domenica 16 febbraio 2014

“I masnadieri” di Schiller (1759 – 1805)

I MASNADIERI
di Schiller
MONDADORI
Il romanticismo ebbe le sue origini in Germania. Fu difatti proprio il “romanticismo tedesco” il primo a svilupparsi in Europa grazie ai suoi fondatori: Friedrich Schlegel, suo fratello August Schlegel e Novalis.
Il romanticismo fu preceduto però da un altro movimento il cosiddetto “preromanticismo” che in Germania nella sua ultima fase (1765 – 1785), prese il nome di Sturm und Drang (letteralmente “tempesta ed assalto”).
Lo Sturm und Drang, tra i cui maggiori esponenti ricordiamo grazie alle loro opere Goethe, Herder e lo stesso Schiller, fu un movimento che rivendicò il rifiuto delle ideologie proprie dell’illuminismo e, seguendo la dottrina di J.J. Rousseau, fece proprio l'ideale del “ritorno alla natura”.
Rivalutò l’irrazionale nella vita dell’uomo e si schierò contro il dominio della ragione, ridimensionandone il valore e rivendicando l’importanza dei sentimenti e della fantasia.

“I masnadieri” (titolo originale Die Räuber) furono pubblicati per la prima volta nel 1781, quando il loro autore Johann Christoph Friedrich Schiller era poco più che ventenne e furono poi messi in scena l’anno successivo (1782) ottenendo un grandissimo successo.

L’azione si svolge in Germania in un arco di tempo di circa due anni. Protagonisti del dramma in cinque atti sono i due figli del vecchio conte di Moor, il maggiore di nome Karl ed il secondogenito Franz, entrambi innamorati della bella Amalia Von Edelreich che ricambia l’amore di Karl.
Franz fin dall’inizio dichiara il suo intento di impossessarsi di quanto spetta al fratello e, volendo succedere al padre ad ogni costo, si adopera in ogni modo al fine di renderlo possibile.
Johann Christoph Friedrich Schiller
Prima, servendosi di false lettere, accusa il fratello di aver disonorato il nome di famiglia così che il padre diseredi Karl. Poi, per accelerare la morte del genitore facendo leva sui suoi sensi di colpa, gli fa sapere quanto egli sia stato ingiusto con il figlio prediletto e come sia ormai troppo tardi per pentirsene in quanto Karl è morto in guerra.
Nel frattempo Karl Moor, sconvolto dall’ingiusto castigo inflittogli dal padre, sceglie la strada del crimine e diventa il capo di una banda di giovani masnadieri che mettono a ferro e fuoco città e villaggi.
Venuto però a conoscenza delle macchinazioni del fratello, Karl decide di condurre la sua banda di masnadieri alle porte del castello dei Moor e qui, riuscito ad introdursi all’interno sotto falsa identità, scopre che Amalia è ancora innamorata di lui e che in realtà suo padre è ancora vivo sebbene tenuto prigioniero.
Franz nel frattempo scopre che, sotto le spoglie dell’ospite giunto al castello, si nasconde in verità suo fratello e cerca di eliminarlo facendolo avvelenare da un servo che però si rifiuta di eseguire l’ordine e rivela invece i suoi piani allo stesso Karl.
Franz vedendo ormai la sua morte vicina, terrorizzato da ciò che lo aspetta nell’altra vita per i crimini commessi, diventa pazzo e si uccide prima che i masnadieri possano catturarlo e portarlo al loro comandante.
Il vecchio conte di Moor muore di crepacuore senza comprendere che colui che ha dinnanzi è in realtà quel figlio che credeva morto.
Karl, vorrebbe cambiare vita ora che Amalia lo ha perdonato, ma i masnadieri gli ricordano il giuramento che egli aveva fatto ovvero di essere unito a loro fino alla morte. 
Amalia capisce che non può sopravvivere ad un nuovo abbandono dell’uomo amato e gli chiede di ucciderla. 
Karl si rifiuta di darle la morte, ma è costretto a farlo prima che il fatto vengo compiuto da uno della sua banda.
Sopraffatto dal dolore Karl Moor capisce che tutta la sua vita è stata un inganno e che l’unico modo per uscire dalla sua situazione è arrendersi alle autorità. Decide così di consegnarsi ad un povero contadino, padre di molti figli, in modo che questi possa riscuotere la taglia sulla sua testa e sfamare la sua famiglia.

Schiller fu ben presto acclamato come il tanto atteso “Shakespeare tedesco” e in verità non si può leggendo “I masnadieri” non richiamare alla mente i momenti di pathos e di alta liricità nonché la violenza e la ferocia oltre alla profondità della psicologia dei personaggi di opere quali Macbeth e Riccardo III.
Lo stesso monologo di Franz (atto primo, scena I) ricorda il monologo di Riccardo III, pur rimanendo per me l’opera di Shakespeare di una bellezza ineguagliabile:

Ho ottime ragioni per essere in collera con la natura e – sul mio onore! – le farò valere… Perché non sono strisciato per primo fuori dal ventre di mia madre? Perché non sono stato il solo? Perché mi ha imposto il fardello di questa ripugnante bruttezza? E perché proprio a me? E’ come se per la mia nascita avesse utilizzato solo qualche rimasuglio. (…) Essa ci diede in dono l’inventiva e ci depose miseri e nudi sulla riva di questo grande oceano del mondo – Nuoti chi sa nuotare e chi è troppo impacciato vada a fondo!
(Franz Moor)

io sono privo di ogni bella proporzione,
frodato nei lineamenti dalla natura ingannatrice,
deforme,incompiuto,spedito prima del tempo in questo mondo
che respira,
(…) percio' non potendo fare l'amante
per occupare questi giorni belli ed eloquenti,sono
deciso a dimostrarmi una canaglia e a odiare gli oziosi
piaceri dei nostri tempi. Ho teso trappole ,ho scritto
prologhi infidi con profezie da ubriachi, libelli e
sogni per spingere mio fratello Clarence e il re a
odiarsi
(Riccardo III)
                                                                                                                    
Riccardo III è personaggio unico che con la sua perfidia e la sua crudeltà, con la sua ambiguità e la sua astuzia affascina lo spettatore e il lettore. Non lo si può amare perché lo si teme, ma allo stesso tempo non lo si può odiare perché è impossibile non essere ammaliati da questo grandioso e terribile personaggio shakespeariano.
Franz Moor invece non riesce a coinvolgere il lettore e, contrapposto al fratello Karl, non può vincere il confronto, non solo quando quest’ultimo viene descritto come l’essere perfetto di cui Amalia è innamorata ma neppure quando commette le azioni più abbiette alla testa della sua banda di masnadieri.
Sempre nel confronto con le opere shakespeariane è impossibile inoltre non ravvisare similitudini tra Amalia e Ofelia e tra Karl Moor e Amleto.

Karl è l’eroe di un mondo in disfacimento, dominato dalla violenza e contrapposto al mondo degli antichi:

quando leggo nel mio Plutarco le storie dei grandi uomini, questo secolo di imbrattacarte mi ripugna

Karl Moor, come tutti gli esseri umani, oscilla costantemente tra il bene e il male: egli è l’innamorato fedele e il figlio devoto, ma è anche il crudele comandante dei masnadieri.
Le sue due anime si rispecchiano in quella di altri due personaggi: nel violento e maligno Spiegelberg e in Kosinsky che ha alle spalle una storia molto simile a quella di Karl.
Karl non è mosso dalla malvagità ma piuttosto dal desiderio di libertà, ha voglia di ribellarsi per ristabilire, a suo modo, le leggi calpestate ma al termine del dramma comprende che tutto è stato è un grande errore:

Oh, che pazzo sono stato io a credere di poter rendere bello il mondo con l’orrore e di poter salvaguardare la legge con l’illegalità…

“I masnadieri” di Schiller divenne inoltre un’opera lirica in quattro atti musicata da Giuseppe Verdi (libretto di Andrea Maffei) rappresentata per la prima volta a Londra il 22 luglio del 1847.


domenica 9 febbraio 2014

“Gli ultimi giorni di P.B. Shelley” di Guido Biagi

GLI ULTIMI GIORNI
DI P.B. SHELLEY
di Guido Biagi
LA VITA FELICE
“Spirito di titano, entro virginee forme” così il Carducci definì Percy Bysshe Shelley, ma del celebre poeta inglese abbiamo innumerevoli definizioni “un uomo impazzito, un uomo distrutto” per De Quincey, “un angelo mancato che batte le luminose ali nel vuoto” per Arnold, “cieco per ideali al calor bianco” per Browning mentre per la moglie Mary Shelley semplicemente “non uno di noi”.

Percy Bysshe Shelley era un sognatore, un uomo che si autodefiniva ateo e che metteva al centro del suo universo l’uomo e il suo piacere. 
Shelley era un uomo che bramava la libertà per il genere umano e proprio al raggiungimento di questa piena e totale libertà di pensiero e di sentimenti dedicò tutta la sua esistenza.
Egli era un idealista e un anticonformista che visse seguendo i suoi ideali di libertà in ogni sua forma anche in campo sentimentale e sessuale.
Poeta dalla formazione classica, proprio dalla sua passione per lo studio dei classici greci e latini sviluppò il suo amore per la mitologia.

Guido Biagi in “Gli ultimi giorni di P.B Shelley” cerca di fare chiarezza, analizzando i documenti dell’epoca raccolti negli archivi di Firenze, Lucca e Livorno, sul naufragio nel quale il poeta perse la vita il giorno 8 luglio del 1822.

L’ultima residenza di Shelley fu Villa Magni a San Terenzo, nel comune di Lerici (La Spezia), una villa con l’accesso diretto sulla spiaggia. 
Durante il soggiorno in Liguria Shelley si fece costruire nei cantieri di Genova una goletta. L’imbarcazione in un primo momento doveva essere battezzata con il nome di “Don Juan” in onore di Byron ma in seguito, essendo sorte alcune divergenze con quest’ultimo, Shelley decise di cambiarle nome in “Ariel”.
Durante il viaggio di ritorno da Livorno, a causa di una violenta tempesta e delle condizioni proibitive del mare, la Ariel affondò senza neppure rovesciarsi. Il corpo di Shelley fu ritrovato dopo 10 giorni sulla spiaggia di Viareggio.
Qui secondo le leggi dell’epoca venne sepolto sulla spiaggia e solo dopo svariate richieste fu possibile disseppellirlo e cremarlo sulla medesima spiaggia.
Il funerale di P.B. Shelley
(dipinto di Louis Édouard Fournier)
Tra i presenti alla cerimonia l’amico Trelawny e Lord Byron. Assente Mary Shelley che, in quanto vedova del defunto secondo le regole vigenti in Inghilterra, non poteva presenziare alle esequie del marito.
Guido Biagi oltre a riportare parte dei documenti scovati negli archivi, riporta anche quanto appreso in prima persona dai suoi interrogatori effettuati agli anziani ancora in vita che avevano assistito al funerale sulla spiaggia e al recupero del relitto.
Ci riporta inoltre numerosi dettagli su come la moglie venne a conoscenza della disgrazia e non ultimo cerca di dirimere la questione del cuore incombusto del poeta.
Si narra infatti che il cuore di Shelley fosse stato estratto intatto dal rogo e dopo essere stato ridotto in cenere fosse stato posto in un sacchettino di seta e consegnato da Hunt a Mary Shelley che lo conservò fino alla propria morte in un cassetto della scrivania del defunto marito insieme ad una copia del poema Adonais, poema che P.B. Shelley scrisse in onore di John Keats.
I resti di P.B. Shelley, ad eccezione probabilmente del teschio, della mandibola e di qualche frammento osseo che si ritiene siano stati accolti nella piccola chiesa di Boscombe a Bournemouth, furono inumati a Roma nel cimitero acattolico, quello stesso cimitero che aveva già accolto i resti dell’amico John Keats.

Diverse furono le ipotesi relative al naufragio: qualcuno parlò di suicidio, qualcuno ipotizzò pure un attacco da parte di pirati.
Certo è che come ricorda Giulio Cesare Maggi nella postfazione del libro “erano tempi calamitosi nel Regno Unito per chi fosse portatore di messaggi libertari e progressisti, e questo rischio lo correva anche Shelley, le cui opinioni erano esse pure avversate, perchè ritenute rivoluzionarie” pertanto oggi non possiamo totalmente escludere che qualcuno lo avesse speronato volontariamente per eliminarlo magari su commissione di oppositori politici, così come non possiamo ignorare che qualcuno potesse ritenere che a bordo ci fosse magari Lord Byron e che proprio questi fosse il vero bersaglio.
L’ipotesi più attendibile resta comunque quella del naufragio dovuto alle avverse condizioni del mare, ma se l’Ariel sia affondata da sola o sia stata speronata da un’altra imbarcazione, resterà sempre un mistero.

L'epigrafe sulla lapide, su desiderio di Mary Shelley,  riporta l’indicazione 
COR CORDIUM 
seguita dalle date di nascita e di morte, e più sotto alcuni versi del canto di Ariel dalla "Tempesta" di Shakespeare:
"Nothing of him that doth fade, but doth suffer a sea change, into something rich and strange"
(Niente di lui si dissolve ma subisce una metamorfosi marina per divenire qualcosa di ricco e strano)

                                                                                                                                              

domenica 2 febbraio 2014

“Annus mirabilis” di Geraldine Brooks

ANNUS MIRABILIS
di Geraldine Brooks
BEAT
Edizione originale NERI POZZA

Anno del Signore 1666, Eyam, un piccolo villaggio del Derbyshire, Inghilterra.
Anna Frith, vedova a soli diciotto anni e madre di due bambini, racconta in prima persona la sua storia e quella dei suoi compaesani in quel terribile periodo compreso tra la primavera del 1665 e l’autunno del 1666.
In poco più di un anno la vita di Anna e dell’intero villaggio è completamente sconvolta dall’arrivo della peste, la morte nera.

Il contagio arriva ad Eyam, portato dall’inquilino della stessa Anna, un giovane sarto di nome George Viccars, un uomo gentile e di bell’aspetto.
Un giorno Anna, tornata dal suo lavoro al rettorato, preoccupata di non trovarlo in cucina, sale nella sua camera e lo trova febbricitante e con la testa piegata in modo innaturale a causa di un grosso bubbone, tipico segno della malattia. George Viccars morirà nel giro di pochi giorni.
Morte e disperazione, follia e dolore si impossesseranno da quel terribile momento dell’intero villaggio e di tutti i suoi abitanti.
Il rettore, Mr Monpellion, convince i suoi parrocchiani a non lasciare il paese per evitare di propagare il contagio e così, chiuse le strade e ogni collegamento con il mondo esterno, la popolazione affronta il suo terrificante destino all’interno dei confini del proprio villaggio.
Giorno dopo giorno la popolazione combatte contro la morte e il tormento, ad ogni riunione si contano le assenze, intere famiglie vengono portate via dalla malattia e diventa sempre più evidente la mancanza di manodopera specializzata.
Prima la morte del becchino, poi quella del maniscalco…il tempo passa e i campi non vengono più coltivati per mancanza di braccia, le miniere sono abbandonate, gli animali domestici i cui proprietari sono morti vagano per la campagna in cerca di sostentamento.
In questo clima di terrore e di sospetto crescono le superstizioni, si grida alle streghe, si commettono omicidi e allo stesso tempo prende campo ogni tipo di follia: c’è chi acquista amuleti e formule magiche da un sedicente fantasma e chi invece aderisce al movimento dei flagellanti.

Il romanzo per il quale Geraldine Brooks ha scelto lo stesso titolo di un celebre poema di John Dryden, riguardante proprio gli eventi del 1666, è una storia di fantasia, ispirata però alla vera storia del villaggio di Eyam, conosciuto proprio come il villaggio della peste, poiché i suoi abitanti fecero la coraggiosa scelta di isolarsi per evitare la diffusione del contagio nelle campagne circostanti.

La protagonista Anna Frith, come molti altri, è un personaggio d’invenzione. Anna è una giovane donna determinata e intelligente che nel corso della storia acquista sempre più fiducia in sé stessa e la cui personalità pagina dopo pagina acquista sempre più forza.
Geraldine Brooks è bravissima a fare crescere il personaggio di Anna descrivendone e indagandone ogni dubbio, ogni confusione e insicurezza davanti ai fatti della vita.
“Annus mirabilis” è un romanzo coinvolgente dove ogni personaggio dai protagonisti, ai coprotagonisti fino alle figure di secondo piano sono descritti in modo convincente e completo.

Non aspettatevi scene toccanti, di alta lirica, come la celebre scena della madre di Cecilia ne “I promessi sposi”, la storia della Brooks è un romanzo autentico e crudo dove la liricità non trova posto.
Geraldine Brooks indaga piuttosto l’animo umano e come questo reagisca davanti alle difficoltà, alla brutalità e alla disperazione.
“Annus mirabilis” è un romanzo sul coraggio che l’uomo riesce a dimostrare nelle situazioni di estremo pericolo, ma anche di come queste riescano a fare emergere il peggio che c’è in ognuno di noi; racconta di come la società con le sue regole e le sue leggi rischi di disintegrarsi dinnanzi alla paura.

“Annus mirabilis” è il primo romanzo scritto da Geraldine Brooks, divenuto subito un bestseller internazionale. Tra le sue opere vi ricordo anche “L’isola dei due mondi” e “I custodi del libro” (Beat – Edizione originale Neri Pozza) e sempre edito da Neri Pozza “L’idealista” con il quale l’autrice ha vinto il Pulitzer Prize.


domenica 19 gennaio 2014

“Il teschio e l’usignolo” di Michael Irwin

IL TESCHIO E L’USIGNOLO
di Michael Irwin
NERI POZZA

Londra 1760. Richard Fenwick è appena tornato dal suo Grand Tour, viaggio attraverso l’Europa che ogni giovane aristocratico compie per perfezionare il proprio sapere.

Richard Fenwick, orfano dall’età di dieci anni, però non è né ricco né di nobili natali e deve la sua istruzione esclusivamente alla benevolenza del suo padrino, Mr Gilbert, un vecchio amico del padre.

Giovane di belle speranze e nessuna fortuna, attende ora di essere convocato dallo stesso Mr Gilbert nella sua residenza di campagna a Fork Hill per conoscere che cosa egli abbia deciso per il suo futuro.

James Gilbert, un uomo anziano ed enigmatico, gli propone uno strano quanto inaspettato accordo: Richard potrà continuare a vivere a Londra a sue spese, conducendo una vita di piacere e divertimento, assecondando ogni proprio capriccio e desiderio, ma in cambio dovrà raccontagli attraverso una fitta corrispondenza ogni minimo dettaglio ponendo particolare cura nel descrivere sensazioni, sentimenti ed emozioni.

Richard Fenwick, incredulo e felice, non esita ad accettare la proposta di James Gilbert abbandonandosi come da contratto ad una vita sociale tutta dedita all’edonismo.

La città intera sarà la mia arena

Solo con il passare dei giorni e il procedere dell’esperimento, però sì renderà conto di quali insidie l’accordo nasconda e pagina dopo pagina si troverà sempre più coinvolto in un gioco perverso, schiacciato dai dubbi, dai ripensamenti e dagli scrupoli.

Desiderio e Moralità, Illusione e Passione si trovano in un gradevole stato di antagonismo, e l’esito non sarà predeterminato in favore della Virtù, come accade nei romanzi. Sarà quel che sarà.

“Il teschio e l’usignolo” è stato giustamente paragonato ad opere quali “Le relazioni pericolose” di Pierre Choderlos de Laclos ed a “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde.
Richard Fenwick è un elegante libertino che si muove a proprio agio in una Londra descritta splendidamente da Irwin così come magnificamente sono descritti i balli in maschera, le cene, il teatro e tutti i personaggi che animano questa storia intensa, oscura ed ambigua.

Il libro di Michael Irwin è un libro ben scritto, un romanzo d’atmosfera e ricco di mistero che non può non essere apprezzato da tutti coloro che amano la letteratura del diciottesimo e del diciannovesimo secolo.
Non stupisce quindi che questo romanzo sia stato scritto da un professore universitario di letteratura inglese specializzato proprio in letteratura del XVIII e del XIX secolo ed autore di diversi studi su Fielding, Defoe, Richardson, Sterne, Smollett, Johnson e Pope.

Il romanzo idealmente potrebbe essere diviso in due parti: nella prima parte abbiamo la descrizione della vita dissoluta del giovane Fenwick che pian piano si addentra sempre di più nel vizio mentre nella seconda parte leggiamo di come egli inizi a rendersi conto delle conseguenze del suo stile di vita e soprattutto delle pericolose implicazioni del legame da lui stretto con il padrino.
Richard Fenwick comprende che uomo sia realmente Mr Gilbert e quale influenza negativa egli abbia avuto nel corso degli anni sulle persone che in un primo tempo sembrava aver aiutato solo per bontà, il giovane inizia inoltre a disperare di poter essere nominato un giorno unico erede dell’uomo che lo ha legato a sé tramite un patto immorale e dissoluto.
A questo punto riuscirà Richard Fenwick a salvare la sua anima o sarà ormai troppo tardi?

Come sempre non voglio anticipare nulla per non rovinarvi il piacere della lettura. Vi dico solo che per me il finale è stato davvero una sorpresa pur approvando appieno la scelta dell’autore.

“Il teschio e l’usignolo”, primo romanzo di Irwin ad essere tradotto in italiano, è un romanzo dalla trama affascinante, una storia fatta di intrighi, passioni e manipolazioni.
Un romanzo ben riuscito sotto ogni aspetto dalla scelta del linguaggio alla caratterizzazione dei personaggi alle citazioni dei più grandi romanzi dell’epoca.
Lettura assolutamente consigliata.


sabato 11 gennaio 2014

“La regina scalza” di Ildefonso Falcones

LA REGINA SCALZA
di Ildefonso Falcones
LONGANESI

Dopo il successo de “La Cattedrale del mare” e de “La mano di Fatima”, Ildefonso Falcones torna in libreria con il suo terzo successo letterario.
“La regina scalza”, romanzo storico ambientato nella Spagna del XVIII secolo, ci racconta le origini del flamenco, stile musicale nato in Andalusia che affonda le sue radici nella cultura di tre popoli: gitani, moriscos e neri.

Protagoniste del romanzo sono Milagros, una giovane gitana bella e sensuale e Caridad, una schiava appena affrancata giunta in Spagna da Cuba.

Milagros e Caridad sono due donne diversissime così come molto differenti sono le loro storie: la prima è una ragazzina quattordicenne piena di vita e sicura di sé, la seconda è invece una donna adulta di ventisette anni che, nonostante la libertà ottenuta, si sente ancora schiava, sempre con lo sguardo basso e completamente priva di autostima.

Il racconto inizia a Triana, località dell’Andalusia considerata la culla del flamenco, da qui le due giovani arriveranno fino a Madrid, un viaggio durante il quale dovranno lottare per la propria vita e per la propria dignità, troppo spesso calpestata; un viaggio che le vedrà cadere sotto i colpi della sorte avversa ma che le vedrà anche rialzarsi grazie alla forza ed al coraggio che le contraddistinguono.

Noi gitani siamo sempre stati liberi. Tutti i re e i principi in ogni angolo del mondo hanno tentato di piegarci, senza riuscirci. Con noi non ce la faranno mai. Niente e nessuno ci lega. Il rischio non ci fa paura, ce ne infischiamo delle leggi e dei decreti. E' questo che chiunque si consideri un vero gitano ha sempre sostenuto e difeso.

Nel 1748 Fernando VI ed il Marchese De La Ensenada decisero di eliminare la popolazione gitana.
La maggior parte di questi venne arrestata e incarcerata a vita. Gli uomini furono divisi dalle donne, i primi inviati a lavorare nei cantieri e le seconde in carcere. I bambini che avevo compiuto sette anni di età furono mandati con gli uomini, quelli più piccoli furono incarcerati con le donne.
Questi avvenimenti storici fanno da sfondo alla storia raccontata da Ildefonso Falcones, Ana Vega e José Carmona, madre e padre di Milagros, sono arrestati insieme a molti altri gitani e proprio attraverso gli anni di carcere di Ana Vega veniamo a conoscenza delle terribili vessazioni che il popolo gitano fu costretto a subire dal governo spagnolo.
Attraverso altre figure tra cui quella del nonno di Milagros, il fiero Melchor Vega detto il Galeote, Ildefonso Falcone ci racconta del contrabbando del tabacco nella Spagna settecentesca, attività redditizia nella quale ebbero un ruolo di primo piano i religiosi.

“La regina scalza” non vuole essere, come lo stesso Ildefonso Falcones ha dichiarato, un libro di storia, ma semplicemente un racconto di fantasia, ambientato in un periodo storico perfettamente delineato e per scrivere del quale il suo autore si è accuratamente documentato.
E’ proprio questa sua passione per i dettagli che spinge il lettore a volerne sapere di più e a voler indagare ulteriormente sulla storia della Spagna, ma soprattutto sulla storia di un popolo che è stato spesso disprezzato e del quale non si è cercato di capire fino in fondo la fierezza e l’orgoglio di appartenere alla propria etnia.

“La regina scalza” è un romanzo appassionante che coinvolge il lettore, lo fa commuovere, irritare, indignare, ma che sopra ogni cosa è in grado di farlo emozionare.

Ci sarebbero ancora moltissimi elementi da analizzare e molto da scrivere su questo avvincente romanzo di ben settecento pagine, ma poichè credo sia giusto lasciare che scopriate da soli tutto ciò che c’è da scoprire, non mi resta che augurarvi...buona lettura!



domenica 29 dicembre 2013

“Dopo” di Koethi Zan

DOPO
di Koethi Zan
LONGANESI
Il professor Jack Derber sta per essere rilasciato. A distanza di dieci anni dalla loro liberazione, Sarah, Tracy e Christine devono incontrarsi nuovamente per impedire che il loro aguzzino torni in libertà.
Lo psicopatico professore, stimato accademico, aveva rapito le tre ragazze tenendole segregate per anni nella cantina della sua casa in montagna sottoponendole, durante il periodo di prigionia, ad ogni genere di violenza fisica e psicologica.
Sono passati dieci anni dalla fuga di Sarah e dalla liberazione delle sue compagne di prigionia, ma l’incubo non è ancora finito, troppe domande sono rimaste senza risposta, troppi misteri irrisolti: che fine ha fatto il corpo di Jennifer, la quarta vittima? Quale significato hanno quelle strane lettere che Jack Derber invia dal carcere alle tre donne? In che modo Sarah era riuscita ad eludere la sorveglianza del suo carceriere?
Le tre donne hanno cercato con ogni mezzo di lasciarsi alle spalle la terribile esperienza, ognuna in un modo differente.
Sarah si è trasferita nell’affollata città di New York, esce molto raramente e soffre di crisi di panico. 
Tracy si è gettata a capofitto nel lavoro e nello studio.
Christine sembra sia riuscita meglio delle altre a superare la crisi: è una donna sicura di sé, sposata e madre di due bambine.
Tutto però verrà inevitabilmente rimesso in discussione e le tre donne dovranno fare i conti con le loro emozioni e le loro paure, dovranno prendere coscienza che nessuna di loro, in verità, è riuscita a rielaborare e a superare la tragedia vissuta.

“Dopo” è una storia di fantasia che affonda le radici in fatti di cronaca nera purtroppo terribilmente reali, basti pensare al mostro di Cleveland o al caso di Natascha Kampusch, solo per citarne alcuni.
Il romanzo di Koethi Zan, suo romanzo d’esordio, è un thriller psicologico inquietante e ricco di colpi di scena.
L’autrice riesce a coinvolgere a tal punto il lettore che questi si ritrova letteralmente incatenato alle pagine, emotivamente partecipe della vicenda ed egli stesso impegnato ad indagare e a ricercare la verità. Koethi Zan è bravissima inoltre a far sì che il lettore sviluppi una forte empatia verso alcuni personaggi della storia.

Uno dei punti di forza di questo romanzo è la capacità dell’autrice di riuscire a raccontare una storia perversa e crudele, senza mai descrivere nulla, lasciando sempre all’immaginazione del lettore quanto infami e sadiche possano essere le violenze subite dalle vittime.
Questo libro è stato tradotto in oltre 20 Paesi, un successo del tutto meritato. La storia però diventerà presto una serie televisiva e in questo caso il mio timore è che, come troppo spesso accade, si perda la qualità del romanzo in funzione di una morbosa ed eccessivamente dettagliata trasposizione cinematografica.

Chi legge il mio blog sa che non sono proprio un’appassionata del genere, per cui un thriller per convincermi deve essere un ottimo romanzo.
“Dopo” di Koethi Zan rientra decisamente in questa categoria: ritmo incalzante, storia ben costruita, personaggi credibili e caratterizzati psicologicamente in modo perfetto, un thriller mozzafiato di cui consiglio assolutamente la lettura.



venerdì 27 dicembre 2013

“Il campo di battaglia è il cuore degli uomini” di Carlo Patriarca

IL CAMPO DI BATTAGLIA
E’ IL CUORE DEGLI UOMINI
di Carlo Patriarca
NERI POZZA
Primo romanzo di Carlo Patriarca, “Il campo di battaglia è il cuore degli uomini” è un romanzo storico ambientato durante le guerre napoleoniche e più precisamente durante le campagne d’Italia e d’Egitto.

Etienne e Raymond si sono conosciuti all’École militaire di Bordeaux dove hanno stretto una profonda amicizia. 
Entrambi si ritrovano nella piana di Albenga tra le file dell’Armata d’Italia, il primo come medico militare e il secondo in qualità di ufficiale, dopo aver svolto un delicato incarico a Milano per relazionare Parigi sullo stato della guarnigione austriaca.
Proprio nel capoluogo lombardo Raymond ha conosciuto Costanza Melzi d’Eril, moglie di un uomo molto legato al governo austriaco.
A dispetto della guerra e del momento storico in cui tirannia e libertà si intrecciano e si confondono, Raymond, uomo audace ed irruento, si innamora perdutamente di Costanza e rende partecipe dei suoi sentimenti nonché della storia d’amore e di passione vissuta con la donna proprio il suo fedele amico Etienne.
Etienne, uomo di scienza riflessivo e prudente, incontra un giorno Costanza e innamoratosene anch’egli commette l’imprudenza di scambiare con la donna diversi messaggi e trascorre una giornata con lei nel suo rifugio a Bellagio sul lago di Como.
L’amicizia tra i due uomini naufragherà irrimediabilmente nel momento in cui Raymond verrà a conoscenza dell’imprudenza commessa da Etienne che verrà sfidato a duello dall’amico il quale, roso dalla gelosia, vorrà a tutti i costi soddisfazione per l’oltraggio ricevuto.

Il libro di Carlo Patriarca è una storia in cui a dominare la battaglia, come dice il titolo stesso, sono i sentimenti: la passione, l’amore, la gelosia e l’amicizia.
Un libro interessante e ben scritto, coinvolgente e storicamente valido nonostante l’autore, come per sua stessa ammissione, si sia preso qualche libertà anticipando o posticipando alcuni eventi per collocare meglio i personaggi reali e di fantasia all’interno del romanzo.
Le pagine sulla campagna d’Italia sono appassionanti e ancora più avvincenti lo sono quelle sulla campagna d’Egitto.
Magnifica la presentazione di Napoleone Bonaparte, uomo dispotico e umorale ma allo stesso tempo carismatico ed attraente. La sua personalità viene descritta in modo magistrale così come sono indagati in modo perfettamente dettagliato i sentimenti che egli suscita nel prossimo che sia questi un soldato, un medico, un ufficiale o semplicemente una persona comune.

“Il campo di battaglia è il cuore degli uomini” è un romanzo dalla trama avvincente così come sono affascinanti i protagonisti della sua storia: Etienne e Raymond, due uomini così diversi tra loro eppure entrambi vittime della stessa passione.

Carlo Patriarca ha dimostrato con questa sua prima opera di possedere un grande talento riuscendo a conciliare romanzo storico e temi propri della letteratura e del pensiero filosofico anche attraverso numerosi richiami all’opera di Montaigne.