sabato 29 marzo 2014

“Storia di una ladra di libri” di Markus Zusak

STORIA DI UNA LADRA DI LIBRI
di Markus Zusak
FRASSINELLI
Vi svelo subito una curiosità sul titolo di questo libro. Non tutti sono a conoscenza del fatto che questo romanzo, il cui titolo originale è “The Book Thief”, in realtà era già stato pubblicato nel 2007 da Frassinelli con il titolo “La bambina che salvava i libri”.
A febbraio del 2014, in occasione dell’imminente uscita del film tratto dal romanzo, la casa editrice ha deciso di ristampare il libro proprio con il titolo del film ovvero “Storia di una ladra di libri”, titolo tra l’altro molto più vicino all’originale.

Il romanzo è ambientato a Molching, un paese vicino a Monaco. La vicenda si svolge tra il 1939 e il 1943. Siamo nella Germania nazista, è l’epoca dell’antisemitismo, delle persecuzioni e dei campi di concentramento, l’epoca della seconda guerra mondiale, della paura dei bombardamenti e dei deliri di onnipotenza del Fuhrer.

Io narrante della storia è la Morte in persona, che sin dalle prime pagine presentandosi al lettore lo invita a fidarsi perché lei sa essere allegra, amabile persino affettuosa, può avere un sacco di qualità, anche se non potrà mai essere bella.
La Morte è sempre attiva, sempre in movimento, il suo lavoro non conosce pause, a lei nessuna vacanza è concessa.
Per questo motivo, per distrarsi, osserva i colori e a volte cerca delle belle storie da raccontare, storie che possano dimostra che l’esistenza degli uomini vale la pena di essere vissuta.
La storia di Liesel Meminger, la ladra di libri, è proprio una di queste.

Liesel ha appena nove anni quando la madre, per motivi politici e problemi economici, è costretta a darla in affidamento. La bambina viene affidata ad una coppia di Molching, i coniugi Hubermann.
Liesel stringe quasi immediatamente un forte legale con il padre adottivo. Hans Hubermann è una persona di grande valore. Nonostante all’apparenza sembri un uomo insignificante, Hans è invece un uomo dotato di grande umanità e sensibilità.
La moglie Rosa, apparentemente burbera e volgare, in un primo momento sembra non riuscire ad entrare in sintonia con Liesel, ma ben presto anche lei non potrà fare a meno di affezionarsi alla piccola.
Rosa Hubermann è in verità una buona madre e una brava donna che non esita un secondo a dare tutto il suo sostegno al marito in ogni occasione persino quando questi deciderà di nascondere l’ebreo Max Vandenburg nella loro cantina mettendo in pericolo tutta la famiglia. Rosa è una donna in gamba che sa dare il meglio di sé nei momenti critici.
Liesel non sa leggere e per questo motivo viene presa in giro dai compagni di scuola, da tutti tranne che dal suo più caro amico Rudy Steiner, il suo vicino di casa.
Ma Liesel ama i libri e le parole scritte più di ogni altra cosa e così, grazie all’aiuto del padre, esercitandosi giorno dopo giorno non solo impara a leggere ma diventa un’eccellente lettrice.

La storia di Liesel è scandita dai suoi libri. Ogni libro rubato dalla ladra di libri ha una sua storia ed è legato ad un particolare ricordo della sua giovane vita.
Tutto ha inizio al cimitero quando viene sepolto il fratellino di Liesel e lei raccoglie da terra, nella neve, il suo primo volume: “Il manuale del necroforo”.
Ebbene quel libro ha per la bimba due importanti significati, che nulla hanno a che vedere ovviamente con il testo. Quel libro porta con sé il ricordo dell’ultima volta in cui la piccola ha visto due persone a lei molto care: il fratello e la madre.
Da quel momento Liesel metterà insieme una sua piccolissima biblioteca fino al giorno in cui sarà in grado di scrivere lei stessa un suo libro, il diario a cui affidare i suoi ricordi e la storia delle persone a lei vicine.

“Storia di una ladra di libri” è un romanzo toccante e coinvolgente. Un romanzo che commuove il lettore fin dalla prima pagina.
I personaggi sono talmente veri che il lettore non può fare a meno di appassionarsi alle loro storie, di piangere e gioire con loro.
Ci sono pagine terribilmente crude come la descrizione della sfilata degli ebrei condotti al campo di concentramento di Dachau e altre, che pur nella loro tristezza, raggiungono i più alti livelli di poesia.
Impossibile non soffermarsi a rileggere passi come gli auguri di Natale di Max Vandenburg a Liesel:

“A volte vorrei che tutto questo finisse, ma poi tu scendi in cantina con un pupazzo di neve tra le mani”.

Il mondo di “Storia di una ladra di libri” è un mondo dove bene e male, giusto e sbagliato non hanno confini netti, un mondo dove ogni giorno si combatte una battaglia per capire se sia meglio fare il proprio dovere di tedeschi o seguire la propria coscienza.
Un mondo dove le parole possono salvare una vita, dare conforto o al contrario se, usate in modo sbagliato, portare la morte.
Il romanzo di Markus Zusak è un romanzo che parla al cuore delle persone, è un romanzo che parla di odio e paura, di amore e amicizia, di lealtà e riconoscenza.

Ho fatto una corsa contro il tempo per riuscire a finire il libro prima dell’uscita del film nelle sale italiane, ma dopo aver letto il romanzo non sono più così entusiasta di andare al cinema nonostante il film vanti interpreti di eccellenza del calibro del premio Oscar Geoffrey Rush e di Emily Watson.
Il libro è talmente perfetto nella scelta delle parole, così originale con le sue storie nella storia e con le sue illustrazioni che credo sia legittimo avere il dubbio che il film possa in qualche modo danneggiare quelle emozioni e quelle sensazioni che la lettura ha saputo regalare al lettore.




lunedì 17 marzo 2014

“Odessa Star” di Herman Koch

ODESSA STAR
di Herman Koch
NERI POZZA
Fred Moorman ha 47 anni, una moglie e un figlio, un lavoro comune e una casa in un quartiere tranquillo e dignitoso, viaggia in utilitaria e frequenta gente banale.

Un giorno incontra al cinema un vecchio compagno di scuola, un tipo che fin dall’epoca si distingueva per essere un personaggio poco raccomandabile.

Max G. ha una bellissima moglie, possiede una Mercedes e vive ad Amsterdam Sud, il quartiere più alla moda ed elegante della città.

Fred è sempre stato un uomo pronto a lagnarsi per ogni cosa: dalla puzza proveniente dal primo piano, alla signora che non raccoglie gli escrementi del cane nelle aiuole.
Fred non sopporta nulla e nessuno: detesta il cognato che ritiene un nullafacente fallito, la cognata perché è solo una povera attrice priva di talento, non sopporta neppure il vicino di casa, Erik Mencken, conduttore televisivo, lo disprezza per la sua finta abbronzatura e ancor più perché lo trova eccessivo nel suo voler piacere a tutti.

Dopo l’incontro con Max G. però scatta qualcosa in Fred che improvvisamente deve fare anche i conti con se stesso e ammettere che la sua vita è un completo fallimento.
Lui non è nessuno, non ha raggiunto nessun obiettivo ed è disgustato dalla mediocrità della sua esistenza.
Decide che è giunto il momento di cambiare e che Max G. è proprio la persona giusta per aiutarlo a fare il salto di qualità, poco importa che il vecchio compagno di studi sia un boss della malavita e che certe persone chiedano prima o poi il conto perchè “in quegli ambienti niente è gratis”.

Il romanzo in realtà inizia dal finale e si apre con Fred Moorman impegnato a trovare un aneddoto da inserire nel discorso che dovrà fare al funerale dell’amico.
Max G. è morto, è stato assassinato, freddato con un colpo di pistola nella sua auto. Proprio da questo delitto trasmesso in tutti i telegiornali, Fred Moorman, io narrante, riavvolge il nastro raccontando come è accaduto che si sia ritrovato a dover scrivere il discorso in memoria del vecchio compagno di scuola.

Nonostante le prime pagine del romanzo mi siano sembrate un po’ più lente del solito, è indubbio che anche con questo libro Herman Koch sia riuscito a scrivere un altro straordinario successo.
Ancora una volta Koch riesce a tenere incollato il lettore al romanzo fino all’ultima pagina, grazie ad un ritmo della narrazione che cresce di intensità e suspense di capitolo in capitolo fino a quello conclusivo adrenalinico e ricco di colpi di scena.

Nei mesi scorsi vi avevo già parlato di altri due romanzi dello stesso autore intitolati “La cena” (Neri Pozza 2010 / BEAT 2011) e “Villetta con piscina” (Neri Pozza 2011 / BEAT2013).

Rispetto a questi due precedenti romanzi si ha l’impressione che in “Odessa Star” vi siano da parte di Koch un desiderio maggiore di insistere su descrizioni nauseanti e disgustose, una più intensa ricerca dell’eccesso a tutti i costi, una volontà di superare il limite che ricorda lo stile pulp dei film di Tarantino.

Nel corso dei tre romanzi inoltre l’immagine della “bella famiglia unita” va disgregandosi: ne “La cena” la famiglia del protagonista è unita qualunque cosa accada, marito e moglie sono disposti a tutto pur di difendere l’unità familiare;  in "Villetta con piscina” si intravede già una crepa nel nucleo familiare quando il protagonista ha una relazione extra-coniugale mettendo a repentaglio l’incolumità della famiglia stessa, infine in “Odessa Star” i legami familiari sono completamente allentati.
Il matrimonio di Fred e Christine è un’unione ormai al capolinea, il loro è uno stare insieme per abitudine, non c’è alcuna complicità e il riavvicinamento finale risulta poco credibile e comunque molto precario.
Gli unici rapporti veri e duraturi in tutti e tre i romanzi sono quelli tra genitori e i figli, nonostante i frequenti alti e bassi dovuti anche all’età adolescenziale di questi ultimi. 

“Odessa Star” è un thriller psicologico in cui ancora una volta Herman Koch descrive un mondo cinico, violento e superficiale, dove il desiderio di essere qualcuno e di ottenere ciò che si desidera autorizza chiunque a prenderselo senza scrupoli, arrivando anche ad uccidere il prossimo per affermare se stessi e la propria volontà.


domenica 9 marzo 2014

“Con rispetto parlando” di Ana Nobre de Gusmão

CON RISPETTO PARLANDO
NERI POZZA
Laurinda è una domestica ad ore. E’ una donna curiosa, superstiziosa, pettegola e perfino volgare, ma nonostante tutte queste sue caratteristiche poco apprezzabili, i suoi datori di lavoro o come lei ama definirli, senza alcuna vena polemica, i suoi “padroni” pendono dalle sue labbra senza neppure capirne il motivo.

Spesso anzi si interrogano sulle abilità di chiaroveggenza della domestica, si chiedono perché senza accorgersene si trovino a raccontarle sempre i fatti loro, a chiederle consigli senza sapersi dare risposte.
Talvolta sono persino irritati con se stessi per non essere in grado di frenarsi, ma è innegabile che abbiano bisogno di lei, delle sue chiacchiere, delle sue follie e perché no dei suoi consigli.

La saggezza di Laurinda è una saggezza popolare fatta di modi di dire come “Dio manda il freddo a seconda dei panni” oppure “Dio scrive sulle righe storte”, solo per citarne alcuni.
Laurinda è religiosa, ma ha una religione tutta sua, fatta di spiriti e fantasmi, di preghiere mezze inventate, di medium e contatti con l’altro mondo:

“Chè pure io mica ci credo a questa storia della confessione, non si metta in testa che solo perché credo in Dio devo credere pure a tutte le balle che i preti ci raccontano”.

I padroni di Laurinda sono quattro, tre donne e un uomo, tutti più o meno della stessa età intorno ai quarant’anni.

La signora Celeste è una donna separata, non vuole il divorzio perché vuole spremere più possibile l’ex marito. Cambia continuamente amanti e fin dalle prime pagine inizia una storia con un ragazzo di vent’anni più giovane che ovviamente Laurinda non approva.
Celeste è una donna a suo modo affascinante ma vuota, indolente ed ossessionata dalla paura di invecchiare.

La signora Vanda invece è la classica casalinga frustrata, tre figli e un marito che non vuole assolutamente che riprenda a lavorare.
Non le mancano i soldi, suo marito guadagna a sufficienza per farla vivere nel lusso con tanto di domestica e cuoca, ma lei fatica ad accettare questa condizione senza far nulla per cambiarla tranne lamentarsene continuamente con Laurinda.

Gli ultimi due datori di lavoro della domestica sono il professor Emanuel, il suo preferito, un uomo colto, scapolo ed omosessuale sempre alla ricerca del grande amore e la signora Ursula.

Ursula fa la ceramista e viene dalla Svizzera. Anni addietro ha lasciato il marito e si è trasferita in Portogallo seguendo l’uomo di cui si era perdutamente innamorata. La storia d’amore è ormai finita e lei si ritrova a vivere da sola in un paese straniero.
Racconta a tutti che ormai non sarebbe più in grado di sopportare la rigidità della società svizzera, ma la realtà è che non trova il coraggio di tornare a casa e di affrontare la sua famiglia ammettendo con essa di aver commesso un errore a lasciare marito, amici, familiari e patria solo per un colpo di testa.

“Con rispetto parlando” è un libro strano, un libro che parla di tutto e di niente, un libro che potrebbe sembrare perfino frivolo e superficiale ma che ad una più attenta lettura si scopre essere il racconto della vita, la vita vera quella di tutti i giorni.

I personaggi sono persone reali con le loro ossessioni, le loro insicurezze, le loro manie...
I pettegolezzi, i pregiudizi e le maldicenze raccontate in queste pagine sono le stesse con le quali ognuno di noi combatte ogni giorno.

“Con rispetto parlando” è un romanzo irriverente, ironico e pieno di umorismo ma allo stesso tempo è anche una garbata commedia umana scritta con delicatezza e grazia.



sabato 1 marzo 2014

“Le ossa della principessa” di Alessia Gazzola

LE OSSA DELLA PRINCIPESSA
di Alessia Gazzola
LONGANESI
Vi anticipo subito che “Le ossa della principessa” è la quarta avventura di Alice Allevi, giovane specializzanda in medicina legale con l’hobby delle indagini poliziesche.
Il romanzo è preceduto dal libro d’esordio di Alessia Gazzola intitolato “L’allieva” (2011) e dai successivi “Un segreto non è per sempre” (2012) e “Sindrome da cuore in sospeso” (2012).

L’autrice, medico chirurgo dal 2007, è specializzata in medicina legale; non è quindi una banale casualità che la protagonista dei suoi romanzi sia proprio una giovane specializzanda nello stesso campo medico.
Come l’autrice si diletta a scrivere storie con brillanti risultati, tanto che il suo romanzo d’esordio ha venduto 60.000 copie ed è stato tradotto in quattro paesi europei, così Alice Allevi sotto l’ala protettrice dell’ispettore Roberto Calligaris, si dedica ad indagare su morti misteriose e persone scomparse, cercando di fare emergere le sue indubbie doti investigative.

Il quarto libro inizia con la scomparsa di una delle colleghe di Alice, una vera carogna di nome Ambra Negri Della Valle: la classica ragazza bella, ricca, intelligente... insomma perfetta nonché ex dell’affascinante quando perfido Claudio Conforti, ricercatore di medicina legale.
Quando Alice e Claudio vengono chiamati per il ritrovamento di un cadavere, in istituto tutti temono il peggio, ma in realtà il corpo, o meglio quello che rimane di esso, non appartiene ad Ambra, ma ad una ragazza la cui scomparsa era stata denunciata anni addietro, per la precisione nel 2006. Viviana Montosi, questo il nome della vittima, era una giovane archeologa che aveva svolto delle ricerche nei territori palestinesi poco prima di far perdere le proprie tracce.
Il caso era rimasto irrisolto e ora dopo anni il cadavere viene ritrovato in un luogo isolato, disposto in posizione fetale, accanto ad esso una coroncina di plastica da principessa.
Chi l’ha uccisa e perché? Perché quello strano rituale di sepoltura? Come spiegare il legame che sembra affiorare tra il ritrovamento del cadavere di Viviana Montosi e la scomparsa della collega Ambra Negri Della Valle?  

Per ovvi motivi non posso dirvi di più sulla trama, trattandosi di un giallo, vi rovinerei il piacere della lettura di un romanzo che si rivela sin dall’inizio carico di suspense.

Il personaggio letterario di Alice è stato paragonato da molti a Kay Scarpetta, celebre protagonista nata dalla penna di Patricia Cornwell. Confesso che non ho mai letto i romanzi della Cornwell e non sono quindi in grado di dirvi quanto ci sia di vero in questa affermazione.

Personalmente nel romanzo della Gazzola ho trovato coinvolgente e piacevole la contaminazione di stili. “Le ossa della principessa” è un giusto mix tra un romanzo giallo, a tratti quasi un thriller, e quel genere che viene oggi comunemente definito chick lit.

La narrazione propone due storie parallele: da una parte abbiamo Alicia Allevi e la sua vita privata un po’ stile protagonista dei libri di Sophie Kinsella e dall’altra la storia di Viviana.
Alice affianca Roberto Calligaris negli interrogatori agli ex-colleghi ed agli amici della vittima e nel frattempo si documenta spulciando il fascicolo della polizia riguardante il caso e leggendo le mail che Viviana aveva inviato alle amiche nell’ultimo periodo della sua vita.

La dottoressa Allevi ricorda a tratti Bridget Jones, la protagonista dei libri di Helen Fielding: come lei è maldestra, pasticciona, indecisa, sentimentalmente negata, combattuta tra due uomini... ma nonostante sembri sempre perseguita dalla sfortuna, Alice, complice il suo intuito infallibile e la capacità di sapersi trovare nel posto giusto al momento giusto, scopre indizi fondamentali per le indagini.

A voler essere sincera sono un po’ pentita di aver letto il quarto libro, forse sarebbe stato più interessante seguire la storia dall’inizio, di certo ho intenzione di leggere appena possibile gli altri tre romanzi perché la curiosità è tanta.
Non vedo comunque nessuna controindicazione per chi volesse leggere questo romanzo per primo.
Diciamo che è un po’ come guardare un telefilm poliziesco dalla quarta puntata, magari non sarete in grado di capire subito tutti i collegamenti tra i personaggi principali, ma questo certamente non vi impedirà di godervi l’indagine e la soluzione del caso.
In verità qualcuno sostiene addirittura che questo sia il romanzo più bello della Gazzola, per ora non ho termini di paragone, ma di certo “Le ossa della principessa” è un libro divertente e intrigante, scorrevole e ben scritto.
                                  


                                     

domenica 16 febbraio 2014

“I masnadieri” di Schiller (1759 – 1805)

I MASNADIERI
di Schiller
MONDADORI
Il romanticismo ebbe le sue origini in Germania. Fu difatti proprio il “romanticismo tedesco” il primo a svilupparsi in Europa grazie ai suoi fondatori: Friedrich Schlegel, suo fratello August Schlegel e Novalis.
Il romanticismo fu preceduto però da un altro movimento il cosiddetto “preromanticismo” che in Germania nella sua ultima fase (1765 – 1785), prese il nome di Sturm und Drang (letteralmente “tempesta ed assalto”).
Lo Sturm und Drang, tra i cui maggiori esponenti ricordiamo grazie alle loro opere Goethe, Herder e lo stesso Schiller, fu un movimento che rivendicò il rifiuto delle ideologie proprie dell’illuminismo e, seguendo la dottrina di J.J. Rousseau, fece proprio l'ideale del “ritorno alla natura”.
Rivalutò l’irrazionale nella vita dell’uomo e si schierò contro il dominio della ragione, ridimensionandone il valore e rivendicando l’importanza dei sentimenti e della fantasia.

“I masnadieri” (titolo originale Die Räuber) furono pubblicati per la prima volta nel 1781, quando il loro autore Johann Christoph Friedrich Schiller era poco più che ventenne e furono poi messi in scena l’anno successivo (1782) ottenendo un grandissimo successo.

L’azione si svolge in Germania in un arco di tempo di circa due anni. Protagonisti del dramma in cinque atti sono i due figli del vecchio conte di Moor, il maggiore di nome Karl ed il secondogenito Franz, entrambi innamorati della bella Amalia Von Edelreich che ricambia l’amore di Karl.
Franz fin dall’inizio dichiara il suo intento di impossessarsi di quanto spetta al fratello e, volendo succedere al padre ad ogni costo, si adopera in ogni modo al fine di renderlo possibile.
Johann Christoph Friedrich Schiller
Prima, servendosi di false lettere, accusa il fratello di aver disonorato il nome di famiglia così che il padre diseredi Karl. Poi, per accelerare la morte del genitore facendo leva sui suoi sensi di colpa, gli fa sapere quanto egli sia stato ingiusto con il figlio prediletto e come sia ormai troppo tardi per pentirsene in quanto Karl è morto in guerra.
Nel frattempo Karl Moor, sconvolto dall’ingiusto castigo inflittogli dal padre, sceglie la strada del crimine e diventa il capo di una banda di giovani masnadieri che mettono a ferro e fuoco città e villaggi.
Venuto però a conoscenza delle macchinazioni del fratello, Karl decide di condurre la sua banda di masnadieri alle porte del castello dei Moor e qui, riuscito ad introdursi all’interno sotto falsa identità, scopre che Amalia è ancora innamorata di lui e che in realtà suo padre è ancora vivo sebbene tenuto prigioniero.
Franz nel frattempo scopre che, sotto le spoglie dell’ospite giunto al castello, si nasconde in verità suo fratello e cerca di eliminarlo facendolo avvelenare da un servo che però si rifiuta di eseguire l’ordine e rivela invece i suoi piani allo stesso Karl.
Franz vedendo ormai la sua morte vicina, terrorizzato da ciò che lo aspetta nell’altra vita per i crimini commessi, diventa pazzo e si uccide prima che i masnadieri possano catturarlo e portarlo al loro comandante.
Il vecchio conte di Moor muore di crepacuore senza comprendere che colui che ha dinnanzi è in realtà quel figlio che credeva morto.
Karl, vorrebbe cambiare vita ora che Amalia lo ha perdonato, ma i masnadieri gli ricordano il giuramento che egli aveva fatto ovvero di essere unito a loro fino alla morte. 
Amalia capisce che non può sopravvivere ad un nuovo abbandono dell’uomo amato e gli chiede di ucciderla. 
Karl si rifiuta di darle la morte, ma è costretto a farlo prima che il fatto vengo compiuto da uno della sua banda.
Sopraffatto dal dolore Karl Moor capisce che tutta la sua vita è stata un inganno e che l’unico modo per uscire dalla sua situazione è arrendersi alle autorità. Decide così di consegnarsi ad un povero contadino, padre di molti figli, in modo che questi possa riscuotere la taglia sulla sua testa e sfamare la sua famiglia.

Schiller fu ben presto acclamato come il tanto atteso “Shakespeare tedesco” e in verità non si può leggendo “I masnadieri” non richiamare alla mente i momenti di pathos e di alta liricità nonché la violenza e la ferocia oltre alla profondità della psicologia dei personaggi di opere quali Macbeth e Riccardo III.
Lo stesso monologo di Franz (atto primo, scena I) ricorda il monologo di Riccardo III, pur rimanendo per me l’opera di Shakespeare di una bellezza ineguagliabile:

Ho ottime ragioni per essere in collera con la natura e – sul mio onore! – le farò valere… Perché non sono strisciato per primo fuori dal ventre di mia madre? Perché non sono stato il solo? Perché mi ha imposto il fardello di questa ripugnante bruttezza? E perché proprio a me? E’ come se per la mia nascita avesse utilizzato solo qualche rimasuglio. (…) Essa ci diede in dono l’inventiva e ci depose miseri e nudi sulla riva di questo grande oceano del mondo – Nuoti chi sa nuotare e chi è troppo impacciato vada a fondo!
(Franz Moor)

io sono privo di ogni bella proporzione,
frodato nei lineamenti dalla natura ingannatrice,
deforme,incompiuto,spedito prima del tempo in questo mondo
che respira,
(…) percio' non potendo fare l'amante
per occupare questi giorni belli ed eloquenti,sono
deciso a dimostrarmi una canaglia e a odiare gli oziosi
piaceri dei nostri tempi. Ho teso trappole ,ho scritto
prologhi infidi con profezie da ubriachi, libelli e
sogni per spingere mio fratello Clarence e il re a
odiarsi
(Riccardo III)
                                                                                                                    
Riccardo III è personaggio unico che con la sua perfidia e la sua crudeltà, con la sua ambiguità e la sua astuzia affascina lo spettatore e il lettore. Non lo si può amare perché lo si teme, ma allo stesso tempo non lo si può odiare perché è impossibile non essere ammaliati da questo grandioso e terribile personaggio shakespeariano.
Franz Moor invece non riesce a coinvolgere il lettore e, contrapposto al fratello Karl, non può vincere il confronto, non solo quando quest’ultimo viene descritto come l’essere perfetto di cui Amalia è innamorata ma neppure quando commette le azioni più abbiette alla testa della sua banda di masnadieri.
Sempre nel confronto con le opere shakespeariane è impossibile inoltre non ravvisare similitudini tra Amalia e Ofelia e tra Karl Moor e Amleto.

Karl è l’eroe di un mondo in disfacimento, dominato dalla violenza e contrapposto al mondo degli antichi:

quando leggo nel mio Plutarco le storie dei grandi uomini, questo secolo di imbrattacarte mi ripugna

Karl Moor, come tutti gli esseri umani, oscilla costantemente tra il bene e il male: egli è l’innamorato fedele e il figlio devoto, ma è anche il crudele comandante dei masnadieri.
Le sue due anime si rispecchiano in quella di altri due personaggi: nel violento e maligno Spiegelberg e in Kosinsky che ha alle spalle una storia molto simile a quella di Karl.
Karl non è mosso dalla malvagità ma piuttosto dal desiderio di libertà, ha voglia di ribellarsi per ristabilire, a suo modo, le leggi calpestate ma al termine del dramma comprende che tutto è stato è un grande errore:

Oh, che pazzo sono stato io a credere di poter rendere bello il mondo con l’orrore e di poter salvaguardare la legge con l’illegalità…

“I masnadieri” di Schiller divenne inoltre un’opera lirica in quattro atti musicata da Giuseppe Verdi (libretto di Andrea Maffei) rappresentata per la prima volta a Londra il 22 luglio del 1847.


domenica 9 febbraio 2014

“Gli ultimi giorni di P.B. Shelley” di Guido Biagi

GLI ULTIMI GIORNI
DI P.B. SHELLEY
di Guido Biagi
LA VITA FELICE
“Spirito di titano, entro virginee forme” così il Carducci definì Percy Bysshe Shelley, ma del celebre poeta inglese abbiamo innumerevoli definizioni “un uomo impazzito, un uomo distrutto” per De Quincey, “un angelo mancato che batte le luminose ali nel vuoto” per Arnold, “cieco per ideali al calor bianco” per Browning mentre per la moglie Mary Shelley semplicemente “non uno di noi”.

Percy Bysshe Shelley era un sognatore, un uomo che si autodefiniva ateo e che metteva al centro del suo universo l’uomo e il suo piacere. 
Shelley era un uomo che bramava la libertà per il genere umano e proprio al raggiungimento di questa piena e totale libertà di pensiero e di sentimenti dedicò tutta la sua esistenza.
Egli era un idealista e un anticonformista che visse seguendo i suoi ideali di libertà in ogni sua forma anche in campo sentimentale e sessuale.
Poeta dalla formazione classica, proprio dalla sua passione per lo studio dei classici greci e latini sviluppò il suo amore per la mitologia.

Guido Biagi in “Gli ultimi giorni di P.B Shelley” cerca di fare chiarezza, analizzando i documenti dell’epoca raccolti negli archivi di Firenze, Lucca e Livorno, sul naufragio nel quale il poeta perse la vita il giorno 8 luglio del 1822.

L’ultima residenza di Shelley fu Villa Magni a San Terenzo, nel comune di Lerici (La Spezia), una villa con l’accesso diretto sulla spiaggia. 
Durante il soggiorno in Liguria Shelley si fece costruire nei cantieri di Genova una goletta. L’imbarcazione in un primo momento doveva essere battezzata con il nome di “Don Juan” in onore di Byron ma in seguito, essendo sorte alcune divergenze con quest’ultimo, Shelley decise di cambiarle nome in “Ariel”.
Durante il viaggio di ritorno da Livorno, a causa di una violenta tempesta e delle condizioni proibitive del mare, la Ariel affondò senza neppure rovesciarsi. Il corpo di Shelley fu ritrovato dopo 10 giorni sulla spiaggia di Viareggio.
Qui secondo le leggi dell’epoca venne sepolto sulla spiaggia e solo dopo svariate richieste fu possibile disseppellirlo e cremarlo sulla medesima spiaggia.
Il funerale di P.B. Shelley
(dipinto di Louis Édouard Fournier)
Tra i presenti alla cerimonia l’amico Trelawny e Lord Byron. Assente Mary Shelley che, in quanto vedova del defunto secondo le regole vigenti in Inghilterra, non poteva presenziare alle esequie del marito.
Guido Biagi oltre a riportare parte dei documenti scovati negli archivi, riporta anche quanto appreso in prima persona dai suoi interrogatori effettuati agli anziani ancora in vita che avevano assistito al funerale sulla spiaggia e al recupero del relitto.
Ci riporta inoltre numerosi dettagli su come la moglie venne a conoscenza della disgrazia e non ultimo cerca di dirimere la questione del cuore incombusto del poeta.
Si narra infatti che il cuore di Shelley fosse stato estratto intatto dal rogo e dopo essere stato ridotto in cenere fosse stato posto in un sacchettino di seta e consegnato da Hunt a Mary Shelley che lo conservò fino alla propria morte in un cassetto della scrivania del defunto marito insieme ad una copia del poema Adonais, poema che P.B. Shelley scrisse in onore di John Keats.
I resti di P.B. Shelley, ad eccezione probabilmente del teschio, della mandibola e di qualche frammento osseo che si ritiene siano stati accolti nella piccola chiesa di Boscombe a Bournemouth, furono inumati a Roma nel cimitero acattolico, quello stesso cimitero che aveva già accolto i resti dell’amico John Keats.

Diverse furono le ipotesi relative al naufragio: qualcuno parlò di suicidio, qualcuno ipotizzò pure un attacco da parte di pirati.
Certo è che come ricorda Giulio Cesare Maggi nella postfazione del libro “erano tempi calamitosi nel Regno Unito per chi fosse portatore di messaggi libertari e progressisti, e questo rischio lo correva anche Shelley, le cui opinioni erano esse pure avversate, perchè ritenute rivoluzionarie” pertanto oggi non possiamo totalmente escludere che qualcuno lo avesse speronato volontariamente per eliminarlo magari su commissione di oppositori politici, così come non possiamo ignorare che qualcuno potesse ritenere che a bordo ci fosse magari Lord Byron e che proprio questi fosse il vero bersaglio.
L’ipotesi più attendibile resta comunque quella del naufragio dovuto alle avverse condizioni del mare, ma se l’Ariel sia affondata da sola o sia stata speronata da un’altra imbarcazione, resterà sempre un mistero.

L'epigrafe sulla lapide, su desiderio di Mary Shelley,  riporta l’indicazione 
COR CORDIUM 
seguita dalle date di nascita e di morte, e più sotto alcuni versi del canto di Ariel dalla "Tempesta" di Shakespeare:
"Nothing of him that doth fade, but doth suffer a sea change, into something rich and strange"
(Niente di lui si dissolve ma subisce una metamorfosi marina per divenire qualcosa di ricco e strano)

                                                                                                                                              

domenica 2 febbraio 2014

“Annus mirabilis” di Geraldine Brooks

ANNUS MIRABILIS
di Geraldine Brooks
BEAT
Edizione originale NERI POZZA

Anno del Signore 1666, Eyam, un piccolo villaggio del Derbyshire, Inghilterra.
Anna Frith, vedova a soli diciotto anni e madre di due bambini, racconta in prima persona la sua storia e quella dei suoi compaesani in quel terribile periodo compreso tra la primavera del 1665 e l’autunno del 1666.
In poco più di un anno la vita di Anna e dell’intero villaggio è completamente sconvolta dall’arrivo della peste, la morte nera.

Il contagio arriva ad Eyam, portato dall’inquilino della stessa Anna, un giovane sarto di nome George Viccars, un uomo gentile e di bell’aspetto.
Un giorno Anna, tornata dal suo lavoro al rettorato, preoccupata di non trovarlo in cucina, sale nella sua camera e lo trova febbricitante e con la testa piegata in modo innaturale a causa di un grosso bubbone, tipico segno della malattia. George Viccars morirà nel giro di pochi giorni.
Morte e disperazione, follia e dolore si impossesseranno da quel terribile momento dell’intero villaggio e di tutti i suoi abitanti.
Il rettore, Mr Monpellion, convince i suoi parrocchiani a non lasciare il paese per evitare di propagare il contagio e così, chiuse le strade e ogni collegamento con il mondo esterno, la popolazione affronta il suo terrificante destino all’interno dei confini del proprio villaggio.
Giorno dopo giorno la popolazione combatte contro la morte e il tormento, ad ogni riunione si contano le assenze, intere famiglie vengono portate via dalla malattia e diventa sempre più evidente la mancanza di manodopera specializzata.
Prima la morte del becchino, poi quella del maniscalco…il tempo passa e i campi non vengono più coltivati per mancanza di braccia, le miniere sono abbandonate, gli animali domestici i cui proprietari sono morti vagano per la campagna in cerca di sostentamento.
In questo clima di terrore e di sospetto crescono le superstizioni, si grida alle streghe, si commettono omicidi e allo stesso tempo prende campo ogni tipo di follia: c’è chi acquista amuleti e formule magiche da un sedicente fantasma e chi invece aderisce al movimento dei flagellanti.

Il romanzo per il quale Geraldine Brooks ha scelto lo stesso titolo di un celebre poema di John Dryden, riguardante proprio gli eventi del 1666, è una storia di fantasia, ispirata però alla vera storia del villaggio di Eyam, conosciuto proprio come il villaggio della peste, poiché i suoi abitanti fecero la coraggiosa scelta di isolarsi per evitare la diffusione del contagio nelle campagne circostanti.

La protagonista Anna Frith, come molti altri, è un personaggio d’invenzione. Anna è una giovane donna determinata e intelligente che nel corso della storia acquista sempre più fiducia in sé stessa e la cui personalità pagina dopo pagina acquista sempre più forza.
Geraldine Brooks è bravissima a fare crescere il personaggio di Anna descrivendone e indagandone ogni dubbio, ogni confusione e insicurezza davanti ai fatti della vita.
“Annus mirabilis” è un romanzo coinvolgente dove ogni personaggio dai protagonisti, ai coprotagonisti fino alle figure di secondo piano sono descritti in modo convincente e completo.

Non aspettatevi scene toccanti, di alta lirica, come la celebre scena della madre di Cecilia ne “I promessi sposi”, la storia della Brooks è un romanzo autentico e crudo dove la liricità non trova posto.
Geraldine Brooks indaga piuttosto l’animo umano e come questo reagisca davanti alle difficoltà, alla brutalità e alla disperazione.
“Annus mirabilis” è un romanzo sul coraggio che l’uomo riesce a dimostrare nelle situazioni di estremo pericolo, ma anche di come queste riescano a fare emergere il peggio che c’è in ognuno di noi; racconta di come la società con le sue regole e le sue leggi rischi di disintegrarsi dinnanzi alla paura.

“Annus mirabilis” è il primo romanzo scritto da Geraldine Brooks, divenuto subito un bestseller internazionale. Tra le sue opere vi ricordo anche “L’isola dei due mondi” e “I custodi del libro” (Beat – Edizione originale Neri Pozza) e sempre edito da Neri Pozza “L’idealista” con il quale l’autrice ha vinto il Pulitzer Prize.