domenica 20 maggio 2012

“L’amministratore” di Anthony Trollope


Anthony Trollope (1815 – 1882) fu uno dei più prolifici scrittori inglesi di epoca vittoriana. La sua produzione consiste in 47 romanzi (tutti di ottimo livello), 8 libri di viaggi, biografie, numerosi racconti e un’autobiografia pubblicata postuma nel 1883. Fu indubbiamente uno scrittore minore rispetto ad autori contemporanei del calibro di Charles Dickens e William Thackeray ma grazie alla sua fantasia, al mestiere ed alla conoscenza degli uomini, molti dei suoi romanzi sono oggi riconosciuti come classici della letteratura inglese.
“L’amministratore” è il primo libro della serie di sei romanzi (gli altri cinque si intitolano: “Le torri di Barchester”, “Il Dottor Thorne”, “La canonica di Framley”, “La casetta di Allington” e “Le ultime cronache del Barset”) che formano il cosiddetto ciclo delle cronache del Barsetshire. In questi romanzi Trollope ci racconta le storie ricche di speranze, timori e intrighi di una società dominata dagli esponenti del clero; tali vicende sono ambientate in una regione immaginaria (Barsetshire) nella quale si trova una cittadina, sede vescovile, altrettanto immaginaria (Barchester).
 “L’amministratore” è una storia molto semplice, con pochi personaggi, ricca però di ironia e di senso del’humour. La lettura delle prime pagine può risultare un po’ ostica se non si è esperti conoscitori della politica ecclesiastica, ma è solo un’impressione iniziale, superata questa apparente difficoltà, infatti, il romanzo si rivela una lettura piacevole e ci offre anche diversi spunti di riflessione molto interessanti.
Protagonista del primo romanzo delle cronache del Barsetshire è il reverendo Harding, primo cantore della cattedrale di Barchester e amministratore del pensionato per vecchi lavoratori (incarico legato alla nomina di primo cantore).
L’amministratore e gli anziani ospiti del pensionato vivono grazie ai proventi di un lascito del 1434, anno in cui John Hiram, un mercante di lana, lasciò in eredità la propria casa ed i propri terreni per il sostegno di dodici cardatori a riposo. L’istituto dall’epoca era prosperato, i terreni adibiti al pascolo erano stati edificati e le case costruite su di essi affittate; nel frattempo non trovandosi più cardatori a Barchester gli ospiti venivano scelti in base ad altri requisiti, direttamente dal vescovo e dai suoi collaboratori.
Septimius Harding è un uomo buono e amabile, è vedovo e ha due figlie: Eleanor, la minore, che vive ancora con il padre e Susan, la maggiore, moglie del reverendo Grantly, figlio del vescovo nonché arcidiacono di Barchester e rettore di Plumstead Episcopi.
Quando John Bold, giovane medico, paladino dei poveri e degli oppressi, sempre pronto ad eliminare ogni forma di sopruso, scopre l’iniqua suddivisione dei proventi del pensionato per cui l’amministratore percepisce una parte molto superiore a quella degli assistiti, decide di dover fare assolutamente qualcosa per rimediare a questa ingiustizia. Così, nonostante sia innamorato di Eleanor, che contraccambia il sentimento, e nonostante sia amico del reverendo Harding, non esita a denunciare pubblicamente la questione, intentando una causa e sensibilizzando anche la stampa. Tutti vengono coinvolti nella controversia ed, oltre ovviamente ai personaggi sopra nominati, entrano nel dibattito anche illustri avvocati, grandi cariche della chiesa e gli stessi anziani dell’ospizio; Trollope riesce a descrivere perfettamente di ognuno caratteristiche, motivazioni, passioni ed eccentricità individuali. Alla fine, Septimius Harding, prostrato ed amareggiato, ed in aperto contrasto con quanto gli verrà suggerito da avvocati e familiari, deciderà di seguire comunque la propria strada e la propria coscienza perché:

Quel che non poteva sopportare era venir accusato dagli altri e non assolto da se stesso. Dubitando, come aveva cominciato a dubitare, della legittimità della sua posizione al ricovero, sapeva che non gli sarebbe stata restituita la fiducia perché il signor Bold era caduto in errore riguardo a certe questioni procedurali; né poteva accontentarsi di cavarsela perché, grazie a qualche scappatoia legale, lui che riceveva dal ricovero il maggior profitto andava considerato solamente come uno dei dipendenti.

Non ci sono personaggi totalmente positivi o negativi, i personaggi descritti da Trollope sono semplicemente uomini e donne, e come tali hanno debolezze, desideri, aspirazioni; a volte sono egoisti, testardi e vogliono imporre la loro volontà altre volte sono confusi, incerti e tormentati dai dubbi.

(Il Dottor Grantly) voleva il successo per la sua parte e la sconfitta per quella dei nemici. Il vescovo voleva la pace a riguardo; una pace stabile se possibile, ma la pace a ogni modo fintantoché non si fosse concluso quel poco che restava dei suoi giorni; ma il signor Harding non solo voleva il successo e la pace, bensì chiedeva anche di essere discolpato agli occhi del mondo.

Certamente in questo romanzo niente e nessuno è salvo: Trollope attacca la chiesa d’Inghilterra, la stampa (The Times che all’epoca di Trollope era noto come il The Thunder, viene nel romanzo chiamato Jupiter), la legge (tribunali, avvocati, magistrati) e non tralascia neppure una frecciata ad un collega, il signor Popular Sentiment, chiaro riferimento a Charles Dickens.

“E questo sarebbe il monte Olimpo?” chiede l’estraneo incredulo. “E’ da questi piccoli edifici, scuri, sudici che hanno origine quelle leggi infallibili a cui i consigli dei ministri si sentono in dovere di obbedire; da cui devono essere guidati i vescovi, controllati i membri della Camera dei Lord e dei Comuni – istruiti sulle leggi i giudici, in fatto di strategia i generali, sulle tattiche navali gli ammiragli e sulla gestione dei loro carretti le venditrici di arance?”. “Sì, amico mio…da queste mura. Da qui vengono emesse le uniche bolle di cui si riconosca l’infallibilità per la guida delle anime e dei corpi britannici. Questa piccola corte è il Vaticano d’Inghilterra. (…)
E’ un fatto stupefacente per i comuni mortali che il Jupiter non sbagli mai.

L’impressione ricevuta dalla lettura di questo primo romanzo è stata piuttosto positiva, ma prima di esprimere un giudizio totalmente favorevole verso Trollope, preferisco leggere il secondo romanzo.  Sono abbastanza curiosa di sapere se le mie aspettative saranno soddisfatte. Chissà se i miei dubbi e il mio desiderio di conferme nascano dal fatto che l’autore non si è rivelato molto gentile nei confronti di uno dei miei scrittori preferiti e del romanzo d’appendice in genere; a voler proprio essere sinceri, non è che Trollope si sia allontanato poi così tanto dalla verità descrivendo i personaggi dickensiani…
Dickens fa della carica sentimentale il suo punto di forza, i suoi personaggi sono sempre schierati dalla parte del bene o del male, nelle sue descrizioni punta spesso sul grottesco e sul comico, caratteristiche che gli hanno fatto guadagnare grande successo di pubblico ma che non sempre hanno attirato i favori della critica.
Trollope, come abbiamo già detto, descrive le passioni umane per quello che sono, nel bene e nel male, non è mai tutto bianco o nero, le persone non sono mai o buone o cattive, nelle sue pagine c’è ironia, mai sarcasmo. Per tutti questi aspetti, ritengo che pur appartenendo alla stessa corrente letteraria del realismo inglese, Anthony Trollope sia forse da considerarsi più realista di Charles Dickens.

Noi ora ci muoviamo con passo più leggero e più veloce; lo scherno risulta più convincente del ragionamento, i tormenti immaginari commuovono più dei veri dolori e i romanzi a pubblicazione mensile persuadono dove dotti volumi in quarto non riescono a farlo. Se è destino che il mondo sia raddrizzato, l’impresa verrà compiuta dai fascicoli da uno scellino.
Tra tutti i riformatori del genere, il signor Sentiment è il più potente (...)
Il signor Sentiment  è senza dubbio un uomo molto potente e forse lo è di più perché i suoi poveri meritevoli sono così estremamente meritevoli; i suoi spietati ricchi così estremamente spietati e i genuinamente onesti così tanto onesti (…)

sabato 12 maggio 2012

“England expects that every man will do his duty” Horatio Nelson (1758 – 1805)


Horatio Nelson, l’ammiraglio britannico più famoso di tutti i tempi, nasce nel 1758 a Burnham Thorpe nel Norfolk.  Figlio di un uomo di chiesa, il reverendo Edmund Nelson, e della pronipote di Sir Walpole (primo ministro del parlamento), sesto di undici figli, perde la madre a soli nove anni e, dopo aver frequentato la scuola, all’età 12 anni entra nella marina reale inglese.
Prestando servizio nelle Indie Occidentali, nel Mar Baltico e in Canada, viene nominato capitano e nel 1878 sposa Frances Nisbet.
Tornato in patria, vi trascorre un tempo per lui interminabile (cinque anni) a mezza paga, senza vedere il mare, in preda allo sconforto ed alla frustrazione.
Quando nel 1793 l’Inghilterra entra in guerra contro la Francia Rivoluzionaria, Nelson ottenuto il comando del vascello Agamemnon, combatte nel Mediterraneo, dove nella battaglia di Calvi, perde la vista dell’occhio destro.
Il 14 febbraio 1797, contravvenendo agli ordini del suo superiore e mostrando tutta la sua audacia al limite dell’insubordinazione, chiude il passaggio alla flotta spagnola e attacca due navi nemiche, divenendo il principale artefice della vittoria della Royal Navy nella battaglia di Cape St. Vincent.
Nominato commodoro, una carica che, di fatto, ha le stesse responsabilità di ammiraglio, mentre partecipa alla battaglia di Santa Cruz (1797) per la conquista di Tenerife, viene colpito al braccio destro e, complici le poco evolute arti mediche del tempo, subisce l’amputazione dell’arto.
Horatio Nelson, nonostante l’incidente, continua a guidare con coraggio e intraprendenza le sue navi e nel 1798 ottiene un’altra grande vittoria sui Francesi nella famosa battaglia del Nilo, meglio conosciuta come la battaglia di Abukir che gli permette di essere nominato “Barone del Nilo”.
Giunto in seguito a Napoli, si impegna a proteggere la famiglia reale di Re Ferdinando IV di Borbone e della Regina Maria Carolina dall’invasione francese e, proprio in questa città, si innamora di Emma Hamilton, giovane moglie dell’ambasciatore inglese, la quale diviene ben presto la sua amante e dalla quale ha una figlia, Horatia.
Nel 1799 partecipa alla riconquista di Napoli dopo il periodo repubblicano e viene nominato Duca di Bronte. A causa di alcuni problemi legati alla sua condotta professionale nel ruolo svolto nella violenta repressione e nella condanna a morte dell’ammiraglio Caracciolo, viene richiamato in patria dove l’Ammiragliato, anche con l’intenzione di allontanarlo da Lady Hamilton, decide di affidargli nuovi incarichi.
Partecipa nel 1801 alla battaglia di Copenhagen diventando il protagonista del terribile bombardamento della città.
La battaglia per la quale Nelson verrà ricordato in eterno resta però la gloriosa battaglia di Trafalgar (21 ottobre 1805); proprio grazie a questo successo, infatti, l’Inghilterra riesce scongiurare un’imminente invasione dell’esercito napoleonico.
HMS Victory
Nelson fa issare sull’albero maestro la famosa frase “England expects that every man will do his duty” (L’Inghilterra si aspetta che ognuno compia il suo dovere) e porta alla vittoria la flotta inglese, chiudendo così in maniera definitiva il duello anglo-francese per il controllo dei mari e degli oceani.
Durante la battaglia un proiettile ferisce Nelson alla spalla sinistra procurandogli una perforazione polmonare e raggiungendo la colonna vertebrale. L’ammiraglio resta cosciente ancora per quattro ore prima di morire, riuscendo così ad assistere al trionfo inglese.
Il suo corpo non viene seppellito in mare, come avveniva per tutti coloro che morivano all’epoca su una nave, ma viene trasportato in patria immerso nel rum, in modo che l’alcool ne consenta la conservazione fino al funerale che sarà celebrato in maniera solenne e grandiosa. La tomba di Nelson si trova a St Paul’s Cathedral a Londra.

Questa a grandi linee è la biografia di Horatio Nelson, un eroe indomito, coraggioso e al tempo stesso contradditorio; un personaggio che mi ha sempre affascinato per la sua vita avventurosa e romantica, per il suo amore appassionato per una donna famosa all’epoca per la sua bellezza e per la morte precoce che lo colse proprio all’apice del suo successo.
Questa mia passione per Nelson e per la storia della Royal Navy all’epoca delle guerre napoleoniche, mi ha portato a leggere diversi libri sul tema. Ecco qualche lettura consigliata per chi volesse approfondire l’argomento:

“Nelson. L’uomo che sconfisse Napoleone” (di Terry Coleman – Mondadori)
Una biografia nella quale viene evidenziato il genio militare di Nelson, il suo patriottismo, ma senza dimenticare di evidenziare anche le caratteristiche dell’uomo, una figura piena di contrasti, eroico ma anche ossessionato di raggiungere la gloria, geniale e meschino nello stesso tempo.







“Nelson e noi” (di Alberto Cavanna e Furio Ciciliot – Mursia)
Il saggio ripercorre gli esordi navali del giovane Nelson, raccontandoci il suo periodo italiano e più precisamente quello ligure (il battesimo del fuoco di fronte a Capo Noli, l'inseguimento per tutta la Riviera di contrabbandieri genovesi e francesi e le spericolate azioni ad Alassio, Laigueglia, Vado e Voltri).







“Il tenente di Nelson” (di George Samuel Parsons – Effemme)
George Samuel Parsons è un ufficiale che combatté e prestò servizio sotto Lord Nelson e ci offre quindi l’eccezione testimonianza degli avvenimenti di cui fu spettatore. Le sue memorie furono pubblicate per la prima volta a puntate tra il 1837 e il 1840 sul Metropolitan Magazine ed in seguito, nel 1843, furono raccolte e pubblicate in un unico volume.







“Il capitano Nelson” (di Martino Sacchi – Magenes)
Nel libro vengono raccontati due anni, a partire dal 21 ottobre 1793, della vita di Horatio Nelson, quando ancora era un semplice capitano di vascello al comando dell’Agamemnon. Basandosi su diari, lettere e rapporti ufficiali, che vengono spesso citati nelle pagine di questo saggio, l’autore ricostruisce i fatti svoltisi 12 anni prima della battaglia di Trafalgar.






“Trafalgar. La battaglia che fermò Napoleone” (di Marco Zatterin – Rizzoli)
Il libro è una delle tante opere che sono state scritte e pubblicate nel 2005 sulla scia dei festeggiamenti per il duecentesimo anniversario della celebre battaglia di Trafalgar.
Come si intuisce dal titolo stesso, Zatterin ricostruisce con dovizia di particolari la battaglia, raccontandola minuto per minuto e riportando l’attenzione anche sui personaggi minori, quali marinai e fanti, che normalmente vengono dimenticati dalla storia fatta solo di ammiragli ed alti ufficiali.








"Lady Hamilton” (di Gilbert Sinouè – Neri Pozza)
A metà tra romanzo storico e biografia, il libro racconta la vita della donna che affascino Nelson e scandalizzò la buona società londinese diventandone l’amante. Fantasia e verità si fondono insieme regalandoci una storia appassionante, una biografia romanzata di scorrevole lettura.
Le pagine in cui vengono ricostruite le vicende della rivolta di Napoli sono molto dettagliate ed accurate.






Per chi volesse invece leggere qualche romanzo ambientato al tempo delle guerre napoleoniche e al quale facciano da sfondo i combattimenti della flotta anglo-fracese consiglio due scrittori in particolare:

C.S. Forester scrittore inglese (1899 – 1966) autore, oltre che di numerosi romanzi di avventure, dei libri dedicati a uno dei miei personaggi di fantasia preferiti: Horatio Hornblower, un antieroe ostinato, taciturno, a disagio in società ma imbattibile al comando della sua nave.
Alcuni definiscono le sue imprese come la più grande epopea che sia mai stata scritta sulla guerra sui mari ed io non posso che essere d’accordo.
Purtroppo non tutti i libri sono reperibili in traduzione italiana e credo che alcuni non siano stati più ristampati essendo pertanto irreperibili.
Sono disponibili comunque nell’edizione BUR Narrativa i seguenti tre volumi (una volta raccolti anche in un unico cofanetto):
Guardiamarina e tenente Hornblower
Le avventure del capitano Hornblower
Commodoro e Lord Hornblower
Il personaggio di Hornblower fu interpretato da Gregory Peck nel film “Le avventure del cap. Hornblower” (1951) di Raoul Walch
Da questa saga inoltre è stata tratta anche una bellissima serie TV in otto episodi, diretti da Andrew Grieve tra il 1998 e il 2003, ed interpretati da Ioan Gruffudd.

Patrick O’Brian, pseudonimo di Richard Patrick Russ (1914 – 2000) è scrittore, saggista e traduttore. Autore di vari romanzi, deve però la sua fama alla saga incentrata sui personaggi del Capitano Jack Aubrey e del suo amico fraterno ed inseparabile compagno, il dottor Stephen Maturin (naturalista ed agente segreto). Sono in totale 21 libri, di cui l’ultimo conclusivo purtroppo è incompiuto. I romanzi sono caratterizzati da un’alta qualità delle ricerche storiche effettuate da O’Brian, un’accurata esposizione delle complesse manovre navali e dalla dettagliata descrizione della società, della marina e della vita in genere dell’epoca.
Da questi romanzi nel 2003 è stato tratto un film “Master and Commander. Sfida ai confini del mare” diretto da Peter Weir e nel quale il ruolo di Jack Aubrey è stato affidato a Russel Crowe. Il film fu candidato a 10 premi Oscar e ne vinse due tra cui quello per la miglior fotografia.

sabato 5 maggio 2012

“Amber” di Kathleen Winsor (1919 – 2003)


Ambientato nell’Inghilterra della restaurazione, dopo il ritorno a Londra di Carlo II dall’esilio in Europa ed il ripristino della monarchia, il romanzo racconta la storia di Amber, figlia illegittima di genitori nobili ma non legati dal vincolo matrimoniale, che viene allevata come una nipote da una coppia di contadini.
Il racconto è la narrazione della sua vita avventurosa e della sua scalata verso il successo: da povera ed ingenua ragazza di campagna fino al titolo di duchessa.
Amber St. Clare riesce a farsi largo, sfruttando il suo fascino e la sua bellezza, in un mondo a lei estraneo ed è proprio grazie anche alla sua intraprendenza che per ottenere quello che desidera, non esita ad usare tutte le sue armi astuzia, spregiudicatezza e soprattutto la sua sessualità.
All'età di 16 anni, innamoratasi a prima vista di Bruce Carlton, un cavaliere di passaggio nel suo villaggio, decide di seguirlo a Londra. Dopo pochi mesi dall’arrivo in città, abbandonata da quest’ultimo ed in attesa di un figlio, rimane vittima di un raggiro e si ritrova presto sposata con un poco di buono che non esita a rubarle tutto il denaro che Bruce le aveva lasciato per il mantenimento del nascituro. Rinchiusa a Newgate per i debiti contratti, riesce ad evadere dalla prigione grazie all’aiuto del bandito Black Jack. Dopo un periodo trascorso in compagnia di quest’ultimo, vivendo di espedienti e di furti, trova lavoro come attrice in teatro. Poiché diversi nobili e perfino il Re rimangono affascinati dalla sua bellezza, la carriera teatrale diviene il trampolino di lancio per la sua ascesa sociale.
Carlo II Stuart
Dapprima diviene l’amate di un ufficiale, il capitano Morgan; in seguito sposa un mercante, il signor Dangerfield, che morendo le lascia in eredità un discreto patrimonio. Ormai ricca, decide di sposare il conte Radclyffe, un nobile che le consente finalmente di raggiungere la posizione a cui aspirava. Rimasta nuovamente vedova, si trasferisce a corte, dove divenuta l’amante di Carlo II, diviene una cortigiana molto influente. In attesa di un figlio del Re e proprio su suggerimento di quest’ultimo, sposa Lord Southesk che, grazie alla benevolenza di Sua Maestà verso la moglie, diviene immediatamente conte e successivamente duca, facendo in tal modo raggiungere ad Amber il titolo da lei tanto ambito di duchessa.
Cercare di condensare un libro di quasi 900 pagine in poche righe è praticamente un’impresa titanica e diviene impossibile se il romanzo, come in questo caso, racconta una storia così movimentata, articolata e complessa. All’inizio abbiamo addirittura due racconti paralleli, quello di Amber e quello della corte, che nel corso della vicenda troveranno sempre più punti di intersezione fino a fondersi in un’unica storia.
Il romanzo fu pubblicato per la prima volta nel 1944 e fu vietato in 14 stati americani per “70 riferimenti a rapporti sessuali, 39 gravidanze illegittime, 10 immagini di donne nude poste davanti ad uomini”. La Winsor capovolge gli schemi del romanzo d’appendice, creandone così un’antitesi vera e propria: Amber non attende passiva il ritorno del suo “principe azzurro”, lei si adopera usando ogni mezzo a disposizione lecito ed illecito per raggiungere i suoi fini e procurarsi i vantaggi desiderati; non c’è nessuna redenzione, nessun rimorso e nessun pentimento finale della protagonista. Il romanzo suscitò grande scalpore per la sua storia oscena ed immorale, ma ebbe un grande successo di pubblico tanto che vendette centomila copie solo la prima settimana ed ancor oggi viene considerato il miglior libro scritto da Kathleen Winsor.
Nonostante “la mole”, che potrebbe spaventare il lettore, il libro è scorrevole, coinvolgente e appassionante. Si rimane affascinati soprattutto dall’affresco dell’epoca che emerge dalle pagine del romanzo. Le ricerche storiche effettuate dall’autrice sono impeccabili e di grande qualità, la storia è curata in ogni minimo dettaglio ed il periodo storico viene descritto in maniera impeccabile: la vita del teatro, i personaggi storici realmente esistiti, la vita sregolata della corte, la prigione di Newgate, la peste, l’incendio di Londra…
Sorprende sopratutto l’eccezionale capacità della Winsor di riuscire a tenere il lettore incollato alle pagine per leggere le avventure di un’antieroina irritante ed indisponente, i cui comportamenti sono dettati esclusivamente dal suo opportunismo, dalla sua mania di protagonismo e dal suo sfrenato arrivismo sociale.
Amber ricorda diversi personaggi femminili della letteratura tra i quali Becky Sharp (“La fiera delle vanità” di William Thackeray), Catherine Earnshaw (“Cime tempestose” di Emily Brontë) e Rossella O’Hara (“Via col vento” di Margaret Mitchell), ma di tutte sembra riassumere solo i difetti, senza condividerne alcun pregio, tranne la bellezza fisica. Amorale e priva di scrupoli quanto Becky Sharp, non ha però la sua cultura. Becky parla fluentemente inglese e francese, è intelligente, ha il dono della satira, suona il piano, canta e recita. Amber decide di calcare le scene per puro calcolo, per lei non è importante essere un’attrice capace e preparata, ma solo apparire fisicamente al meglio, saper recitare è superfluo quando come lei si possiedono bellezza e sensualità; non prova alcun rimorso per la sua ignoranza e le uniche arti che coltiva, le coltiva esclusivamente per aumentare il proprio potere di seduzione. Ricordiamo a questo proposito il colloquio tra Amber e il conte Radclyffe:

“Entrate, madame, ve ne prego. Non vedo perché una donna non possa frequentare una biblioteca, anche se difficilmente troverà cose di suo gusto. O siete per caso uno scherzo di natura, vale a dire una donna istruita?”
Mentre parlava le sue labbra avevano assunto una piega ironica. Come molti uomini, considerava la cultura nelle donne una cosa assurda e perfino divertente. Amber finse di non rilevare il suo sarcasmo, perché su quell’argomento non si offendeva facilmente.

Amber è indomita, viziata e testarda, ribelle e capricciosa quanto Rossella O’Hara e proprio come lei considera il matrimonio un mezzo per raggiungere i propri scopi. Ma Rossella, al contrario di Amber, ha una forza diversa, più vera e pura, sa all’occorrenza rimboccarsi le maniche, lavorare anche la terra perché è proprio dalla terra di Tara, il suo luogo natio al quale è legata, che trae la forza per andare avanti ed e proprio a Tara che trova rifugio nelle avversità. Amber cerca sempre la via più semplice, meno faticosa e i suoi fini sono sempre egoistici e superficiali; non si guarda mai indietro, ha tagliato definitivamente i ponti con il passato, non ha rimpianti e ha cancellato per sempre dalla sua vita la famiglia lasciata a Marygreen.
Catherine Earnshaw è forse il personaggio che si avvicina maggiormente ad Amber e che come lei è orgogliosa e maliziosa, determinata e posseduta dalla smania di far parte dell’alta società.
Cathy però decide di rinunciare all’uomo che ama per non degradarsi nonostante il suo sia un amore infinito ed eterno tanto che la sua psiche non reggerà allo stress causatole dalla sua scelta e questa sua rinuncia di felicità la condurrà alla morte. L’amore di Amber per Lord Carlton non sembra mai totalmente sincero, sembra il frutto di un comportamento immaturo, a volte quasi figlio di un semplice puntiglio infantile, nonostante la sua fissazione per quest’uomo la renda una donna priva di dignità ed orgoglio. Perfino quando si prodiga a curare Bruce durante la peste mettendo a repentaglio la sua stessa vita o quando mette in pericolo le sue relazioni matrimoniali per correre da lui ogni volta che ritorna, il suo attaccamento non convince totalmente. In verità Lord Carton, con il suo atteggiamento sprezzante ed altezzoso, non ispira certamente più simpatia della sua amante. E’ un uomo meschino, egoista e soprattutto ipocrita, Amber per lui è l’amante perfetta ma non sarà mai degna di essere sua moglie. Insomma Amber St. Clare e Bruce Carlton sono la coppia perfetta, degni uno dell’altro sotto ogni aspetto.
“Amber” nel suo insieme è un romanzo avvincente di cui consiglio decisamente la lettura soprattutto a chi sia attratto dall’idea di leggere un romance storico di ottima qualità che esponga una storia da una prospettiva insolita e particolare.



venerdì 27 aprile 2012

Ode a Silvia (da “I due gentiluomini di Verona” di W. Shakespeare)


Vincent Van Gogh – Mandorlo in fiore

Qual luce è luce se Silvia io non vedo,
qual gioia è gioia se Silvia non mi è accanto,
a men di immaginarla a me accanto, nutrito del riflesso della perfezione.
Se la notte io non sono accanto a Silvia non ha più musica per me l’usignolo.
A men di contemplar Silvia di giorno,
non c’è più giorno per me da contemplare.
Non vivo più se lei -mia essenza-
mi toglie la benigna sua influenza che mi da vita,cibo,luce e affetto.
Non evito la morte ,se sfuggo a tal verdetto:
se qui’ mi attardo, corteggio certa morte,
ma dalla vita fuggo ,se fuggo dalla corte.




In uno dei miei film preferiti “Shakespeare in Love” (trailer), la protagonista femminile Viola De Lesseps (interpretata da Gwyneth Paltrow) partecipa, travestita da uomo, all'audizione per il ruolo di Romeo, recitando proprio questo sonetto.
Per un bellissimo video del film cliccare qui  




sabato 21 aprile 2012

“Romancing Miss Bronte” di Juliet Gael


Romancing Miss Brontë ci racconta la vita romanzata di Charlotte Brontë e della sua famiglia. Juliet Gael, mescolando sapientemente finzione e realtà storica, ci regala oltre che un’interessante biografia, un vero e proprio romanzo d’appendice piacevole ed avvincente.
Molto indovinata la scelta della casa editrice italiana Tea di mantenere il titolo originale dell’opera oltre alla suggestiva e romantica copertina.
Il sottotitolo dell’edizione italiana “Passioni, speranze, delusioni e amori di Charlotte Brontë in un romanzo che mescola perfettamente storia e invenzione” assolve pienamente il suo compito di catturare l’interesse del potenziale lettore, descrivendo perfettamente il carattere del romanzo.
Ritroviamo in esso tutte le tematiche tipiche dei romanzi dell’Ottocento: la difficile condizione della donna, l’amore non corrisposto e quello contrastato e sofferto, l’educazione impartita nei collegi e negli istituti di carità, i pregiudizi, i vincoli morali, i contrasti all’interno della chiesa anglicana, gli incontri con personaggi famosi quali Charles Dickens, Elizabeth Gaskell, William Makepeace Thackeray… In definitiva un libro irrinunciabile per tutti gli appassionati delle sorelle Brontë, degli scrittori loro contemporanei e del romanzo vittoriano in genere.

Charlotte Brontë
Ma l’intelligenza era una qualità inutile in una ragazza, e così aveva tenuto le sue speranze strettamente confinate nella sua immaginazione. Le teneva chiuse a chiave nelle sue scatoline, negli scrittoi e nei cassetti segreti, e guardava il fratello avventurarsi nel mondo per vivere i suoi sogni al posto suo.

Per un istante tornarono a essere la famiglia indissolubile della loro infanzia, quando, traumatizzati fin da molto piccoli dalla perdita della madre e dalla morte delle sorelle più grandi, trovarono rifugio dal dolore nella reciproca compagnia. E così erano cresciuti ripiegati su se stessi. I quattro fratelli, i gatti e le oche da compagnia, le domestiche che si affaccendavano per la cucina, il padre distante rinchiuso nel suo studio… e il mondo esterno nient’altro che un ricordo, o un sogno.

La verità era che il fratello le aveva abbandonate diversi anni prima. Era entrato a far parte del vasto mondo riservato al sesso forte: i club di pugilato, le associazioni letterarie e musicali e gli ordini massonici, le campagne politiche e le birrerie. Lui viaggiava a suo piacimento e godeva della massima libertà. Le sorelle si erano brevemente avventurate al di là della frontiera domestica, ma ora erano ritornate nei confini di casa, nel mondo privato della cucina e del salotto. Erano isolate.

E così erano cresciute, socialmente manchevoli, isolate ma convinte del proprio valore. Intellettualmente dotate, si ritiravano nel loro ristretto mondo dove a contare davvero erano soltanto i libri, i dipinti e la musica. In società non erano nulla, ma all’interno del loro universo mentale e nel conforto della loro famiglia, erano giganti, titani, geni.
 
Eppure Emily era molto soddisfatta della sorte toccatale. Sulla porta di casa aveva l’unica cosa che le interessasse  davvero: l’universo naturale della brughiera. I suoi bisogni materiali erano semplici ed era ignara delle limitazioni e delle frustrazioni che consumavano Charlotte.

Charlotte fissò tutti i presenti, incenerendoli con lo sguardo. “Forse, signori miei, confondete la virtù con la convenzione. La formalità non è moralità, come la rettitudine non è la religione”. 

giovedì 12 aprile 2012

"Il prigioniero del cielo" di Carlos Ruiz Zafón


Questo libro fa parte di un ciclo di romanzi che si intrecciano nell’universo letterario del Cimitero dei Libri Dimenticati. I romanzi che compongono questo ciclo sono legati attraverso personaggi e fili argomentativi che gettano tra loro ponti narrativi e tematici, sebbene ciascuno di essi offra una storia indipendente e chiusa in se stessa.Le varie puntate della serie del Cimitero dei Libri Dimenticati possono essere lette in qualunque ordine o separatamente, consentendo al lettore di esplorare il labirinto di storie accedendovi da diverse porte e differenti sentieri, i quali, una volta riannodati, lo condurranno nel cuore della narrazione.

Così recita l’introduzione de “Il prigioniero del cielo”, l’ultimo romanzo appartenente alla trilogia del Cimitero dei Libri Dimenticati.
Ad essere sincera non mi trovo molto d’accordo con il fatto che ogni libro sia indipendente e che quindi la lettura di questi possa essere affrontata in ordine “sparso”. Il personaggio di David Martin ed i riferimenti alla sua opera “La città dei maledetti” nonché i continui richiami a “L’ombra del vento” ed a “Il gioco dell’angelo”, rendono a mio avviso consigliabile aver letto i due romanzi precedenti.

Ritengo che “L’ombra del vento” sia il miglior libro che Zafón abbia scritto, mentre devo ammettere  di essere stata un po’ delusa da “Il gioco dell’Angelo”. “Il prigioniero del cielo”, anche se ovviamente non all'altezza del primo capitolo del Cimitero dei Libri Dimenticati, è comunque un buon romanzo intrigante ed enigmatico, dal finale sospeso ad effetto che lascia le porte aperte ad un altro possibile capitolo della storia o forse a quello conclusivo.

Ho ritrovato con piacere le bellissime descrizioni che solo Zafón è in grado di fare di una città tetra e misteriosa. Descrizioni che mi hanno spinto a visitare Barcellona qualche tempo fa alla ricerca dei luoghi vissuti da quei personaggi diventati ormai per me così familiari…

Ed ora qualche frase del libro accompagnata da alcune foto che ho scattato durante il mio “pellegrinaggio” nella città di uno dei miei autori contemporanei preferiti:


Le persone dall’animo piccino cercano sempre di rimpicciolire anche gli altri.



In questa vita si perdona tutto, tranne dire la verità.



Pazzo è chi si ritiene savio e crede che gli stupidi non siano della sua condizione.






Ci sono epoche e luoghi in cui essere nessuno è più onorevole di essere qualcuno.




Ho sempre pensato che chi ama appartenere ad un gregge deve avere qualcosa della pecora.





Il destino non fa visite a domicilio, ma bisogna andarlo a cercare.











Gli uomini sono così, come i gerani. Quando sembra che ormai si debbano buttare via, si ravvivano.

sabato 7 aprile 2012

Tracy Chevalier


Tracy Chevalier è nata a Washington nel 1962. Trasferitasi a Londra nel 1984, ha lavorato per diversi anni come editor, prima di dedicarsi a scrivere romanzi a tempo pieno. Il suo primo romanzo si intitola La Vergine Azzurra (1997), seguito poi da La ragazza con l’orecchino di perla (1999), libro che ha venduto nel mondo quasi 4 milioni di copie e dal quale è stato tratto l’omonimo film con Colin Firth e Scarlett Johansson. I romanzi successivi sono: Quando cadono gli angeli (2001), La dama e l’unicorno (2003), L’innocenza (2007), Strane creature (2009).
Ho letto per ora solo tre libri di questa autrice ma mi sono ripromessa di leggerli tutti perché sono rimasta positivamente colpita dalla sua bravura fin dalla prima lettura. Tracy Chevalier è in grado di fondere sapientemente nei suoi romanzi verità storica e finzione narrativa, riuscendo con abilità magistrale a far interagire personaggi di pura invenzione con personaggi realmente esistiti. Lo svolgersi delle varie vicende è sempre inserito accuratamente nel contesto storico-sociale dell’epoca in cui avviene, le descrizioni sono sempre suggestive e particolareggiate, i personaggi sempre ben delineati.

La ragazza con l’orecchino di perla, ambientato a Delft nel XVII secolo, narra la storia di Griet, giovane figlia di un decoratore di piastrelle privato del lavoro a causa di un incidente agli occhi, costretta ad andare a servizio nella casa del pittore Vermeer. Tra i due si instaura immediatamente una relazione fatta di sguardi, sospiri e frasi non dette. La giovane è invisa alla moglie dell’artista, gelosa del marito, ed è costretta a subite continui rimproveri dalla madre di quest’ultima. Griet però decide di sfidare per amore (un amore platonico, conturbante e crudele) le convenzioni dell’epoca e, dando prova di dedizione e straordinario coraggio femminile, arriva a posare per Vermeer nel celebre quadro conosciuto come “La fanciulla con il turbante”.

Lui teneva un orecchino sospeso per il gancetto. Riceveva la luce dalla finestra e la catturava in un piccolo quadratino di bianco splendente.
“Eccoti Griet”. Mi porgeva la perla.

Vermeer rappresentò nel quadro una giovane volta di tre quarti, con le labbra socchiuse e lo sguardo enigmatico. La modella indossava una giacca gialla ed un turbante azzurro, da cui scendeva una fascia intonata all’abito; portava all’orecchio una perla a goccia, dai riflessi opalescenti.

L’innocenza è ambientato nelle trafficate strade della Londra di fine Settecento ed in particolare in Hecules Buildings, ventidue case a schiera di mattoni con un giardino sul davanti ed un pub a ciascuna estremità della strada. In esso si narrano le vicende di Jem Kellaway, appena arrivato dalla campagna del Dorsetshire insieme alla famiglia, e della sua nuova amica Maggie Butterfield. Il personaggio storico con cui i ragazzi fanno presto conoscenza è William Blake poeta, incisore e pittore inglese, autore de “I canti dell’innocenza” e “I canti dell’esperienza” che, con le sue folgoranti e improvvise apparizioni, completa lo sfondo sul quale si muovono tutti personaggi.

Il signor Blake invece annuiva piano, come se avesse le idee chiarissime al riguardo, e non pensasse ad altro dalla mattina alla sera. “Hai ragione, ragazzo. Proviamo a fare un esempio. Qual è il contrario dell’innocenza?”
“E facile”, si intromise Maggie. “La malizia”.
“Giusto, mia cara ragazza, ovvero l’esperienza del mondo”. Maggie sorrise radiosa. “E dimmi un po’: tu sei innocente o smaliziata?”
(…) Accigliata, Maggie si voltò a guardare un passante e non rispose.
“Capisci? Non è facile rispondere a una domanda del genere. Ma mettiamola in un altro modo: se l’innocenza è al di là del fiume”, disse Blake indicando l’abbazia di Westminster, “e l’esperienza al di qua”, e qui fece un cenno verso l’anfiteatro Astley, “cosa c’è in mezzo?”
Maggie aprì la bocca ma non le venne in mente nulla.
“Pensateci, figlioli. Mi darete la risposta un’altra volta”.

La storia narrata in Strane creature è basata sulla storia vera di Mary Anning, una raccoglitrice di fossili per professione, che portò alla luce il primo scheletro completo di ittiosauro e che, con il suo lavoro, contribuì a fondamentali cambiamenti negli studi sull’evoluzione e nel pensiero scientifico riguardo alla storia della terra. 
La vicenda del romanzo è ambientata nel 1811 a Lyme un piccolo villaggio del Dorset. Protagoniste della vicenda sono le sorelle Philpot, la diciottenne Margaret e la venticinquenne Elizabeth, che appena giunte da Londra, sorprendono gli abitanti del villaggio per il loro aspetto elegante ma soprattutto per l’indipendenza, l’istruzione e la libertà che ostentano così apertamente in contrasto con il conformismo della tranquilla vita di provincia dell’epoca.
Stringono immediatamente amicizia con Mary Anning, una ragazzina vivace e sveglia, che trascorre le sue giornate sulla spiaggia alla ricerca di fossili. Mary insegna ad Elizabeth a riconoscere quelli che lei definisce i ninnoli e che ritiene essere ossa di enormi coccodrilli vissuti in un lontanissimo passato. La loro amicizia però sarà messa in crisi da un uomo, il colonnello Birch, un collezionista per cui entrambe le donne perdono la testa.
Tracy Chevalier attraverso la descrizione del rapporto tra Mary ed Elizabeth descrive una società ancora dominata dagli uomini e dove ogni novità è vista in modo negativo. Un mondo dove è necessario lottare per abbattere quelle convenzioni sociali e religiose che impediscono di aprire la strada alla conoscenza.

Lo disse con affetto, ma le sue parole mi punsero sul vivo. Sbagliava se pensava che lo facessi solo per i soldi. Naturalmente dovevo essere pagata, ma i fossili non erano solo un affare, erano la mia vita ormai, il mio mondo, uno strano modo di pietra. E forse tra migliaia di anni anche il mio corpo sarebbe diventato così. Forse un giorno qualcuno mi avrebbe trovata dentro la scogliera…Cosa ne avrebbero fatto di me?