domenica 22 marzo 2015

“Gli innamorati di Sylvia” di Elizabeth Gaskell

GLI INNAMORATI DI SYLVIA
di Elizabeth Gaskell
JO MARCH 
Nel 1859 l’autrice trascorse una quindicina di giorni in vacanza a Whitby, una cittadina sulle coste dello Yorkshire. In questa nebbiosa località ebbe la possibilità di fare delle ricerche non solo sulle baleniere, ma anche sulle press gang ovvero le bande di arruolamento che forzosamente arruolavano marinai per la flotta britannica impegnata nella guerra contro la Francia.

“Gli innamorati di Sylvia” è ambientato negli anni delle guerre napoleoniche a Monkshaven, nome di pura invenzione letteraria, ma la cui descrizione del luogo corrisponde perfettamente alla località visitata dalla Gaskell ovvero una cittadina di mare dotata di un piccolo porto, caratterizzata da coste spazzate dal vento e da brughiere alle spalle del centro abitato.

Protagonista della storia è la bellissima Sylvia Robson, una ragazza che proprio per la sua avvenenza suscita nei suoi concittadini sentimenti e impressioni contrastanti.
Gli abitanti del luogo, infatti, si dividono tra coloro che, totalmente soggiogati dalla sua avvenenza, la ritengono una giovane virtuosa, simpatica e dolce e chi, forse anche un po’ roso dall’invidia, ritiene che, bellezza a parte, Sylvia sia in realtà semplicemente una ragazzina viziata e superba.
La verità come sempre sta nel giusto mezzo, la giovane, figlia unica adorata dai genitori, in realtà è sì una ragazzina viziata e a volte capricciosa, ma è anche una ragazzina gentile e di buon cuore.

La vicenda raccontata da Elizabeth Gaskell è in breve la storia di Sylvia e dei suoi due innamorati: il giovane e avvenente, nonché coraggioso e virile ramponiere Charley Kinraid e il cugino di Sylvia, il tranquillo e misurato Philip Hepburn, che lavora come commesso in un negozio di tessuti.

Ovviamente lo spirito ribelle e sbarazzino di Sylvia fanno sì che ella ricambi appassionatamente l’amore di Charley mentre Philip non riesce a darsi pace al pensiero di dover rinunciare per sempre alla cugina.

Quando Kinraid viene rapito dalla press gang, Philip unico testimone del fatto, non consegna il messaggio del rivale all’amata e, lasciandole credere che Charley sia morto affogato, cerca di prendere il suo posto nel cuore di Sylvia.

Gli eventi precipitano, il padre di Sylvia viene condannato per tradimento e impiccato, il lutto per il marito fa perdere la ragione alla signora Robson e Sylvia, trovandosi sola con una madre invalida, senza più punti di riferimento, decide che per il bene di tutti è giunto il momento che lei accetti di sposare quel cugino che fino a poco tempo prima aveva tanto disprezzato, ma che le è stato così vicino nel momento del bisogno.

Sylvia non riuscirà mai a dimenticare il suo primo e unico amore e inevitabilmente giungerà il giorno in cui Charley Kinraid farà ritorno a Monkshaven e allora…

“Gli amanti di Sylvia” non ha avuto particolare successo quando fu pubblicato, la stessa autrice definì il romanzo come la storia più triste che avesse mai scritto.

Il romanzo per nulla breve (569 pagine) è molto descrittivo e per questo forse non totalmente scorrevole, ma ad Elizabeth Gaskell va però riconosciuta una magistrale capacità nel riuscire a descrivere minuziosamente i paesaggi oltre ad una grande abilità nell’indagare profondamente gli animi dei suoi personaggi.

Sylvia e Philip crescono pagina dopo pagina e, col passare degli anni, mutano i loro animi e i loro caratteri. Ed è proprio questo mutare di sentimenti, di capacità di sentire, di relazionarsi gli uni con gli altri che la Gaskell è bravissima a descrivere.

Tutto questo fa sì che nel lettore l’impressione ricevuta da ogni personaggio non resti fissa ed immobile per tutta la storia, ma anzi vari insieme ad essa.
I personaggi riescono a stabile un’empatia con il lettore passatemi il termine “intermittente” ovvero a secondo del momento il lettore è portato a simpatizzare per un personaggio salvo poi trovarsi ad accordare la propria simpatia ad un altro, proprio perché l’evolversi della storia e il mutare dei sentimenti dei protagonisti lo coinvolgono al punto da renderlo totalmente partecipe del loro sentire.

Personalmente all’inizio ho detestato Philip, ma poi nonostante il pessimo comportamento da questi tenuto, ci sono stati momenti in cui sono riuscita a comprenderlo e perfino a scusarlo per il suo agire nonostante il suo essere meschino.

Sono stata forse meno clemente nei confronti di Sylvia, perché al di là delle disgrazie accadute, disgrazie che certamente avrebbero indebolito la forza di volontà di chiunque, non sono comunque mai riuscita a perdonarle una certa debolezza di carattere nel lasciarsi comandare dagli eventi e quel suo cercare di addossare ad altri colpe che in parte erano solo sue proprie.

Un personaggio che ho apprezzato invece moltissimo perché ritengo sia a tutti gli effetti il personaggio “romantico” per eccellenza, è quello di Hester, la donna innamorata da sempre di Philip e da questi considerata semplicemente una sorella.
E’ lei la vera eroina che per amore ha saputo piegarsi ed accettare il suo triste destino, mantenendo inalterati nel tempo i suoi sentimenti per l’uomo amato, senza mai tirarsi indietro davanti alle sue richieste per quanto dolorose per lei potessero essere.

“Gli innamorati di Sylvia” è edito da Jo March Agenzia Letteraria e per la precisione è la sesta uscita della collana “Atlantide” con la quale la casa editrice si ripropone di riscoprire capolavori dimenticati della letteratura.

Assolutamente da leggere l’introduzione di Francesco Marroni intitolata: “Scene da una tragedia domestica. Note per una lettura di Sylvia’s Lovers”.

Il volume inoltre, come tutti i libri della stessa collana, è corredato da interessanti ed esaustive note a piè di pagina.

A chi consiglierei la lettura del romanzo? Ovviamente a tutti gli appassionati di Elizabeth Gaskell e del romanzo vittoriano.

Se ancora non l'avete letto, vi ricordo un altro libro di Elizabeth Gaskell sempre edito da Jo March Agenzia Letteraria ovvero "Nord e Sud".
Infatti, per quanto io abbia apprezzato la lettura de “Gli innamorati di Sylvia”, “Nord e Sud” resterà sempre il mio romanzo preferito di questa straordinaria autrice.



domenica 22 febbraio 2015

“La dama e l’unicorno” di Tracy Chevalier

LA DAMA E L’UNICORNO
di Tracy Chevalier
BEAT
(edizione originale Neri Pozza)
Parigi 1490, Jean Le Viste ha deciso di commissionare a Nicolas des Innocentes la decorazione del salone della sua casa in Saint-Germain-des-Près.

Jean Le Viste è un uomo influente e ricco, non avvezzo agli scherzi, caparbio e prudente, un uomo che non ammette di essere contraddetto, che pretende che tutti facciano come dice e che lo facciano immediatamente.

Nicolas des Innocentes è un pittore che vanta una certa reputazione a corte come miniaturista, è solito dipingere piccoli ritratti che le dame regalano ai loro ammiratori.
Per arrotondare le proprie entrate però non disdegna di dipingere anche stemmi e decorare gli sportelli delle carrozze.

Jean Le Viste questa volta ha deciso di commissionargli qualcosa di diverso, il pittore dovrà creare i disegni per la Grande Salle, un ambiente lungo più di dieci passi e largo cinque, che saranno poi trasformati in arazzi di dimensioni tali che gli artigiani impiegheranno anni per tesserli.

Nicolas des Innocentes nonostante il timore per quanto richiestogli, non può certo permettersi di rifiutare una commessa così importante.

Jean Le Viste vuole che gli arazzi rappresentino la battaglia di Nancy, ma dopo aver incontrato Claude, la figlia maggiore del committente e sopratutto in seguito agli ordini tassativi ricevuti dalla moglie di Jean Le Viste, Geneviève de Nanterre, Nicolas accetta di cambiare il soggetto, convincendo lo stesso committente della bontà della nuova proposta.

A mon seul désir

Gli arazzi rappresenteranno la storia di una dama e del suo desiderio di sedurre un unicorno.

L’opera vede la sua realizzazione nella bottega artigiana del lissier George de la Chapelle a Bruxelles, bottega nella quale facciamo conoscenza degli altri protagonisti della storia: la moglie di George, Christine du Sablon, i loro figli George Le Jeune e Aliénor, il cartonista Philippe de Tour oltre a diversi personaggi minori che completano l’affresco creato dalla sapiente penna dell’autrice.

La vista
Ogni personaggio, capitolo dopo un capitolo, racconta in prima persona la propria parte di storia, una storia che si dipana tra Parigi e Bruxelles negli anni che vanno dal 1490 al 1492 e nella quale si intrecciano le vite dei vari protagonisti, tra l’ossessione di Nicolas per Claude e la vita nella bottega di George.

Qualche accenno all’opera descritta nel romanzo è però necessaria. Per prima cosa va detto che non si sa chi sia l’autore né chi realizzò materialmente gli arazzi del ciclo “La dama e l’unicorno”.
Il gusto
Non si conosce neppure il nome del membro della famiglia Le Viste che commissionò l’opera, ma per le tecniche di tessitura e per la tipologia degli abiti rappresentati, si propende per datare gli arazzi alla fine del XV secolo, pertanto diventa abbastanza plausibile riconoscere nel committente il nome di Jean Le Viste.
Inoltre la tecnica del millefleurs (o millefiori) indicherebbe il Nord Europa e più precisamente le botteghe di Bruxelles come il più probabile dei luoghi per la loro realizzazione.

Il tatto
Gli arazzi non rimasero di proprietà dei Le Viste per molti anni, infatti, alla morte di Claude la proprietà passò agli eredi del suo secondo marito.
Nel 1660 facevano bella mostra appesi alle pareti di un castello a Boussac, dove furono scoperti nel 1841 da Prosper Mérimé piuttosto mal ridotti.
Nel 1882 furono acquistati dal governo francese per essere esposti nel Museo di Cluny a Parigi dove sono ancor oggi esposti perfettamente restaurati.



Il ciclo di arazzi, realizzati in lana e seta, è composto da sei pannelli al centro di ognuno dei quali sono rappresentati la dama e l’unicorno.

L'olfatto
Cinque pannelli sono dedicati ai cinque sensi (il gusto, l’udito, la vista, l’olfatto e il tatto); il sesto pannello invece più grande degli altri e differente per stile, riporta in altro la scritta A mon seul désir e risulta di più difficile interpretazione.

Tracy Chevalier in questo romanzo, come in tutti i suoi libri, riesce a trasportare il lettore in un’epoca lontana grazie alla creazione di personaggi perfettamente descritti e, attraverso una scrittura piacevole e scorrevole, riesce ad affascinarlo con la storia dell’arte tessile degli arazzi.

L'udito
Il lettore non può che rimanere rapito e ammaliato davanti alla dettagliata e minuziosa descrizione di come nasceva questo tipo di opera d’arte; un manufatto dalla funzione a metà tra quella decorativa e quella più utile seppur prosaica di rendere l’ambiente più caldo e accogliente nelle fredde giornate invernali. 

Tracy Chevalier in “La dama e l’unicorno” ci racconta la storia, ovviamente di fantasia, di una delle opere più misteriose della storia dell’arte e lo fa con la bravura e con la grande competenza storica che la contraddistinguono, intessendo una trama che ci parla di amori impossibili, di seduzione, di lavoro, di fatica e di arte.

Se amate lo stile di Tracy Chevalier e i suoi romanzi, se avete apprezzato in modo particolare “La ragazza con l’orecchino di perla”, non potrete non rimanere conquistati dal fascino della storia narrata ne “La dama e l’unicorno”.



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giovedì 19 febbraio 2015

“E le stelle non stanno a guardare” di Loredana Limone

E LE STELLE NON STANNO A GUARDARE
di Loredana Limone
SALANI
Borgo Propizio esercitava una malia arcana, che forse si sprigionava dall’aria resa trasparente dalla brezza di pendio, o che sgattaiolava dal grigio delle pietre immortali delle case, dalle ambagi delle viuzze senza tempo. O addirittura dai fugaci movimenti delle tendine di pizzo bianco, inamidate, dietro cui occhi attenti scrutavano fuori, menti scaltre congetturavano sui perché e i percome, parole appassionate rimbalzavano di bocca in bocca con i necessari ricami, così che ogni fatto, ogni avvenimento, divenisse uno sceneggiato o una spy story.

Borgo Propizio è un piccolo paese medievale che sorge su una collina, un luogo quasi fuori dal tempo, un piccolo centro appena tornato alla vita dopo un lungo periodo di decadenza.

L’antico paese all’interno delle mura è stato da poco restaurato mentre alle pendici della collina è stata invece costruita la parte moderna dell’abitato seguendo i dettami della ecosostenibilità e costruendo perciò solo case ecologiche nel totale rispetto della natura e del passato.
L’amore dei borghigiani per la loro terra e l’avvedutezza del sindaco, tale Felice Rondinella, sono riusciti così a riportare l’antico borgo ai fasti di un tempo.

Proprio nell’ottica di renderlo un luogo sempre più vivibile, oltre al celebre museo medievale localizzato nel Castelluccio che attira moltissimi turisti da ogni dove, presto verrà aperta anche una biblioteca.
La storia del romanzo prende avvio proprio dai preparativi in corso per l’inaugurazione di quest’ultima. L’assessore alla cultura ha stabilito, infatti, che per celebrare degnamente l’avvenimento, la cerimonia del taglio del nastro dovrà essere inserita all’interno di altri eventi culturali, un festival al quale parteciperanno diversi scrittori tra cui il più famoso di tutti, Rocco Rubino, un acclamato e affascinante autore di gialli.

Il titolo della manifestazione non potrebbe essere più indovinato: “Festival sotto le stelle propizie”.

I personaggi del romanzo sono tantissimi ed è quasi impossibile citarli tutti.
C’è Belinda, una giovane un po’ acidella, che ha deciso di ritornare al paese e aprire qui una bellissima e fiabesca latteria “Fatti mandare dalla mamma” con zia Letizia, grande appassionata del G.M. o Gran Musicante che altri non è che il famoso Gianni Morandi.
La latteria è un luogo splendido, un angolo di paradiso bianco e blu con le piastrelle decorate da mucche e cornicette, dove nuvole bianche si stagliano su uno sfondo celeste. Un luogo accogliente che funge anche da ritrovo culturale per gli abitanti del borgo.

Ci sono poi le due sorelle Mariolina e Marietta.
Mariolina è sposata con Ruggero, di dieci anni più giovane, gran lavoratore e innamoratissimo della moglie. Per la disperazione della consorte però, che fa della cultura un suo punto di forza, lui non azzecca mai un congiuntivo!
Mariolina è perennemente insoddisfatta, sempre alla ricerca di qualcosa che non sa neppure lei cosa sia.
Marietta, invece, nonostante sembri ad una prima lettura un po’ la classica zitella scorbutica, alla fine non può non suscitare la simpatia del lettore.
Il suo essere acida è solo apparenza perché in realtà a 47 anni sogna ancora di trovare il grande amore. Anche lei come Ruggero è una lavoratrice instancabile ed ha da poco rilevato la metà di uno storico negozio di Borgo Propizio ovvero “Fili Fatati dal 1888”.

Ma attorno a loro ruotano tanti altri personaggi il sindaco Felice Rondinella, l’assessore alla cultura Tranquillo Conforti, Ornella, ritornata al paese dopo un matrimonio fallito con un celebre chirurgo, che ora vive con la madre e lavora come organizzatrice di eventi culturali per il comune.

Un giorno poi giunge in paese Antonia, ex moglie di un collega dell’ex marito di Ornella, e da qui i pettegolezzi sulla forestiera dai boccoli ramati si scatenano senza sosta come in ogni paesino che si rispetti… Ma cosa nasconde Antonia?

I personaggi sono davvero numerosissimi: alcuni di essi erano già stati presentati dall’autrice nel primo libro “Borgo Propizio” altri invece sono delle vere e proprie new entry.

“E le stelle non stanno a guardare”, il cui titolo schiaccia chiaramente l’occhio al celebre romanzo di A.J. Cronin (E le stelle stanno a guardare) e con il quale non ha però nulla in comune, è il secondo volume di quella che inizialmente doveva essere una trilogia.
Dico “doveva” essere perché mi sembra di aver capito che Loredana Limone abbia già iniziato a buttare giù qualche idea per una possibile quarta puntata della storia del borgo.

Il primo volume intitolato “Borgo Propizio” uscito per Guanda e poi in edizione economica per Tea, raccontava la storia del borgo quando ancora fatiscente lottava per la propria sopravvivenza e per quella dei suoi abitanti ormai ridotti a poche unità.
Il secondo volume “E le stesse non stanno a guardare” è invece edito da Salani e a breve vedrà la stampa il terzo capitolo dal titolo “Un terremoto a Borgo Propizio”.

Niente paura però, le storie di Borgo Propizio sono storie godibilissime anche se lette singolarmente. Personalmente non ho letto il primo volume, e a parte la curiosità ormai scatenata dai personaggi, non ho trovato alcuna difficoltà ad addentrarmi nelle vie del borgo anche non conoscendo l’antefatto della storia.

Che dire di questo romanzo? È un libro che incatena il lettore non con la suspense o con l’ansia, ma con la sua leggerezza, con la simpatia che suscitano i protagonisti, insomma un libro rilassante e che fa sorridere.

I personaggi della storia sono veri perché calati nella vita reale anche se magari alcuni aspetti caratteriali sono po’ esasperati, ma è giusto che sia così perché il tutto fa parte del fascino fantastico della storia.
La realtà della vita di tutti i giorni la ritroviamo ad esempio nella smodata passione che zia Letizia nutre per Gianni Morandi o nel desiderio di Marietta di partecipare ad una trasmissione in tv come “Incontro in giardino” che non può non richiamare alla mente del lettore la celebre trasmissione “Uomini e Donne”. E poi chi non è stata mai sedotta ed abbandonata dal Rocco Rubino di turno?

Borgo Propizio è il rifugio che ognuno di noi vorrebbe trovare, un luogo ai confini della realtà nel quale rifugiarsi, lontano dallo stress, dai ritmi frenetici, dalla corsa contro il tempo che ognuno di noi è costretto ad affrontare ogni giorno.
Chi non vorrebbe trovare un luogo come la latteria di Belinda dove potersi nascondere per bere una latte caldo, per magiare un gelato latteciocco o frago-latte oppure solo per poter spettegolare un po’ tra amiche?

“E le stelle non stanno a guardare” è un ottimo antidoto contro lo stress, una lettura da concedersi quando ci si vuole coccolare un po’ e magari provare a sorridere del pazzo mondo che ci circonda. 





martedì 10 febbraio 2015

“La principessa di Clèves” di Madame de La Fayette

LA PRINCIPESSA DI CLÈVES
di Madame de La Fayette
NERI POZZA
Riconosciuto come il primo romanzo psicologico moderno, “La principessa di Clèves” venne pubblicato in Francia nel 1678.
Considerato il primo vero classico della letteratura francese è ancora oggi uno tra i principali testi in programma nei licei e nelle università d’oltralpe.

Marie-Madeleine Pioche de la Vergne, conosciuta come Madame de La Fayette dal nome del marito, nacque a Parigi nel 1634.
Fu autrice di diverse opere, spesso pubblicate con uno pseudonimo. Nell'epoca in cui ella visse, infatti, era considerato sconveniente per donna dedicarsi alla scrittura, figuriamoci quindi per una dama del suo rango.
La sua opera più conosciuta“La principessa di Clèves”, ottenne fin da subito un notevole successo.

La vicenda è ambientata nel XVI secolo alla corte di Francia, quella stessa corte nella quale un secolo dopo si muove proprio la sua stessa autrice.

Madame de La Fayette, infatti, racconta usi e costumi, regole di comportamento e bienséances tipici di un ambiente nel quale lei stessa, moglie di un conte e dama di corte di Enrichetta d’Inghilterra, vive ed agisce.

Questo l’incipit del romanzo.

La magnificenza e la galanteria non si sono mai manifestati in Francia con tanto splendore come negli ultimi anni del regno di Enrico II.

Un giorno alla corte di Enrico II e Caterina de’ Medici fa il suo ingresso una giovane ereditiera. Mlle de Chartres è bellissima, virtuosa e modesta. Ad appena sedici anni ha già ricevuto numerose proposte di matrimonio.

Mlle de Chartres, consigliata dalla madre, accetta tra i tanti pretendenti la proposta di matrimonio del principe di Clèves, un giovane bello, saggio e virtuoso.
I sentimenti di Mme de Clèves per il marito però, con grande dispiacere dello stesso, non andranno mai oltre la stima e la riconoscenza.

Un giorno a corte la principessa farà la conoscenza del duca di Nemours e se innamorerà perdutamente, da questi ricambiata.

Nessuna donna è in grado di resistere al fascino del duca di Nemour, l’uomo più avvenente e seducente del mondo, davvero un capolavoro della natura, così come è impossibile per ogni uomo non farsi conquistare dall’avvenenza della principessa di Clèves.

Mme de Clèves è sì una giovane bellissima, ma è soprattutto una donna virtuosa. 
Proprio per questo aspetto del suo carattere non riesce a darsi pace di ciò che prova per un uomo che non è suo marito. 
Schiacciata dai sensi di colpa decide quindi di confessare al consorte i sentimenti per l’altro, implorando il suo aiuto per riuscire a resistere alla sempre più forte tentazione.

Il gesto che la principessa compie è qualcosa di estremo ed unico nel suo genere in una corte dove:

L’ambizione e la galanteria erano l’anima stessa della corte e occupavano le menti sia degli uomini che delle donne.
Erano tanti gli interessi in gioco e tanti gli intrighi, e così grande era la parte che vi prendevano le dame che l’amore era sempre intrecciato alla politica, e la politica all’amore.

Mme de Clèves è diversa da tutte le altre donne e per questo anche il finale del libro e la scelta per la quale opterà la protagonista sono incomprensibili agli occhi di un lettore moderno così come a quelli dei suoi contemporanei, ma perfettamente in sintonia al personaggio creato dalla penna di Madame de La Fayette.

Non voglio anticiparvi nulla del finale, anzi colgo l’occasione per consigliarvi di leggere l’interessante prefazione di Isabella Mattazzi solo al termine della lettura del romanzo se non volete conoscere in anticipo l’epilogo della storia.

Madame de La Fayette sa indagare e scavare a fondo nella psicologia dei personaggi, fornendoci descrizioni dettagliate dei sentimenti contrastanti che essi provano, delle paure e dei tormenti che li assalgono.

Bellissime le pagine in cui Mme de Clèves si confessa al marito ed ancora più intense ed emozionanti quelle in cui ella apre il suo cuore all’uomo di cui è perdutamente innamorata.

“La principessa di Clèves” è un breve romanzo (208 pagine) che, pur presentando una trama all’apparenza piuttosto povera, pone invece grandi interrogativi psicologici, esistenziali e morali.
Inoltre, grazie ad uno stile sobrio ed ad una scrittura elegante e raffinata, è un libro assai piacevole da leggere, decisamente un classico senza tempo da non “perdere”.




martedì 3 febbraio 2015

“I tre giorni di Pompei” di Alberto Angela

I TRE GIORNI DI POMPEI
di Alberto Angela
RIZZOLI
23-25 ottobre 79 d.C.: ora per ora la più grande tragedia dell’antichità

Sono le ore 13 del 24 ottobre e quello che sembrava un comune venerdì, si rivelerà essere invece il giorno di una tragedia di immani proporzioni.

Dal Vesuvius si sprigionerà, infatti, una quantità di energia pari a quella di cinque bombe atomiche e in meno di un giorno Pompei verrà sommersa da un diluvio di ceneri e gas.
Il crollo dei soffitti causato dall’imponente accumulo di pomici e dalle continue scosse sismiche causeranno numerosissimi decessi tra i Pompeiani.
Chi sopravviverà ai crolli non riuscirà comunque a trovare scampo da una morte che sopraggiungerà per soffocamento e per le ustioni causate dalle ceneri.

La vicina Ercolano resterà sepolta sotto metri e metri di fanghi compatti e lava.

Stessa drammatica sorte subiranno le campagne circostanti e le cittadine minori Terzigno, Oplontis, Murecine, Boscoreale, Stabia: ognuno di questi luoghi vivrà la sua personale tragedia.

Il mare impraticabile, le forti burrasche e l’attività vulcanica, impediranno ogni tipo di soccorso e Pompeiani, Ercolanesi…tutti saranno abbandonati al loro triste destino.

Pompei è stata colpita da una serie di catastrofi come raramente è avvenuto nella storia: terremoti, maremoti, piogge di pomici e rocce, valanghe roventi, torrenti di fango, gas irritanti, ceneri asfissianti…La vera “tempesta perfetta”.

E’ vero la storia di Pompei e di Ercolano, della grande eruzione del Vesuvius la conosciamo tutti, sin dalle elementari viene raccontata ad ogni alunno, allora perché scegliere di leggere un libro proprio sugli ultimi giorni di Pompei?
Perché ci sono tantissimi particolari interessanti che ancora ignoriamo e altrettanti elementi che magari abbiamo semplicemente rimosso nel corso degli anni.

Per esempio quanti di voi sanno che in realtà quello che distrusse Pompei, Ercolano e tutte le altre località circostanti non fu il Vesuvio che noi tutti conosciamo?
Il Vesuvio che vediamo oggi in realtà iniziò a crescere esattamente al centro del cratere del monte Somma (o Vesuvius nei testi antichi), il vero killer del 79 d.C.
L’immagine del Vesuvio della tipica “cartolina da Napoli” ha impiegato secoli a raggiungere l’attuale altezza tanto che nei dipinti medievali le sue dimensioni apparivano decisamente ridotte.

E’ vero che gli abitanti della zona di Pompei ed Ercolano, solo per citare le due cittadine più famose, ignorarono per anni gli avvertimenti che il vulcano inviava loro: dai terremoti sempre più frequenti e distruttivi sino a giungere a segnali molto più evidenti nelle ore precedenti l’eruzione, ma va detto a loro favore che, oltre a non essere in possesso delle moderne tecnologie di cui noi oggi disponiamo, l’aspetto del Vesuvius non era per nulla terrificante, non c’era ad esempio nessun cono come quello attuale ad indicare la presenza di un vulcano.
Il territorio si presentava come un monte lungo e basso, piuttosto pianeggiante al centro e con qualche rilievo ai margini.
  
Sappiamo per certo che qualche abitante riuscì a mettersi in salvo. Nella maggior parte dei casi non ne conosciamo i nomi e in qualche caso possiamo azzardarne invece anche l’identità. Tra i possibili superstiti c’è una certa Rectina, una ricca matrona, che sembrava poter vantare una certa familiarità con Plinio il Vecchio, l’ammiraglio della flotta di stanza a Miseno, famoso naturalista nonché zio di Plinio il Giovane, una delle nostre maggiori fonti della tragedia proprio perché egli stesso la visse in prima persona.

Ciò che affascina ne “I tre giorni di Pompei” è la capacità di Alberto Angela di riuscire a raccontare la storia come fosse un romanzo grazie anche a ricostruzioni verosimili di ciò che accadde nelle ore precedenti la tragedia e durante la tragedia stessa.
Senza tralasciare di raccontarci la vera storia dell’area vesuviana inquadrandola magistralmente nel più ampio quadro della storia romana, senza mancare di snocciolare dati scientifici e di illustrarci gli scavi e i ritrovamenti archeologici, Alberto Angela è riuscito a mantenere per ben 463 pagine un ritmo incalzante, regalandoci così una lettura piacevole il cui stile sembra molto più vicino a quello di un romanzo piuttosto che a quello di un saggio.
Mano a mano che ci si avvicina all’ora zero, l’ora dell’eruzione, l’ansia del lettore cresce e così la sua partecipazione quasi fosse egli stesso in prima persona ad essere trasportato dalla folla, colto dallo stesso panico che colse quasi certamente gli abitanti dell’area vesuviana.
Un’empatia che cresce pagina dopo pagina e che induce il lettore a chiedersi cosa avrebbe fatto e come avrebbe reagito se si fosse trovato davvero in prima persona a vivere quei terribili momenti.

Apprezzabili sono la sensibilità ed il profondo rispetto con cui Angela ci racconta gli ultimi istanti di una tragedia che fece migliaia di vittime, persone che morirono in una delle catastrofi più grandi che la storia conosca.
Ho gradito particolarmente il fatto che egli parli di esseri umani e non semplicemente di calchi umani, perché è giusto non dimenticare mai che quelle immagini di vittime giunte sino ai nostri giorni sono state “persone vere” e pertanto richiedono rispetto e dignità.

La storia spesso ci parla di guerre, di battaglie e di grandi eventi senza umanità, senza fare cenno a quanto questo sia costato in termini di vite umane, senza rispetto per i morti; la letteratura al contrario ci mostra il lato umano delle tragedie.
Quando leggete un libro di storia e leggete per esempio della peste, il racconto rimane freddo, lucido come se i morti non fossero persone, ma un semplice dato, un numero.
Pensate ora quanta differenza leggendo ad esempio i Promessi Sposi ed in particolare il racconto della madre di Cecilia che depone la figlia sul carro, pensate al pathos di quelle pagine.
“I tre giorni di Pompei” pur essendo a tutti gli effetti un’opera divulgativa, riesce grazie alla grande capacità espositiva del suo autore, a mantenere vive la pietas e l’umanità nel lettore nei confronti di esseri umani vissuti duemila anni fa.

Perché leggere questo libro? Un valido motivo potrebbe essere più o meno lo stesso che ha spinto l’autore a scriverlo ovvero tirare le fila di tutto il sapere acquisito in più di venti anni di riprese televisive e visite dell’area vesuviana.
“I tre giorni di Pompei” è un validissimo aiuto per fare il punto di tutte le proprie conoscenze sull’argomento.
Ho scoperto con piacere che c’erano molti elementi di cui non sapevo nulla. Che l’eruzione abbia avuto luogo nel 79 d.C, ad esempio, è notizia certa, ma io ignoravo il fatto che ci fossero dei dubbi sul mese dell’avvenimento ovvero che ci fossero due ipotesi di datazione: il 24 giugno e il 24 ottobre.
La tesi che l’eruzione sia avvenuta in autunno piuttosto che in estate è quella più attendibile secondo Angela che ha scelto di dedicare alla controversa questione l’intera appendice alla fine del libro esponendo gli elementi a favore e contro ciascuna datazione.

“I tre giorni di Pompei” demolisce quell’immagine che spesso film e letteratura ci hanno imposto presentandoci i Pompeiani sorpresi dall’eruzione mentre erano impegnati in banchetti o mentre si rilassavano alle terme.
Nulla di più sbagliato, Pompei era in piena emergenza. 
Quasi tutte le case avevano lavori in corso, alcune erano state abbandonate dopo il terremoto del 62 d.C. ed erano disabitate da anni, inoltre c’erano cantieri aperti un po’ ovunque.
A causa poi dell’attività sismica intensificatasi negli ultimi giorni, nelle ore prima dell’eruzione a Pompei mancava l’acqua mentre maleodoranti esalazioni sulfuree salivano dal terreno nelle zone circostanti.

Il libro di Alberto Angela è affascinante, esaustivo ed avvincente, ma se tutte queste qualità da sole non dovessero essere sufficienti per spingervi alla lettura, vi ricordo che acquistando “I tre giorni di Pompei” contribuirete al restauro di un importante affresco ovvero "Adone ferito" che si trova proprio a Pompei nell'omonima casa. 



                                                      

domenica 18 gennaio 2015

“La tentazione di essere felici” di Lorenzo Marone

LA TENTAZIONE DI ESSERE FELICI
di Lorenzo Marone
LONGANESI

Mi chiamo Cesare Annunziata, ho settantasette anni, e per settantadue anni e centoundici giorni ho gettato nel cesso la mia vita. Poi ho capito che era giunto il momento di usare la considerazione guadagnata sul campo per iniziare a godermela sul serio.

Cesare Annunziata è il protagonista di “La tentazione di essere felici” il libro di Lorenzo Marone, scrittore napoletano, classe ‘74.

Cesare Annunziata è un uomo cinico, burbero e scorbutico. E’ vedovo da cinque anni ed è padre di due figli.
La primogenita Sveva, professione avvocato, è sposata ed ha un bambino di nome Federico.
Il secondogenito, Dante, ha una galleria d’arte ed è gay. Il padre è perfettamente a conoscenza dell’orientamento sessuale del figlio, non ne è scandalizzato, non lo condanna né lo giudica per questo, solo attende che un giorno Dante si decida a confessarglielo.

Cesare Annunziata passa le sue giornate liberamente senza pensieri, tra qualche parola scambiata con la vicina di casa, la gattara Eleonora Vitigliano, sorda come una campana e qualche ora trascorsa a casa dell’amico di sempre, Marino, che abita al secondo piano.
Marino ha quasi ottant'anni e, al contrario di Cesare, ha rinunciato a vivere; ormai da anni non esce neppure più di casa tanto che persino la poltrona sembra aver preso la forma del suo corpo vecchio e malandato.

E poi? E poi c’è Rossana, l’infermiera che per arrotondare le entrate allieta le ore dei suoi anziani pazienti e Cesare non fa eccezione. Qualche pillolina blu, e il nostro protagonista è sempre ben felice di poter trascorrere qualche ora con Rossana con la quale però in fin dei conti, a differenza degli altri clienti, egli ha instaurato anche un rapporto di amicizia.

Nonostante l’apparenza, infatti, Cesare Annunziata non è cattivo, egoista sì, ma non cattivo ed alla fine accade qualcosa che farà riemergere la profonda umanità che lui cercava di nascondere agli altri ma sopratutto a se stesso. 

Un giorno, infatti, nell’appartamento vicino si stabilisce una giovane coppia. Emma è una giovane donna molto attraente, ma dallo sguardo malinconico mentre il marito appare come un tipo piuttosto losco.
Nonostante Cesare Annunziata sia intenzionato a rimanere indifferente alla sensazione che qualcosa non funzioni tra i due nuovi arrivati, alla fine cede alla richiesta di aiuto di quegli occhi tristi e si ritrova coinvolto in una vicenda più grande di lui, obbligato ad affrontare problematiche che troppo spesso si crede siano solo temi che ascolti al telegiornale, qualcosa di lontano dalla vita di noi “gente comune”.

In Cesare Annunziata, come in ognuno di noi, vi è un lato oscuro che inevitabilmente talvolta prende il sopravvento.
Nel corso del romanzo però Cesare Annunziata riesce a fare riemergere quanto di buono c’è nel suo carattere e a modo suo tenta non solo di mettere ordine nella sua vita e nel suo passato cercando di recuperare il rapporto con i figli e con il nipote, ma si prodiga anche per aiutare gli altri cercando di risolvere i problemi di Eleonora, spronando l’amico Marino a reagire al suo torpore e sostenendo la giovane Emma.

Lorenzo Marone è riuscito a creare un personaggio vero e credibile e stupisce non poco il fatto che uno scrittore appena quarantenne sia stato capace di descrivere in modo tanto dettagliato e reale le sensazioni, le aspettative disattese, i desideri e le paure proprie di un ultrasettantenne.
Il modo così verosimile, poi,  di descrivere e di indagare i rapporti interpersonali dei vari personaggi, di raccontare la storia della famiglia Annunziata, rivelano che l’autore è indubbiamente un uomo che conosce molto bene la psicologia femminile nonché i contrasti che spesso nascono tra uomini e donne a causa del loro diverso modo di sentire.

“La tentazione di essere felici” è un libro ironico, divertente, ma che allo stesso tempo obbliga il lettore a riflettere sul senso della vita, sulle difficoltà che comportano i cambiamenti e sulla paura di invecchiare.

Un libro spassoso, ma anche un romanzo che, quando meno te lo aspetti, riesce a sferrarti un pugno allo stomaco riportandoti alla realtà, perché ciò che si legge sui giornali ogni giorno contrariamente a quanto pensiamo non è qualcosa lontano da noi, ma qualcosa che può toccare tutti noi molto da vicino.

Cesare Annunziata è un personaggio irriverente, sfacciato e spesso anche maleducato, ma è una persona vera che cerca con fatica di far quadrare il cerchio di una vita prossima al capolinea.
Il protagonista del romanzo ha paura dei bilanci perché sa che quasi nulla di ciò che da giovane aveva sognato per se stesso si è realizzato, cerca quindi di evitarli, di vivere alla giornata, di non pensare perché non riuscirebbe ad accettare l’idea di riconoscersi perdente, di dover accettare il fatto di essere un fallito persino come “egoista” perché se un egoista è colui che persegue il suo bene ad ogni costo, lui questo bene non l’ha mai raggiunto nonostante i numerosi tentativi fatti soprattutto a scapito delle persone che lo hanno amato.
Ovviamente è tutto inutile perché al passato non si può sfuggire, ma è pur vero che finché si è vivi c’è sempre la possibilità di rimettere le cose a posto o c'è almeno la speranza di limitare i danni.

E’ incredibile la capacità di Lorenzo Marone di riuscire a far passare il lettore dal sorriso alla riflessione nell’arco di qualche riga grazie anche ad alcuni passaggi talmente intensi e profondi da meritare di essere riletti più volte.

Bisogna fare attenzione alle parole, è come in cruciverba: una sbagliata può creare il caos.

Non posso in tutta coscienza dire che Cesare Annunziata sia il nonno o il padre che tutti vorrebbero avere, troppi lati del suo carattere, infatti, non si adattano al mio e più di una volta mi sono trovata in aperto contrasto se non proprio in totale disaccordo con il suo modo di affrontare o vedere le cose.
L’ho ammirato profondamente però per la sua tenacia e la sua voglia di vivere oltre che per il suo ostinarsi a voler essere felice ad ogni costo “come può esserlo un vecchio che ha deciso di derubare la vita finché gli è permesso”.
Mi ha fatto sorridere con le sue “trasformazioni” e con la sua incapacità di piegarsi alla triste e disperata arte del “lasciare stare”.
                                            
Del finale del libro non posso anticiparvi nulla per ovvie ragioni, ma posso assicurarvi che le ultime pagine sono davvero intense, un vero inno alla vita e alle mille ragioni per le quali vale la pena di essere vissuta.

Terminata la lettura ogni lettore si sentirà obbligato a rispondere in prima persona ad alcuni interrogativi; verrà spontaneo chiedersi se si è davvero felici, ci si interrogherà sulle proprie scelte facendo un bilancio dei compromessi fatti e inevitabilmente si dovrà prendere coscienza di quante scelte siano state dettate più dalla comodità e dalla paura di vivere veramente piuttosto che da un reale obbligo perché come dice quel filoso un po’ scorbutico che è Cesare Annunziata…

Le vie di mezzo servono a non prendere la strada giusta, quella che ti porta dritto dove vuoi e devi andare. L’essere umano è un maestro nel girare a vuoto pur di non raggiungere l’obiettivo che lo terrorizza.




lunedì 12 gennaio 2015

“La meretrice di Costanza” di Iny Lorentz

LA MERETRICE DI COSTANZA
di Iny Lorentz
SUPERBEAT
Iny Lorentz è lo pseudonimo con cui Iny Klocke e Elmar Wohlrath hanno firmato questo romanzo. Moglie e marito, entrambi studiosi di storia ed appassionati in particolare di storia medievale, in due vantano al loro attivo la pubblicazione di oltre 35 libri.

“La meretrice di Costanza” ha venduto in Germania più di 4 milioni di copie e la serie televisiva “Die Wanderhure” (trasmessa anche in Italia con il titolo di “La cortigiana”) ha realizzato un numero ancora maggiore di telespettatori.

Il romanzo è ambientato nella Germania del 1410 / 1415 e a far da sfondo alla storia di Marie Schärer troviamo la situazione confusa del Sacro Romano Impero e del cattolicesimo.
Morto re Ruprecht, Sigismondo riesce ad imporsi sul contendente Jobst von Mahren, ma si dimostra ben presto incapace di mettere fine alle faide e alle lotte di potere delle grandi casate.
In seno alla Chiesa di Roma nel frattempo ben tre cardinali si dichiarano legittimi successori di Pietro, combattendo l’uno contro l’altro senza esclusione di colpi mentre i costumi del clero sono in completa caduta in quanto monaci e preti sono più dediti al piacere della carne che a quello dell’anima, più interessati ad accumulare ricchezze piuttosto che alla salvezza del proprio gregge.

Marie Schärer ha 17 anni, unica figlia di mastro Matthis, è erede di una cospicua fortuna grazie ai ricchi commerci che il padre intrattiene anche con l’estero. Marie però non è solo ricca, ma anche bellissima: un volto angelico, grandi occhi color fiordaliso, lunghi capelli biondi e un corpo ben fatto ed armonioso.
Non stupisce quindi che Mastro Matthis sia riuscito a combinare per lei un matrimonio con un giovane proveniente da una famiglia altolocata.
Il futuro sposo, Ruppertus Splendidus, è il figlio del conte Heinrich von Keilburg.
Nato da una relazione con una serva Ruppertus non può aspirare all’eredità paterna, ma si occupa comunque in prima persona degli affari del conte. Inoltre, sebbene molto giovane, è già un noto avvocato destinato ad un radioso avvenire.
Ruppertus Splendidus però è un uomo subdolo e senza scrupoli.
In realtà egli non ha mai avuto intenzione di sposare la bella Marie, ma la sua unica volontà è quella di impossessarsi delle ricchezze della famiglia di lei.
Subito dopo aver fatto firmare un contratto matrimoniale al futuro suocero nel quale, tra le varie clausole, pretende che sia messa per iscritto l’illibatezza della sposa, egli agisce in modo che Marie venga accusata di avere venduto il proprio corpo in cambio di denaro e regali.
Marie viene condotta nella torre in attesa del processo e qui, su ordine di Ruppertus, violentata dai complici da lui assoldati.
Il giorno del processo, riconosciuta colpevole, viene fustigata sulla pubblica piazza e cacciata da Costanza senza possibilità di potervi fare ritorno in quanto ritenuta colpevole di meretricio.
Ruppertus Splendidus può così appropriarsi di tutte le ricchezze di mastro Matthis, immobili compresi.
Marie viene abbandonata in fin di vita fuori dalla città e qui viene soccorsa da Hiltrud, una prostituta itinerante. Riacquistate le forze la ragazza non avrà altra scelta che vendere il proprio corpo per sopravvivere.
L’unico scopo della vita di Marie diventerà quindi quello di riuscire un giorno a vendicarsi del suo ex fidanzato e dei suoi complici.

“La meretrice di Costanza” è un romanzo appassionante ed intrigante. Forse un po’ lento all’inizio perché molto descrittivo, ma la storia aumenta il ritmo pagina dopo pagina e nella parte conclusiva il ritmo si fa decisamente serrato.
Il ritmo incalzante dell’ultima parte del libro però non rende, come spesso accade, il finale troppo frettoloso. L’epilogo della storia è ben congeniato e accompagna il lettore con i giusti tempi alla conclusione della vicenda.

I personaggi sono ben caratterizzati, le descrizioni dei luoghi sono molto dettagliate ed il racconto della vita nel XV secolo, in particolare del mondo della prostituzione, è interessante e coinvolgente. 
Un punto di vista originale dal quale osservare la storia.

Il personaggio di Marie Schärer è decisamente affascinante. La Marie che conosciamo nelle prime pagine, quella ragazzina altezzosa e un po’ viziata, è completamente diversa dalla donna che ritroviamo nelle ultime pagine: una donna che ha perso la propria innocenza, una donna che diffida di tutto e di tutti, ma anche una donna intelligente e forte che sa combattere e farsi valere per ottenere ciò che vuole.

L’empatia tra il lettore e la protagonista è destinato a crescere con il procedere del racconto.

All’inizio del romanzo, infatti, Marie sembra un personaggio piuttosto scialbo che poco coinvolge il lettore che stenta così a partecipare alla sua caduta, ma inevitabilmente pagina dopo pagina il personaggio cresce talmente che è impossibile per il lettore non essere coinvolto e soggiogato dalla sua storia.

Non ho mai visto la serie televisiva e ammetto di essere ora abbastanza curiosa di scoprire come la storia sia stata portata sullo schermo.

Il libro è una lettura piacevole e avvincente, fortemente consigliata agli appassionati del romanzo storico.

Come potreste rinunciare ad una storia in cui una giovane donna deve combattere per la sua libertà cercando di imporsi in un mondo in mano ad abati corrotti, ad un clero dissoluto e a notabili prepotenti e senza scrupoli?  

Buona lettura!