando intravedere una realtà più grande.