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domenica 12 marzo 2023

Strumenti musicali. Guida alle collezioni medicee e lorenesi

Il museo degli strumenti musicali della Galleria dell'Accademia di Firenze venne inaugurato nel 2001. La collezione del Conservatorio Luigi Cherubini consisteva in più di 40 strumenti, appartenenti alle collezioni medicee e lorenesi, databili tra il diciassettesimo e il diciannovesimo secolo.

Questo piccolo catalogo bilingue (italiano-inglese) si apre con un’introduzione in cui viene brevemente presentato il museo, seguita da una serie di schede dedicate agli strumenti e ai quadri esposti. I soggetti rappresentati sono nature morte nelle quali figurano degli strumenti  e personaggi legati sempre all'ambiente musicale.

Il più grande collezionista di strumenti fu senza dubbio il Gran Principe Ferdinando che si dilettava egli stesso come musicista. Sotto il regno di Cosimo III de’ Medici la collezione raggiunse il suo massimo splendore e a questo periodo risale la maggior parte dei dipinti esposti. Fu il Gran Principe Ferdinando, tra le altre cose anche grande collezionista d’arte, a commissionare quei ritratti di musici conosciuti come i musici del gran principe.

In uno di questi dipinti, opera di Anton Domenico Gabbiani (1632-1726), si riconosce proprio Ferdinando de’ Medici. Non altrettanto facile è invece riuscire a identificare i singoli personaggi, per i quali spesso ci si può solo limitare a fare ipotesi plausibili qualora ci siano motivazioni convincenti in tal senso. Risulta chiara, comunque, una certa complicità tra il Gran Principe e i suoi musici, una familiarità spesso deprecata da Cosimo III come si evince nella sua corrispondenza col figlio nella quale lo invitava a trattare con essi da par suo.

Tra le particolarità del catalogo figurano strumenti come la famosa viola tenore di Antonio Stradivari, considerata lo strumento più celebre della collezione. Questa viola ci è giunta nella forma e nella struttura originali, aspetto che la rende un oggetto oltremodo prezioso. Leggendo il libro si comprende che gli strumenti giunti ai giorni nostri sono in realtà solo una minima parte dell’intera collezione medicea, sia perché i Lorena li misero all'asta per monetizzare, sia perché nel corso degli anni vennero periodicamente aggiornati per renderli in linea con le mode musical dei tempi, sia perché spesso venivano prestati ai musici senza che poi questi li restituissero, vuoi ormai perché inutilizzabili o, magari più semplicemente, perché andati perduti.

Curioso è leggere in cosa consistessero questi ammodernamenti degli strumenti compiuti appunto per renderli più adatti all’esecuzione della musica del momento; alcuni di essi, ad esempio, sono stati ridimensionati nella cassa, in altri è stata modificata l’inclinazione del manico, in altri sono state fatte modifiche per aumentare il numero delle corde.

È quindi impossibile oggi poter ricreare quel suono originario delle musiche così come queste venivano eseguite al tempo della loro composizione. Per ovviare in parte a questa problematica, e al fatto che spesso lo stato di conservazione degli strumenti non permetterebbe neppure di eseguire idonei restauri, si è cercato oggi di ricostruire copie il più possibile conformi agli originali.

Il Gran Principe Ferdinando raccolse intorno a sé non solo musici e costruttori di strumenti di ambiente fiorentino, ma invitò alla sua corte anche molti artigiani e musicisti provenienti da tutta Italia. Proprio a Firenze il patavino Bartolomeo Cristofori ideò il famoso fortepiano, principale antenato del più moderno pianoforte. Nelle collezioni esposte nella Galleria dell’Accademia tra gli strumenti costruiti appunto dal Cristofori si può ammirare il più antico pianoforte verticale conosciuto oltre ad una bellissima spinetta ovale.

La prima edizione di questo catalogo è datata 2001, ma è stato ristampato più volte nel corso degli anni fino almeno al 2021, anno della ristampa in mio possesso.

Come viene specificato nel libro stesso, risulta un po’ strano pensare di vedere esposti questi strumenti come se si trattasse di arte visiva piuttosto che di strumenti nati per essere ascoltati. È indubbio, comunque, che alcuni di essi siano di per sé delle vere opere d’arte se si guarda ad esempio agli intarsi di madreperla presenti su alcuni o a strumenti quali il salterio di Cosimo III.

Attraverso le pagine del libro e le schede dedicate ai vari strumenti si ripercorre la storia della musica dalla corte medicea alla corte lorenese. 

Con la morte del Gran Principe Ferdinando finiva anche l’età della grande musica eseguita nelle ville di proprietà, la più celebre delle quali per gli allestimenti degli spettacoli che vi venivano eseguiti era senza dubbio quella di Pratolino.

Con l’avvento dei Lorena la musica mutò completamente. Essi erano soliti dare feste a Palazzo Pitti dove veniva invitata addirittura tutta la popolazione ed ovviamente la musica da ballo era quella che andava per la maggiore.

Coloro che visitarono Firenze all'epoca della corte lorenese non mancarono di rimarcare la scarsa vivacità della vita musicale della città oltre alla difficoltà di accesso alle raccolte e alle biblioteche.

 



lunedì 12 dicembre 2022

“Il volto di Vivaldi” di Federico Maria Sardelli

Qualche tempo fa partecipai ad un evento in cui venivano esposti e commentati alcuni quadri che ritraevano Niccolò Paganini. Rimasi colpita dal fatto che lo stesso violinista, vissuto comunque in un’epoca relativamente recente, lamentasse il fatto che la maggior parte delle opere non gli assomigliassero affatto. Si racconta che quando vide il suo ritratto eseguito da George Patten, ne commissionò al pittore subito una copia, poiché per la prima volta vi aveva riconosciuto la propria immagine.

Antonio Vivaldi visse parecchi anni prima di Paganini, ma non ho potuto fare a meno leggendo il titolo di Federico Maria Sardelli di ritornare con la mente a quell’episodio.

Se nel primo libro, “L’affare Vivaldi”, il maestro Sardelli aveva affrontato la storia dei manoscritti del Prete Rosso, in questo ultimo si ripropone di fare il punto su quali e quanti siano i ritratti di Vivaldi a noi giunti che si possano ritenere attendibili.

Una prima parte del volume più generica è dedicata alle questioni di metodo. Si analizzano quindi i criteri usati in passato e quelli utilizzati oggi nel tentativo di riconoscere un dato musicista in un certo dipinto.

Uno degli errori più comuni si è rivelato essere quello di voler leggere il ritratto attraverso la sensibilità di un’epoca completamente differente. Spesso si tende a cogliere nell’individuo effigiato sovrasensi idealistici e romantici che non potevano appartenere all’epoca in cui tale personaggio visse. Così, se tali sovrasensi possono essere attribuiti a musicisti dell’epoca romantica ritratti da pittori coevi, gli stessi non possono essere di certo applicati ai ritratti di musicisti di epoca barocca quando il sentire era completamente differente.

Non si può prescindere, inoltre, da tenere presenti molte altre variabili quali: l’esistenza di pittori più o meno bravi, la differenza e la resa delle diverse tecniche utilizzate per il ritratto, l’analisi degli attributi che identificavano la categoria di appartenenza dell’effigiato, la concreta possibilità di incorrere in errori indotti dalla conoscenza di elementi biografici del musicista in questione.

Nella seconda parte del libro si entra nel vivo della trattazione e si cerca di fare quindi più specificatamente chiarezza sui ritratti di Antonio Vivaldi a noi giunti incrociando dati stilistici, dati tecnico-scientifici ed elementi biografici. L’interdisciplinarità diventa elemento fondamentale per poter raggiungere un’analisi quanto più attendibile possibile. 

Dei ritratti presi in esame dall’autore molti risulteranno false attribuzioni, altri copie di ritratti originali, alcuni risulteranno essere poi ritratti dal vero, altri rimandati a memoria dall’artista, alcuni contemporanei ed altri postumi.

Vivaldi, per quanto conosciuto, non fu certamente da considerarsi facoltoso e ben introdotto come lo furono, ad esempio, Händel o Corelli. Entrambi questi due musicisti furono anche importanti collezionisti d’arte e le loro pinacoteche personali oltre a contare numerosissime opere annoveravano diversi artisti importanti. Quando alla morte di Vivaldi vennero inventariati i suoi beni tra questi erano presenti solo quattrodici quadretti, tutti anonimi.

Vivaldi non poteva quasi sicuramente permettersi di commissionare il proprio ritratto ad un pittore famoso. Il ritratto di Bologna però che, come si evince dalle pagine del libro, risulta essere uno dei più attendibili può di fatto essere attribuito a un buon pittore di scuola veneta per quanto anonimo.

Tra le effigi vivaldiane risultate degne di fede, seppur con manifesti limiti dovuti alle tecniche utilizzate o ad altre problematiche, ci sono le caricature eseguite da Pier Leone Ghezzi e l’incisione di La Cave.

“Il volto di Vivaldi” è un libro interessante e ben articolato. Federico Maria Sardelli entra nei dettagli, sviscera ogni più piccolo indizio, confronta e analizza, scompone e ricompone ogni particolate. Il lettore non può che rimanere affascinato e avvinto dalla stringente logica e dal metodo investigativo dell’autore.

Federico Maria Sardelli è un personaggio eclettico. Saggista, direttore d’orchestra, compositore, pittore, autore satirico nonché Membro dell’Istituto Italiano Antonio Vivaldi e responsabile del catalogo vivaldiano. In questo volume risaltano tutte le sue doti e le sue capacità: lo spirito investigativo, la competenza, la capacità di analisi, la conoscenza dell’argomento e l’ironia che emerge tra le pagine strappando più di un sorriso al lettore soprattutto quando viene usata per rimarcare l’infondatezza di alcune attribuzioni.

Questo volume è un importante tassello per conoscere la figura di Antonio Vivaldi, ma anche per capire come ci si debba muovere in campo storico-iconografico e quali siano gli errori da evitare.

 

martedì 15 marzo 2022

“Il respiro degli angeli” di Emanuela Fontana

Venezia, 1688. Giambattista Vivaldi per mantenere la sua numerosa famiglia si è adattato a fare il barbiere, ma non perde occasione per dedicare ogni momento libero al suo amato violino.

Proprio con il violino è solito intrattenere anche i suoi bambini tra questi il piccolo Antonio che fin dalla nascita ha manifestato gravi problemi di salute. 

Toni, il cui cuore corre troppo veloce e a cui spesso manca il respiro, un giorno si ritrova il violino del padre tra le mani e, senza avere mai prima d’allora studiato musica, improvvisa una melodia che stupisce tutti i presenti. Sarà l’inizio di una passione che non lo abbandonerà più per tutta la vita neppure quando per voler dei suoi genitori sarà spinto a prendere i voti.

Antonio Vivaldi, conosciuto da tutti come il Prete Rosso per la sua ribelle chioma rossa come il fuoco, raggiungerà la fama e il successo, presenterà le sue opere in tutti i più celebri teatri e porterà la propria musica in tutte le più grandi Corti, farà conoscenza di nobili, re e principi, sarà ammirato e invidiato. Vivaldi sarà anche fonte di pettegolezzi a causa dell’unica donna della sua vita Anna Girò, prima sua allieva e poi sua cantante e musa, fino a quando terminerà i suoi giorni dimenticato da tutti in un freddo inverno viennese.

Della vita di Antonio Vivaldi si conosce poco o nulla per cui il libro di Emanuela Fontana, seppur ben documentato e frutto di un lungo lavoro di ricerca, è una storia fortemente romanzata a causa delle fonti lacunose.

Molti personaggi sono frutto di fantasia dell’autrice come il dottor Gavioli e la sua famiglia, i comprovati rapporti con i nobili Marcello sono stati rimaneggiati per meglio adattarsi alla narrazione e per quanto riguarda l’amore tra Antonio Vivaldi e Anna Girò non esiste alcuna fonte che ne possa confermare la veridicità sebbene all’epoca le voci e i pettegolezzi fossero stati molto insistenti al riguardo.

Il romanzo si svolge su più piani spazio-temporali. Ai capitoli nei quali viene narrata la vita di Vivaldi a partire da quando era un gracile bimbo di dieci anni fino alla conquista della fama, si alternano i capitoli che lo vedono, anziano e caduto in disgrazia, aggirarsi per le fredde strade di Vienna mentre la sua amata Anna, ignara dello stato di salute in cui lui versa si interroga, sul loro indissolubile legame.

Il ritmo del racconto sembra quasi seguire i tempi propri della musica, così da lento il ritmo narrativo accelera improvvisamente facendosi veloce per poi rallentare nuovamente e così via in un continuo crescendo e diminuendo.

Non sono quindi tanto i cambi spazio-temporali del racconto quanto piuttosto proprio questa continua variazione di cadenza che, per quanto di estrema efficacia narrativa, risulta talvolta un po’ impegnativa per il lettore che deve adattarsi al continuo alternarsi del ritmo.

Il Vivaldi di Emanuela Fontana è un genio del suo tempo, un uomo assetato di fama e denaro, ma allo stesso tempo generoso con i meno fortunati ai quali è sempre pronto a donare; un uomo ossessionato dal desiderio di compiacere il pubblico, perfezionista e accentratore tanto che delle sue opere egli vuole occuparsi in prima persona di ogni aspetto facendosi persino impresario.

Vivaldi è tormentato dalla fuggevolezza dello scorrere del tempo, è uomo legato agli affetti famigliari, ma allo stesso tempo se ne sente talvolta schiacciato, soffre ogni tipo di costrizione e per questo rifugge dalle accademie. È un uomo dalle mille contraddizioni, in perenne movimento.

“Il respiro degli angeli” è una storia struggente che appassiona e incanta per la sua intensità; un racconto carico di pathos e di liricità.

L’interesse dell’autrice non è rivolto solo al Vivaldi artista, ma anche incentrato sul desiderio di comprendere quale uomo si celasse dietro alla sua leggenda.

“Il respiro degli angeli” è però anche un viaggio attraverso la musica di Antonio Vivaldi, un invito ad approfondire la sua vasta produzione della quale troppo spesso si conoscono solo i concerti più famosi.




lunedì 14 dicembre 2020

“Un anno con Mozart” di Clemency Burton-Hill

Il titolo originale dell’opera è in realtà Year of wonder, classical music for every day, non si comprende molto la ragione per cui nell’edizione italiana tale titolo sia diventato Un anno con Mozart.

In effetti questa scelta è piuttosto fuorviante dal momento che il libro propone sì 365 brani, o meglio 366 perché è contemplato anche un brano per il 29 febbraio, per l’ascolto di un brano al giorno per un ogni giorno dell’anno, ma i pezzi presi in esame non sono assolutamente tutti di Mozart bensì di numerosi autori, più di 240, anche molto diversi tra loro per epoca, nazione e stile.

I brani proposti da Clemency Burton-Hill in questo suo volume, che non vuole essere assolutamente una storia della musica tout court, spaziano in un arco temporale amplissimo abbracciando un percorso lungo più di mille anni, dalla musica medievale di Ildegarda di Birgen si arriva fino a Alissa Firsova musicista contemporanea nata nel 1986.

Il libro di Clemency Burton-Hill si propone come un invito all’ascolto rivolto a tutti coloro che non conosco la musica classica ma ne sono in qualche modo attratti, a tutti i neofiti che la apprezzano ma non hanno conoscenze specifiche e a tutti coloro che semplicemente, seguendo la scaletta del libro, vogliono ritagliarsi uno spazio giornaliero da dedicare all’ascolto di un brano musicale per rinfrancare lo spirito e staccare la spina per qualche minuto.

Nell’introduzione l’autrice scrive infatti chiaramente che ai nostri giorni è scientificamente provato che ritagliarsi giornalmente un momento per “la cura di sé” abbia benefici incalcolabili a livello psico-fisico, c’è chi fa meditazione, chi yoga e allora perché non ascoltare un brano musicale? Anche la musica può agire come un potente tonico mentale.

Il libro vuole anche sfatare la falsa credenza che la musica classica sia musica di nicchia, snob, per pochi eletti; la musica di qualunque genere è di per sé universale e non può quindi, né deve, essere ingabbiata da definizioni ed etichette. La musica trasmette emozioni e non conosce frontiere, supera ogni barriera e non richiede alcuna traduzione, è un bene di tutti ed ognuno ne può liberamente fruire.

L’autrice ci tiene a puntualizzare che non esiste un momento giusto per ascoltarla, ogni momento è propizio, la si può ascoltare mentre si studia per concentrarsi meglio, mentre si svolgono le faccende di casa, in palestra, passeggiando o comodamente sprofondati in poltrona.

Un anno con Mozart non è guida musicologica, non ci sono spiegazioni tecniche né partiture da leggere e studiare.

Ad ogni brano è dedicata una pagina nella quale vengono indicate alcune curiosità sull’autore, sul tipo di strumento per cui il pezzo era stato scritto, aneddoti relativi alla prima esecuzione del brano e così via.

Tantissimi brani magari li abbiamo già ascoltati in trasmissioni televisive, film o pubblicità senza conoscerne l’autore, di altri brani forse crediamo erroneamente di sapere già tutto, magari li abbiamo ascoltati suonati da diversi strumenti, ma ignoriamo ancora per quale specifico strumento quella musica sia stata scritta in origine.

Personalmente amo la musica classica e la ascolto da sempre, però non sono assolutamente un’esperta e soprattutto non conosco nulla degli autori più moderni, ragion per cui questo percorso mi incuriosisce e mi intriga moltissimo.

Non vedo l’ora quindi di iniziare questo splendido viaggio musicale che si preannuncia davvero coinvolgente e appassionante.

Le playlist del libro possono essere ascoltate e condivise su Spotify, ma sono comunque tutte facilmente reperibili online anche su YouTube. La tecnologia ha reso ogni cosa disponibile per tutti, ora non ci sono più scuse.

E voi siete pronti a viaggiare nei secoli attraverso le note di Bach, Gershwin, Puccini, Albinoni, Lully e tanti altri?

Vi aspetto il primo gennaio con la Messa in si minore di Johann Sebastian Bach, un brano liturgico, lo so, ma il 2 gennaio ci aspetta Fryderyk Chopin e…

 

 

domenica 11 novembre 2018

“1791 Mozart e il violino di Lucifero” di Davide Livermore e Rosa Mogliasso


1791 MOZART
E Il VIOLINO DI LUFICERO
di Davide Livermore e Rosa Mogliasso
SALANI EDITORE
Flavio Tondi è un virtuoso del violino, un uomo preciso e metodico, unica sua debolezza il gentil sesso. La sua vita è segnata da donne fatali e tra queste una su tutte, l’unica vera donna della sua vita, Samuela Bravermann, con la quale si è sposato due volte e dalla quale altrettante volte ha poi divorziato. 
Il maestro Tondi incontra Samuela nuovamente a Parigi e tutto lascia presagire che, con ogni probabilità, i due torneranno insieme nonostante lui al momento sia sposato con un’altra donna. 
Durante un concerto lo Stradivari, l’inseparabile compagno del violinista, resta intrappolato nelle ante scorrevoli della porta a vetri del corridoio dei camerini e va in frantumi.
Lo Stradivari però racchiude un segreto di incalcolabile valore, un segreto che è stato nascosto all’interno dello strumento centinaia di anni prima. 
La storia inizia infatti nell’anno 1706 in un antico monastero nei pressi di Dresda  dove, per bocca di una giovane fanciulla, viene rivelata una oscura profezia che mette in guardia i potenti della terra dal Puledro dorato che presto galopperà nel mondo e che, dopo avergli fatto provare l’angoscia del soldato che affronta la guerra, reciderà loro le corone dal capo . 
Partendo proprio da questa profezia si dipana una storia fantastica i cui protagonisti sono in parte reali e in parte di pura invenzione.
I personaggi sono numerosissimi: conti, marchesi, cantori evirati, musicisti, angeli, sovrani e gran dame di corte, tutti schierati chi da una parte chi dall’altra nel sanguinoso conflitto in corso tra Lucifero e Mammona. 
Un thriller storico che conduce il lettore pagina dopo pagina ad indagare su un mistero che si dipana dal Settecento ai giorni nostri e i cui principali protagonisti altri non sono che il genio di Mozart e la sua straordinaria musica. 
Il romanzo nasce dalla collaborazione tra Davide Livermore, regista d’opera tra i più importanti della scena internazionale, e Rosa Mogliasso, laureata in Storia e critica del cinema e autrice già di numerosi romanzi, un connubio molto ben riuscito in grado di far rivivere il teatro e la musica classica attraverso le pagine di un libro.
Da non dimenticare inoltre le bellissime illustrazioni ad opera di Francesco Calcagnini, scenografo e regista, che fanno da cornice e impreziosiscono il volume; da sottolineare in modo particolare l’affascinante illustrazione della copertina che sorprende il lettore sotto la sovraccoperta del volume. 
“1791 Mozart e il violino di Lucifero” è un thriller appassionante e coinvolgente anche se talvolta forse un po’ ostico e di ardua interpretazione per chi completamente digiuno di conoscenze musicali. 
Come tipologia il romanzo potrebbe essere accostato a “Il codice Da Vinci”, come nel racconto di Dan Brown infatti il lettore viene accompagnato a far luce su eventi che hanno radice nel passato ma che, essendo ormai giunti alla resa dei conti finale, hanno pesanti ripercussione sul presente. 
I personaggi del romanzo sono tutti molto convincenti tanto che il lettore stenta tantissimo a districarsi tra ciò che è reale e ciò che invece è solo frutto della fervida fantasia degli autori; le note che si trovano in fondo al volume sono quindi un elemento davvero prezioso per fare chiarezza una volta terminata la lettura.  
Ogni protagonista è affascinante a modo suo, ma fra tutti il personaggio di Venanzio Rauzzini, musico soprano allievo del Porpora e la cui voce di castrato fu l’unica amata da Mozart, è quello che forse più di tutti intriga e attrae il lettore. 
Venanzio è una figura che appassiona fin dalla sua apparizione quando bambino viene venduto al principe di San Severo e inizia così la sua carriera artistica, una carriera che se da un lato gli porterà via tanto dall'altro gli saprà donare anche molto.
Il Venanzio Rauzzini del romanzo è un personaggio dotato di grande capacità di adattamento e in grado di saper reagire ai colpi bassi della sorte.
Venanzio non si abbatte facilmente e se accade è solo per la frazione di un attimo perché lui è uno spirito libero, un combattente che ama la vita, un uomo guidato dalla passione; egli non dimentica mai nulla né il bene che gli è stato fatto né i torti che è stato costretto a subire, ma più di ogni altra cosa Venanzio non dimentica gli amici tanto che per tutta la vita resterà legato al ricordo del suo amato amico d’infanzia, Ferruccino suo. 
“1791 Mozart e il violino di Lucifero” è un libro diverso, un romanzo di indagine coinvolgente e carico di suspense, ma che sa anche regalare al tempo stesso struggenti pagine di intensa emozione come nella migliore tradizione operistica.


martedì 20 febbraio 2018

“Niccolò Paganini” (Genova, 27 ottobre 1782 – Nizza, 27 maggio 1840)


Niccolò (o Nicolò) Paganini nacque a Genova nel 1782. Violinista, compositore, chitarrista, Paganini fu un personaggio decisamente originale e fuori dagli schemi.

Che tipo fosse lo si percepisce già analizzando le problematiche legate alla sua data di nascita che spesso viene erroneamente indicata come il 18 febbraio 1784. Il motivo? Paganini avrebbe voluto ringiovanirsi a scopi matrimoniali come si evince da una lettera che egli stesso scrisse all’amico Luigi Germi, suo consigliere e confidente.

Niccolò Paganini aveva un carattere particolare, eccentrico e stravagante, tendeva ad assumere un atteggiamento cauto e diffidente persino nei rapporti con i famigliari.

Era un uomo particolare, spesso tacciato di tirchieria, ma capace allo stesso tempo di stupire tutti con grandi slanci di generosità accettando spesso di suonare per beneficenza.

Questo suo apparire come un tipo inquietante e misterioso insieme alle sue indiscusse e straordinarie capacità esecutive, di cui molti erano invidiosi, furono le ragioni principali per le quali, nel corso della sua esistenza, si diffusero sul suo conto infinite dicerie su un qualche patto da lui stretto con il diavolo in persona.

Qualche anno fa è uscito nelle sale cinematografiche un film intitolato Il violinista del diavolo(Germania 2013) dove Niccolò Paganini veniva interpretato dal violinista David Garrett.
Il film racconta del periodo in cui Niccolò Paganini era all’apice della carriera, impegnato in una lunga serie di concerti in tutta Europa che lo portarono fino a Londra.
Il film a livello biografico non è proprio riuscitissimo, ma riesce a rendere perfettamente l’idea di cosa rappresentasse Niccolò Pagani per i suoi contemporanei.

Egli può essere davvero definito la prima rock star della storia in senso moderno.

Niccolò Paganini arrivò a tenere oltre 150 concerti in un solo anno in località diverse, viaggiando in carrozza e con difficoltà che al giorno d’oggi non possiamo neppure immaginare.
Poteva permettersi di raddoppiare i prezzi dei biglietti dei suoi concerti, tanto la folla vi sarebbe accorsa sempre e comunque.
Ovunque egli suonasse il pubblico era in delirio e per dare meglio l’idea vi riporto quanto scritto su “Allegemeine Theaterzeitung” del 5 aprile 1828:

(…) nelle sue mani il suo violino suona più efficace della voce umana. La sua anima ardente penetra ogni cuore, e ogni cantante potrebbe imparare moltissimo da lui. Ma queste affermazioni sono del tutto insufficienti ad esprimere l’impressione che si prova quando egli suona. Bisogna ascoltarlo ripetutamente per credere.

Leggendo la critica così entusiasta a noi oggi resta il rammarico che non esistano registrazioni dell’epoca; cosa non si darebbe per poter assistere ad un concerto di Paganini o almeno potere ascoltare la sua musica!

A Vienna il pubblico fu talmente colpito dalla figura di Paganini che persino la moda venne influenzata dal suo personaggio: furono lanciati sul mercato scialli, fazzoletti, cappelli e scarpe “alla Paganini” e non solo, ma addirittura bistecche e frittate! La moneta austriaca di maggior valore fu addirittura chiamata “Paganinerl” (Paganinetto), con chiara allusione ai prezzi non proprio economici dei biglietti per poter assistere alle sue accademie.

Pagani terminò la sua vita terrena senza neppure immaginare quali traversie avrebbe dovuto subire prima di riuscire a trovare un meritato e definitivo riposo nel cimitero della Villetta di Parma.

Paganini infatti non ebbe né funerali né sepoltura in terra consacrata. Subito dopo il decesso il suo corpo fu imbalsamato e restò quasi due mesi nella cantina della casa in cui morì fino a quando le autorità sanitarie non diedero in nullaosta per il trasferimento del corpo a Genova, dove fu sepolto nella proprietà di famiglia in Val Polcevera.
Solo nel 1876, 36 anni dopo la sua morte, fu finalmente annullato il decreto di empietà emesso dal Vescovo di Nizza e la salma di Paganini poté finalmente essere sepolta in terra consacrata nel cimitero di Gaione prima ed in seguito nel cimitero della Villetta.

Un ultimo accenno deve essere fatto al famoso violino di Paganini, costruito da Giuseppe Guarnieri del Gesù e datato 1743, detto “Il Cannone”.
Niccolò Paganini fu cittadino del mondo, ma rimase sempre molto legato alla sua Genova. Per questo decise di lasciare in eredità il suo violino alla sua città natale come si legge nel suo stesso testamento:

Lego il mio violino alla Città di Genova onde sia perpetuamente conservato.

E proprio qui, a Genova, il Cannone è ancora oggi esposto nella cosiddetta Sala Paganiniana di Palazzo Tursi (Musei di Strada Nuova), sede del Comune di Genova, insieme alla sua copia appartenuta all’allievo Camillo Sivori da cui questo secondo violino prende il nome e ad altri cimeli paganiniani.

Due sono infine i libri che vi voglio segnalare:

“Nicolò Paganini – il cavaliere Filarmonico” di Edward Neill (De Ferrari Editore)

Il volume di Edward Neill è una biografia che cerca di restare il più possibile attinente ai fatti legati alla vita artistica di Paganini.
Spesso infatti la tendenza scrivendo di questo personaggio è di ricamare sulla sua vita facendo congetture spesso fantasiose che tendono a trasformare Niccolò Paganini in un protagonista da romanzo da appendice.
Edward Neill raccoglie informazioni attraverso le lettere stesse di Paganini, ma soprattutto attraverso la critica contemporanea e le recensioni dei concerti, cercando di portare alla luce l’opera dell’artista.
Neill cerca infatti di raccontare i concerti oltre alle emozioni suscitate dalla musica di Paganini nel pubblico e negli addetti ai lavori; il suo intento è proprio quello di renderci partecipi della musica eseguita da Paganini nelle accademie da lui tenute.
Il volume è molto esaustivo, ma risulta spesso di non facile interpretazione per chi non è esperto conoscitore di musica.


“Niccolò Paganini – Espitolario (Volume I, 1810 – 1831)” a cura di Roberto Griesley (SKIRA)
                                     
Il piano editoriale prevedeva un secondo volume di lettere, ma ad oggi non ci sono notizie in merito ad un’uscita a breve dello stesso.
“L’epistolario” è un libro intrigante ed affascinante che ci aiuta a conoscere meglio “l’uomo Paganini”.
Se per certi aspetti è uno degli epistolari meno interessanti che siano stati scritti da un musicista, per altri aspetti infatti è un’opera fondamentale per esempio perché al di là dei contenuti, costituisce una preziosa testimonianza per la storia della lingua italiana parlata nei primi dell’Ottocento oltre che per il dialetto genovese.
Le sue non sono lettere scritte per i postumi, ma sono conversazioni di vita quotidiana.
La corrispondenza di Paganini comprende lettere ai famigliari, lettere d’affari, lettere ai giornali ecc.
Attraverso l’epistolario riusciamo a conoscere i tratti più salienti del carattere di Niccolò Paganini, veniamo a conoscenza delle sue idee sulla musica, delle sue storie sentimentali, del rapporto con la madre, dei viaggi da lui compiuti...

Due volumi molto diversi tra loro, ma complementari, entrambi utilissimi per riuscire a farsi un’idea a 360° di questo genio del violino in grado di affascinare ancora il pubblico oggi come ieri.

Ma Paganini è un’altra cosa, è l’incarnazione del desiderio, dello sdegno, della pazzia e del dolore. Il violino è semplicemente lo strumento attraverso il quale egli esprime se stesso.
(Heinrich F.L. Rellstab 1799-1860)





domenica 1 maggio 2016

“Quel diavolo di un trillo” di Uto Ughi

QUEL DIAVOLO DI UN TRILLO
Note della mia vita
di Uto Ughi
    EINAUDI     
Nato a Busto Arsizio il 21 gennaio del 1944, primo di quattro figli, fiero delle origini istriane della sua famiglia, gente tenace dignitosa, abituata alla vita dura, Uto Ughi è uno dei maggiori violinisti al mondo.
Il padre, di professione avvocato, era un umanista molto sensibile, quasi un filosofo e proprio nella casa paterna

Si creò un buon giro di amici, strumentisti dilettanti che erano soliti riunirsi con il maestro Coggi (…) per fare musica insieme.

All’epoca Uto Ughi aveva appena tre anni, ma era già evidente la sua smisurata passione per la musica quando si infilava sotto il pianoforte e, affascinato dalle note, rimaneva lì ad ascoltare.
Il maestro Coggi gli regalò allora un piccolo violino che dovette legargli con una cordicella al collo per evitare che lo strumento gli cadesse.

Coggi fu il primo insegnate al quale ne fecero seguito altri; all’età di nove anni Uto Ughi divenne l’allievo di George Enesco, per seguire le lezioni del quale era costretto a trasferirsi periodicamente a Parigi dove il maestro viveva. Dopo la morte di questi, le lezioni proseguirono con la sua assistente Yvonne Astruc.
A Siena frequentò per una decina d’anni, ogni estate, le lezioni all’Accademia Chigiana, prestigiosa scuola di alta formazione musicale che annoverava all’epoca allievi famosi quali Zubin Metha e Daniel Barenboim.

Un giorno Uto Ughi stesso verrà chiamato a svolgere funzione di docente all’Accademia Chigiana, mettendo a disposizione dei suoi allievi, non solo la sua virtuosa capacità di violista, ma anche quelle due doti che il Maestro ritiene ancor oggi indispensabili per essere un buon insegnante ovvero la pazienza e la perseveranza.
E' fondamentale inoltre che il docente non si imponga mai sull’allievo, ma cerchi piuttosto di convincerlo rispettando sempre la sua personalità.

Il libro è suddiviso in quattro parti.

Nella prima parte, intitolata “La vita e la musica”, Uto Ughi ci racconta della famiglia, dei primi approcci con le note, dei suoi docenti, del suo modo di intendere la musica, dei propri gusti musicali, dei primi concerti e della sua produzione discografica.

Nella seconda parte “La galleria dei ritratti” ci vengono presentate invece le figure dei musicisti che il violinista ha incontrato nella sua carriera e che lo hanno in qualche modo influenzato o con i quali ha condiviso parte della sua vita.

Con “I viaggi” Uto Ughi ripercorre le sue tournée in giro per il mondo: Giappone, Birmania, Messico, India, Israele, Africa per citarne alcuni fino alla sua amata Isola del Giglio ed alla Val di Fiemme, là dove Antonio Stradivari sceglieva gli abeti rossi adatti alla costruzione dei suoi violini.
In questa parte comprendiamo come il violista, lontano dai riflettori, sia in realtà un uomo che ama profondamente i viaggi, la natura, il silenzio, la riflessione e la letteratura.

Proprio a “Riflessioni e letture” è dedicata la quarta parte del volume. Dedicare quotidianamente una parte della giornata alla lettura è basilare per l’artista che ritiene che:

un giorno trascorso senza leggere è un giorno perduto

Uto Ughi in quest’ultima parte  riflette su svariati argomenti come politica, cultura, il tema della morte nella musica, le competizioni musicali, la funzione sociale della musica e ovviamente la letteratura parlando di autori a lui cari tra cui Jorge Luis Borges e Pablo Neruda, Dino Buzzati e Giovanni Papini.

Chiude il volume un bellissimo dialogo.


E’ una vita ricca di passioni quella che viene descritta in questo breve volume di appena poco più di 180 pagine. Poche pagine è vero, ma di un’intensità tale che se si volesse sottolineare i concetti importanti si finirebbe per sottolineare ogni singola riga.

Proprio per questo motivo è anche difficile riuscire a tirare le somme di questa interessante autobiografia dove ognuno troverà senza dubbio spunti di riflessione personali e al contempo potrà formarsi una propria idea dell’uomo e dell’astista Uto Ughi.

La mia impressione leggendo queste pagine è quella di un artista sempre attento ai dettagli, un perfezionista sempre alla ricerca del piccolo particolare che possa fare la differenza.
Un uomo di una cultura vastissima, attratto dal paranormale, un uomo curioso, aperto al mondo, ma allo stesso tempo molto concentrato su se stesso.

Ho apprezzato il modo in cui parla dei grandi artisti del passato, mi sarebbe piaciuto però leggere qualcosa anche sui giovani artisti. Leggendo queste pagine infatti  ho avuto l’impressione che l’autore abbia scelto volutamente di non esprimere opinioni sui contemporanei, quasi pensasse che nessuno di questi possa essere citato in quanto non all’altezza dei suoi predecessori e comunque dei violinisti appartenenti alla sua generazione.

Appassionante è l’amore con cui Ughi parla dei violini, strumenti dotati di un’anima.
Ogni grande artista ha un rapporto unico con il suo strumento e gli strumenti antichi hanno tutti una storia da raccontare.

E’ emozionante leggere di quanto a dieci anni il Maestro fece per la prima volta conoscenza con il suo Stradivari Kreutzer (famoso violinista al quale era appartenuto  e  dal quale prese poi il nome) costruito nel 1701 da Antonio Stradivari, strumento che incrociò nuovamente il suo cammino quando aveva sedici anni e che divenne da quel momento suo compagno di viaggio

Il violino ha un’anima parlava al mio cuore con una qualità di voce meravigliosa, comunicandomi la sua storia

Anni dopo un altro violino entrò a far parte della vita di Uto Ughi, uno dei più bei Guarnieri del Gesù “Rose”, costruito nel 1744, di cui l’ultimo proprietario fu il celebre violinista Arthur Grumiaux.

Lo Stradivari è perfetto, come un dipinto di Raffaello o di Tiziano: perfetto nel disegno, nel colore, nell’armonia delle forme. Il suo suono luminoso è congeniale per determinati autori, ma meno per altri.
(…) i Guarnieri. I loro violini hanno un suono dal timbro scuro, drammatico, struggente, che ricorda i colori caravaggeschi o i dipinti di Rembrandt.

Ascoltai Uto Ughi in concerto la prima volta quando avevo 11 anni, fu la mia prima volta ad un concerto sinfonico e grazie a lui mi innamorai immediatamente del suono del violino.
Questo è stato il motivo principale per cui ho deciso di dedicarmi alla lettura del libro e ancora una volta non sono stata delusa.

“Quel diavolo di un trillo” è consigliato non solo a coloro che amano il suono di questo magico strumento, ma anche a tutti coloro che come il Maestro pensano che

La musica è una via di amore, di libertà, di umanità. La musica va al di là della parola, delle barriere ideologiche che limitano la comprensione fra gli esseri umani: spalanca le finestre dell’anima lasciando intravedere una realtà più grande.