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mercoledì 16 agosto 2023

“Una notte a Firenze sotto Alessandro de’ Medici” di Alexandre Dumas

La vicenda narrata da Alexandre Dumas è nota. Siamo a Firenze dove i Medici sono tornati al potere grazie all’accordo stretto tra Carlo V e il papa Medici Clemente VII dopo il terribile Sacco di Roma.

Alessandro de’ Medici, duca di Firenze, era ufficialmente il figlio illegittimo di Lorenzo de’ Medici duca di Urbino, ma la verità più accredita lo vuole figlio illegittimo dello stesso Clemente VII.

Alessandro fu un tiranno nell’accezione più negativa del termine, violento e irascibile, impose il suo governo con la forza, procurandosi per questo molti nemici. Il suo stesso motto Non vuelvo sin vencer (Non ritorno senza vincere) era esso stesso indice del suo temperamento aggressivo e impulsivo.

Il Medici trovò la morte per mano di un lontano cugino Lorenzo (o Lorenzino), appartenente al ramo Popolano della famiglia Medici, che, dopo l’efferato omicidio, si guadagnò il soprannome di Lorenzaccio. Si narra che Lorenzo avesse sfruttato la passione per le donne di Alessandro per tendergli un agguato in casa propria e qui assassinarlo.

Il romanzo si apre con una breve prefazione in cui l’autore parla dell’Italia e di Firenze traendo alcune conclusioni, più o meno condivisibili, sull’indole e i costumi degli italiani e di come questi siano stati influenzati nel corso dei secoli dalla loro storia.

La trama, per quanto romanzata, mantiene un fondo di verità storica e non mancano alcune brevi digressioni atte a rafforzare la veridicità del racconto. Da segnalare forse solo qualche ingenuo anacronismo a favore della miglior resa della narrazione.

Di fatto quello di Dumas è il racconto di una storia d’amore.

Lorenzino è innamorato di Luisa ed è da lei ricambiato. Il duca Alessandro è invaghito della bella Luisa che è tra l’altro figlia di quel Filippo Strozzi sulla cui testa è stata posta una taglia di diecimila fiorini per aver congiurato contro il duca stesso. Alessandro assume a tratti quasi le caratteristiche di un Don Rodrigo di manzoniana memoria. Lorenzino si presta ad essere il mezzano degli intrighi amorosi del duca, ma la sua è solo finzione in quanto il suo unico scopo è quello di salvare l’amata e liberare Firenze dalla tirannia. 

“Una notte a Firenze sotto Alessandro de’ Medici” è un romanzo storico ottocentesco sebbene vi si riconoscano moltissime caratteristiche tipiche dei testi teatrali romantici sia nella resa della trama sia nella caratterizzazione dei vari personaggi.

Un testo forse più vicino, a mio avviso, alle opere teatrali di Friedrich Schiller anziché ai celebri romanzi di Dumas stesso, vuoi anche perché la trama stessa si presta massimamente ad una resa drammaturgia. Moltissimi sono anche i riferimenti al teatro all’interno del racconto stesso.

Ho letto il romanzo nella traduzione del 1861 di Vittoria D’Asti edita da Amazon Italia Logistica. Purtroppo, devo segnalare che il numero di refusi e di errori di stampa è davvero fastidioso soprattutto nella prima parte del volume.

Per cui, vivamente consigliata la lettura del romanzo in quanto, soprattutto se amate i classici, si tratta di un testo davvero interessante per ambientazione e periodo storico, ma altrettanto sconsigliato l’acquisto di questa particolare edizione perché davvero faticosa la lettura a causa dei tanti errori tipografici.




domenica 25 dicembre 2022

“Bella Poldark” di Winston Graham

Il libro si apre con una nota dell’autore che riassume in breve, a beneficio dei nuovi lettori, i fatti avvenuti in precedenza unitamente a qualche nota sui personaggi principali. Siamo, infatti, giunti al dodicesimo volume della saga dei Poldark, il volume conclusivo.

Cornovaglia, 1818. Dopo la morte di Jeremy Poldark, avvenuta nella battaglia di Waterloo, Ross e Demelza stanno ritrovando la serenità perduta. 

La figlia maggiore Clowance, dopo la morte del marito Stephen Carrington, ha scelto di restare a vivere a Penryn e di occuparsi in prima persona della piccola attività navale che questi aveva avviato.

A Nampara con i genitori vivono i due figli più piccoli: Henry che ha da poco compiuto sei anni e Isabella-Rose ormai sedicenne. La ragazza è ancora sentimentalmente legata a Christopher Havergal, il giovane ufficiale conosciuto quando era poco più che una bambina.

Isabelle-Rose ha un grande talento musicale e i genitori, superati i dubbi iniziali, acconsentiranno a lasciarla andare a Londra per perfezionare la sua arte.

In quest’ultimo romanzo, come per gli episodi precedenti, assistiamo all’ingresso sulla scena, di tanti nuovi personaggi. Tra questi in particolare facciamo la conoscenza di Philip Prideaux, un ex capitano congedato dall’esercito, e Maurice Valéry un affascinante produttore teatrale.

Tra i personaggi storici della saga, invece, un ruolo di primo piano è riservato a Valentine Warleggan. Nonostante la recente paternità, Valentine continua ad essere sempre lo stesso giovane arrogante ed insolente che abbiamo avuto occasione di conoscere precedentemente. Il suo comportamento da impenitente libertino sarà causa non solo della rottura definitiva del suo matrimonio con Selina, ma anche di molti altri avvenimenti piuttosto inquietanti.

I romanzi di Winston Graham non sono mai ripetitivi e anche questa volta il lettore non rimarrà deluso.

Di particolare fascino in questa occasione è l’introduzione da parte dell’autore dell’elemento noir, una storia che ricorda vagamente le atmosfere della vicenda di Jack lo squartatore. Per le strade della Cornovaglia si aggira infatti un pericoloso assassino che aggredisce e uccide giovani donne. Uno dei principali sospettati sarà proprio il già citato Valentine Warleggan, ma nulla è mai come sembra e niente può essere dato per scontato. Graham ci ha abituati a grandi colpi di scena fin dal primo volume.

“Bella Poldark” è un romanzo di commiato, la conclusione di una lunga e avvincete saga che ci ha tenuto compagnia per tanto tempo. Non poteva quindi mancare una resa dei conti, seppur simbolica, tra i due antagonisti di sempre: Ross Poldark e George Warleggan. I due si scontreranno ancora, ma ormai sessantenni, il loro sarà uno scontro molto diverso da quelli irruenti tipici della gioventù.

Negli anni i vari personaggi sono maturati e il loro cambiamento non è stato solo anagrafico, ma dovuto anche a quegli eventi della vita che li hanno segnati per sempre. Ogni esperienza ne ha modificato e formato il carattere. I personaggi di Winston Graham, con tutte le loro sfaccettature, sono sempre apparsi veri fin dal primo romanzo e questo ha contribuito fortemente a renderli tanto cari al lettore.

La saga dei Poldark è una delle saghe più affascinanti che abbia mai incontrato nella letteratura, sarà davvero difficile trovarne un’altra che possa eguagliarla.



 

lunedì 20 dicembre 2021

“Una lama nel cuore” di Winston Graham

La guerra è terminata e lo sconfitto Napoleone si trova confinato all’Elba. Non è un mistero però che in Francia molti gradirebbero un suo ritorno e per questo il governo britannico decide di inviare a Parigi Ross Poldark. Il suo compito sarà quello di cercare di carpire informazioni su eventuali movimenti bonapartisti tra le file dell’esercito francese.

Per dare maggiore copertura a questa sua missione Ross è stato invitato a portare con sé la famiglia. Dopo qualche attimo di esitazione Demelza accetta di accompagnare il marito insieme ai figli minori, la tredicenne Isabella-Rose e il piccolo Henry.

Mentre il primogenito Jeremy Poldark, arruolatosi tra le file dell’esercito britannico, si trova in Belgio insieme alla sua novella sposa Cuby; sua sorella Clowance è l’unica della famiglia ad essere rimasta in Cornovaglia.

Il rapporto tra Clowance e Stephen è sempre stato piuttosto burrascoso e anche se ora sono sposati il loro legame sembra non conoscere pace. Molto presto Clowance infatti verrà a conoscenza di un particolare del passato del marito che metterà ancora una volta a dura prova la sua fiducia in lui.

Mentre Ross e Demelza si trovano a Parigi, Napoleone riesce a fuggire dall’Elba e, sbarcato in Francia, muove verso la capitale deciso più che mai a riconquistare il potere. Bonaparte verrà sconfitto nella sanguinosa battaglia di Waterloo, ma i Poldark pagheranno a caro prezzo questa vittoria e le vite di tutti loro ne usciranno stravolte e segnate per sempre. 

Con “Una lama nel cuore” siamo giunti al penultimo capitolo dell’avvincente saga nata dalla penna di Winston Graham. Inutile sottolineare come, ancora una volta, anche questo undicesimo libro sia in grado di appassionare il lettore fin dalle sue prime pagine.

Come per i precedenti volumi infatti non mancano tanti colpi di scena, storie parallele che vivacizzano il racconto e nuovi personaggi pronti a scombinare gli equilibri preesistenti mentre le nuove generazioni coinvolgono il lettore con le loro avventure.

Se Ross Poldark e George Warleggan restano più o meno fissi nelle loro caratterizzazioni, lo stesso non si può dire per Demelza. Il suo è il personaggio che più di qualunque altro è cresciuto nel corso degli anni: una crescita lenta e costante che raggiunge la sua consacrazione proprio in questo penultimo capitolo muovendosi a suo agio negli eleganti salotti parigini. Lei, figlia di un minatore, ha ormai acquisito quella consapevolezza e quella fiducia in se stessa che ne fanno, a mio avviso, il personaggio più completo dell’intera saga.

Un’altra figura che conquista l’affetto dei lettori in questo romanzo è senza dubbio quella di Cuby che, affrancatasi finalmente dalle aspettative della propria famiglia, può finalmente muoversi libera esprimendo tutta la sua esuberante e al tempo stesso composta personalità.

Devo ammettere che non sono riuscita a provare alcuna simpatia per Stephen neppure leggendo questo nuovo episodio, mentre resto in attesa dell’ultimo capitolo della saga per sciogliere definitivamente ogni mia riserva su Lady Harriet Warleggan e Clowance Poldark.

In effetti di riserve da sciogliere ne restano parecchie così come restano da svelare diversi vecchi segreti che già da queste pagine si percepisce quanto ormai siano vicini ad esplodere

Quali saranno le conseguenze quando certe cose taciute per tanti anni verranno definitivamente rese pubbliche? Non ci resta che attendere il capitolo finale.




domenica 4 luglio 2021

“La sorella minore – volume I” di Catherine Hubback

Primo volume di una trilogia “La sorella minore” racconta la storia di Emma Watson la più piccola dei figli del reverendo John Watson.

A differenza delle tre sorelle e dei due fratelli Emma è cresciuta lontano da casa, allevata dalla sorella della madre e dallo zio, il dottor Maitland, a cui Emma era molto affezionata.

La zia però, rimasta vedova e unica erede dei beni del marito, decide inaspettatamente di risposarsi con uno uomo senza sostanze e trasferirsi in Irlanda con il nuovo consorte; ad Emma non resta quindi che tornare a casa dalla propria famiglia d’origine.

La giovane si deve confrontare di punto in bianco con una mentalità e uno stile di vita totalmente diversi da quelli a cui era abituata; fratelli e sorelle sono per lei dei perfetti estranei così come il padre che si rivela essere sin da subito un indolente invalido incline alla depressione.

Emma è una ragazza bella e gentile, ma allo stesso tempo anche forte e orgogliosa.

Proprio queste sue caratteristiche faranno sì che venga notata fin dal primo ballo a cui parteciperà non solo dai giovani del luogo, ma anche dai membri dell’alta società ed in particolare da Lord Osborne suscitando l’invidia di una delle sorelle.

Se il nome Watson vi ricorda qualcosa, sappiate che siete nel giusto. I Watson era infatti il titolo di un racconto iniziato da Jane Austen verso il 1803 e poi abbandonato a seguito della morte del padre. 

Catherine Hubback è la nipote di Jane Austen, figlia del fratello Francis. L’autrice non lesse mai il manoscritto originale, ma ne ascoltò senza dubbio più volte il racconto dall’altra sua zia Cassandra, che era invece in possesso dello stesso, e dalla quale venne anche a conoscenza di come la zia Jane avrebbe voluto proseguire la storia.

Il racconto di Catherine Hubback non riprende la storia dove terminava il racconto della più celebre scrittrice, ma la riporta integralmente dall’inizio rifacendola sua.

Il racconto degli Watson della Austen coincide quindi con i primi cinque capitoli di questo primo volume della Hubback.

L’autrice rimane comunque fedele alla trama originaria ad eccezione di alcuni piccoli particolari (ad esempio l’età del piccolo Charles Willis) e di alcune precisazioni in cui si fa chiara menzione che gli avvenimenti narrati sono ambientati non nell’Inghilterra contemporanea, ma sessant’anni prima ai tempi dei balli di campagna, prima che quadriglie, valzer e polke cambiassero l’aspetto delle sale da ballo.

È sempre rischioso mettere mano ad un racconto scritto da altri tanto più se l’autore è del calibro di Jane Austen, ma Catherine Hubback non delude assolutamente il lettore e scrive il libro che tutte noi Janeites  avremmo voluto leggere.

I Watson era un racconto davvero promettente e ognuna di noi dopo aver partecipato al ballo con Emma si è interrogata a lungo su quale sviluppo avrebbe potuto avere la storia: l’accattivante Lord Osborne si sarebbe rivelato un nuovo Mr Darcy? Oppure l’ottima impressione del più posato Mr Howard sarebbe stata confermata agli occhi della inappuntabile e orgogliosa Emma? Cosa aspettarsi poi dall’affettato e ricercato Mr Tom Musgrove? Quale futuro avrebbe atteso la mite e rassegnata Elizabeth? Cosa pensare della sventata Margaret così simile alla frivola Lydia Bennet di "Orgoglio e Pregiudizio"?

Grazie a Catherine Hubback possiamo avere il nostro finale certe che la sua penna non deluderà le nostre aspettative, dobbiamo solo avere un po’ di pazienza in quanto la Vintage Editore ha deciso di rispettare il piano di pubblicazione originale dell’opera in tre volumi.

Non ci resta quindi che attendere la seconda uscita…

 

 

 

lunedì 12 aprile 2021

“La coppa dell’amore” di Winston Graham

Decimo volume della Saga di Poldark, “La coppa dell’amore” prende il titolo da una piccola coppa d’argento recante la scritta amor gignit amorem. L’oggetto faceva parte del bottino frutto della rocambolesca rapina compiuta da Jeremy Poldark, Stephen Carrington e Paul Kellow ai danni della banca Warleggan il cui racconto occupava buona parte del precedente romanzo.

La rapina è per certi versi anche il leitmotiv di questo decimo libro. Infatti, non è solo l’amore a dominare la scena come suggerirebbe il titolo, ma anche la continua tensione giocata sulle tante circostanze per i colpevoli di essere smascherati con conseguenze devastanti per tutti. 

Se però Stephen e Paul riescono a convivere con il loro inconfessabile segreto e mettere a frutto i loro disonesti guadagni, lo stesso non si può dire per Jeremy Poldark che, sempre più oppresso dai sensi di colpa oltre che dall’ostinato rifiuto di Cuby Trevanion, ormai prossima alle nozze con Valentine Warleggan, deciderà di arruolarsi per sfuggire alla situazione per lui ormai emotivamente insostenibile.

D’altra parte, proprio lo stesso George Warleggan non sembra per niente intenzionato a rinunciare a trovare i colpevoli e ogni giorno che passa è sempre più vicino a scoprire la verità.

Geoffrey Charles, esonerato dal servizio attivo per qualche mese a causa di una ferita ricevuta in battaglia, torna a casa conducendo con sé la sua giovane moglie spagnola. Quale migliore occasione per dare una festa a Trenwith e fare conoscere a tutti Amadora?

Grazie a questa serata il lettore avrà l’occasione di riallacciare le fila della trama e incontrare nuovamente tutti i personaggi a lui più cari e non solo quelli.

In realtà fin dalle prime pagina, mentre Geoffrey Charles e la zia Verity si aggiornano a vicenda sulle ultime novità, il lettore ha l’impressione di non aver mai lasciato veramente quei luoghi e quei personaggi a lui tanto familiari.

In questo romanzo Clowance e Stephen si riavvicineranno definitivamente convolando a nozze. Inutile dire che non ho mai nutrito molta simpatia per Carrington e questo nuovo episodio non mi ha fatto cambiare idea sul suo conto, ma staremo a vedere cosa accadrà nei prossimi libri.

Il personaggio di Geoffrey Charles invece ha acquistato più fascino, più simile a Ross di quanto non si pensasse all’inizio, è a lui che il cugino Jeremy si rivolge per avere consigli non esitando a confessargli, non solo le sue pene d’amore, ma addirittura la rapina compiuta.

Valentine Warleggan rimane invece un personaggio piuttosto ambiguo, devoto al ricordo della madre, sembra non aver ereditato nulla dal padre naturale Ross e nello stesso tempo si allontana sempre più da quello che per tutti è il suo vero padre George con il quale i rapporti sono sempre più burrascosi e tesi.

Ursula Warleggan, nonostante sia una femmina, invece dimostra col passare del tempo sempre più di essere la vera erede di George. Sgraziata nella figura, ma molto astuta e attenta, la ragazzina fa davvero sorridere quando la si vede impegnata a giocare con il modellino di una miniera, fatto costruire in scala per lei da suo padre, per il quale si diverte persino a tenere dei registri e dei libri contabili!

Siamo ormai verso l’epilogo finale, mancano solo due libri alla conclusione della saga, e, a costo si essere ripetitiva, non posso che confermare ancora una volta che i romanzi di Winston Graham sorprendono per la capacità del suo autore di riuscire a mantenere sempre alta l’attenzione del lettore affascinandolo con i suoi personaggi e coinvolgendolo con le loro storie sempre allo stesso modo fin dal primo libro.

Non credo di aver mai letto una saga e per giunta così lunga che riuscisse a mantenere un così costante ritmo del racconto senza mai accennare un minimo calo di tensione narrativa come questa di Poldark scritta da Winston Graham.

Che dire? Un altro romanzo che si legge tutto d’un fiato e che ancora una volta ci lascia in trepidante attesa della prossima uscita.

                                       

Qui potete trovare i post dedicati agli altri volumi della saga di Poldark.

 


lunedì 9 novembre 2020

“La danza del mulino” di Winston Graham

La guerra contro Napoleone continua ad infuriare sul continente, mentre a casa Poldark Ross e Demelza sono in attesa del loro quinto figlio.

La nuova miniera sembra destinata a non dare risultati in tempi brevi ma, trattandosi di una speculazione, c’è bisogno di tempo per avere certezze.

Jeremy, il figlio maggiore, sembra proprio non riuscire a dimenticare l’affascinante Cuby Trevanion, ma il fratello della giovane è sempre più intenzionato a trovarle un marito ricco in grado si saldare i debiti da lui contratti per la costruzione della pretenziosa dimora di famiglia oltre che ai numerosi debiti di gioco.

Mentre la piccola di casa Isabella-Rose cresce sempre più ribelle, Clowance accetta di sposare l’attraente e tenebroso Stephen Carrington.

La passione tra loro divampa ad ogni sguardo, ma sarà sufficiente la sola attrazione fisica per far fronte a tutte quelle differenze che sembrano ogni giorno scavare una voragine sempre più profonda tra loro?

George Warleggan, sempre più ai ferri corti con il figlio maggiore Valentine, un damerino vanesio e libertino, compie il grande passo convolando a nozze con Lady Harriet.

L’esser riuscito a sposare la figlia di un duca rende George, se possibile, ancora più altezzoso e determinato a consolidare la propria ascesa sociale, ma sul suo cammino ancora una volta incocerà il nome dei Poldark.

Ambientato nella Cornovaglia del 1812, il nono capitolo della saga dei Poldark consacra definitivamente le nuove generazioni, già protagoniste dell’ottavo romanzo, come principali personaggi della storia.

Valentine, il figlio di Ross ed Elizabeth, che tutti credono essere figlio di George, sembra aver ereditato il carattere licenzioso e lo spirito depravato del nonno paterno, inoltre, per uno strano gioco del destino, il suo cammino sembra ormai indirizzato a scontrarsi con quello del fratellastro/cugino Jeremy, quasi a voler replicare lo scontro che in passato aveva opposto suo padre Ross al cugino Francis per la conquista del cuore di sua madre Elizabeth.

Cuby Trevanion ricorda molto Elizabeth, come lei è bella e di nobile nascita; anche Elizabeth aveva seguito il volere della famiglia, aveva accettato di sposare Francis per il decoro e per il denaro invece di seguire il suo cuore e sposare Ross. Cuby sembra intenzionata a fare la stessa scelta, ma riuscirà a rimanere ferma nei suoi propositi fino alla fine?

Per ora non è dato saperlo, dovremo attendere i prossimi romanzi così come dovremo aspettare le prossime uscite per conoscere quali saranno le scelte definitive di Clowance, l’adorata figlia di Ross.

“La danza del mulino” è un romanzo scorrevole come tutti i romanzi nati dalla penna di Winston Graham, anch’esso si legge tutto d’un fiato e non risulta mai noioso tranne forse nelle poche pagine in cui l’autore si perde nei dettagliati tecnicismi relativi ai motori e alle caldaie, ma fa tutto parte dell’economia del racconto.

La differenza con gli altri romanzi nasce dal fatto che questo libro lo si potrebbe considerare un volume di passaggio, nella prima parte infatti non ci sono grandi sviluppi nella storia e il finale resta più aperto del solito presentando uno spiazzante colpo di scena.

“La danza del mulino” è più improntato alla descrizione dei personaggi, all’indagine della loro psicologia così da preparare il lettore a quello che accadrà dei prossimi libri. È forse il romanzo che più di tutti lascia il lettore con il fiato sospeso in attesa di conoscere gli eventi futuri.

Ancora una volta Winston Graham riesce a turbare il lettore regalandogli emozioni e coinvolgendolo nella storia, creando aspettative e mantenendo alta la tensione del racconto, rendendolo sempre partecipe della vita dei suoi personaggi siano essi vecchie o nuove conoscenze.

“La danza del mulino” è un romanzo che conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, la grande capacità narrativa del suo autore e ci lascia, ancora una volta, in trepidante attesa dell’uscita del prossimo romanzo.

Qui potete trovare i post dedicati agli atri volumi della saga di Poldark




sabato 3 ottobre 2020

“Le quattro piume” di Alfred E.W. Mason

Harry, unico figlio del generale Feversham, è l’ultimo discendente di una famiglia i cui membri fin dalla prima generazione hanno abbracciato la carriera militare.

Il destino del giovane è stato scritto il giorno della sua nascita: arruolarsi e seguire le orme paterne è la sua unica opzione. 

Rimasto orfano della madre da piccolo, Harry è cresciuto nel timore di non essere all’altezza delle aspettative paterne, ma nonostante le sue diverse inclinazioni e le sue paure, non si tira indietro dinanzi alle sue responsabilità e entra tra le fila dell’esercito di Sua Maestà.

Purtroppo per Harry il luogotenente Sutch, l’unico ad aver intuito la sua solitudine e la sua sofferenza quando lui era poco più che un adolescente, non aveva trovato il coraggio di provare a scardinare la sua reticenza a esternare il proprio malessere.

Siamo nel 1882, Harry ha ventisette anni e sta per sposare una ragazza irlandese; proprio la sera in cui sta comunicando la lieta notizia agli amici, il giovane riceve un telegramma in cui gli si notifica l’imminente partenza per una campagna militare che lo porterà a combattere in prima linea in Egitto e in Sudan.

Harry decide di dimettersi dall’esercito; le imminenti nozze e la poca propensione della futura sposa a lasciare il suo amato Donegal potrebbero essere motivazioni più che sufficienti a giustificare la sua scelta, ma Harry sa che dietro il proprio gesto c’è molto più di questo.

Il giorno del fidanzamento Harry riceve dai suoi compagni tre piume bianche, simbolo della sua codardia, a queste la sua fidanzata Ethne Eustace, sconvolta per l’accaduto, ne aggiunge una quarta strappandola dal proprio ventaglio.

Harry ha ormai perso tutto: l’onore, l’amore della sua donna e l’affetto del padre.

Gli resta solo un modo per provare a riabilitarsi dinnanzi agli occhi della gente, ma soprattutto davanti agli occhi di Ethne, partire per l’Africa e lì attendere un’occasione per riscattare il proprio onore.

Da questo romanzo sono state tratte diverse trasposizioni cinematografiche; ricordo quella del 2002 che, nonostante l’ottimo cast, non mi aveva entusiasmato per niente. Proprio per questo motivo sono stata a lungo in dubbio se leggere o meno il libro.

Si dice spesso che i film non sono quasi  mail all’altezza del romanzo, credo che mai come in questo caso si possa essere d'accordo con tale affermazione.

“Le quattro piume” è un romanzo d’avventura e d’amore, ma è anche sopratutto un romanzo psicologico. Ciò che lo rende particolarmente interessante infatti sono i personaggi stessi e l’indagine approfondita della loro psicologia da parte dell’autore, il loro modo di saper reagire ai cambiamenti così come, per alcuni di loro, l’incapacità di saper contrastare gli eventi restando ostinatamente fermi sulle proprie posizioni.

Terminata la lettura del romanzo ho deciso di rivedere il film per rendermi conto del perché il mio giudizio fosse stato così negativo; ebbene, al di là di molti episodi completamente distorti, quello che davvero manca al film è l’introspezione psicologica, i personaggi del film sono piatti, privi di emozioni e incapaci di trasmetterne.

I personaggi del romanzo al contrario riescono a coinvolgere emotivamente il lettore e questo non vale solo per il protagonista Harry, ma anche per tutti gli altri, in particolar modo per Ethne e il colonnello Durrance.

Quando Harry rassegna le sue dimissioni e riceve le famose quattro piume non cambia solo il corso della propria storia, ma anche la vita di coloro che gli sono vicini.

Ethne è il personaggio che meno ho amato del libro anche se pagina dopo pagina ho dovuto addolcire il mio giudizio nei suoi confronti. Non è facile da accettare che proprio colei che ama Harry e sta per legarsi a lui per la vita lo ferisca aggiungendo addirittura il carico della quarta piuma. Lei, più di tutti, avrebbe dovuto cercare di comprenderlo e invece lo condanna crudelmente preoccupata di quello che potrebbe pensare la gente, rivelando così di essere proprio lei la vera codarda della coppia.

Harry trarrà forza dal dolore e dalla delusione inferti involontariamente a Ethne per cercare il proprio riscatto e mai, neppure per un secondo, la incolperà di qualche mancanza nei suoi confronti.

La paura di Harry ha origine dalla sua immaginazione; è sempre stato solo e il padre lo ha cresciuto usando il pugno di ferro, non ha mai potuto confidarsi con nessuno. Il suo timore nasce dalla paura di potersi comportare da codardo, non nasce assolutamente dalla mancanza di coraggio tanto è vero che saprà dimostrare grandemente a tutti il proprio valore.

Il suo però non potrà mai essere il valore cieco e indottrinato proprio del soldato perché la sua capacità immaginifica lo porterà sempre a prevedere gli eventi e sono proprio queste possibilità future a intimorire Harry. Tutto ciò non ne fa necessariamente un codardo anzi, proprio nel momento del pericolo, egli è in grado di dare il meglio di sé e superare di gran lunga gli altri per valore e temerarietà nell’azione.

Altro personaggio che non si può non amare è l’amico di Harry, Jack Durrance; l’empatia nei suoi confronti cresce inevitabilmente pagina dopo pagina.

La sua posizione non è facile fin dall’inizio quando, innamorato della donna che sta per diventare la moglie del suo migliore amico, quella donna che lui stesso gli ha presentato, accetta di farsi da parte in silenzio, senza scalpore, senza lasciare trapelare nulla dei propri sentimenti feriti.

Durrance trae ispirazione dalla musica e come la vera musica egli non si lamenta. L’ouverture della Melusina è la colonna sonora del romanzo, la musica del violino di Ethne è sempre sincera e rivelatrice dei suoi stati d’animo; per un attento uditore come Durrance non possono esserci fraintendimenti nell’interpretare, attraverso il suono del violino, i veri sentimenti di Ethne tranne in rari casi in cui l’uomo viene sopraffatto da false speranze.

Non posso davvero rivelarvi di più sul personaggio di Jack Durrance per non rovinarvi la lettura del romanzo, ma vi assicuro che egli è il protagonista indiscusso di meravigliose pagine cariche di tensione emotiva laddove ingaggia con Ethne una vivace e acuta battaglia psicologica fatta di schermaglie ricche di arguzia e non comune ingegno.

Afred E.W. Mason fu un politico e un militare dalla vita avventurosa e questo indubbiamente lo ha facilitato nella stesura delle pagine dedicate alle azioni di guerra che sono scritte con cognizione di causa, ma è soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi che egli ha saputo dare il meglio di sé.

Egli ha dimostrato di essere un notevole esperto di psicologia ed è facile sovrapporre la sua figura di scrittore a quella di uno dei personaggi, il luogotenente Sutch, descritto come un appassionato dello studio della natura umana e dotato di grande spirito di osservazione.

Sono grata a Scrittura & Scritture per aver riproposto a distanza di cinquant’anni dalla sua ultima pubblicazione “Le quattro piume”; il libro di Afred E.W. Mason è un classico da non perdere, una storia affascinante che merita di essere letta e non conosciuta solo attraverso le trasposizioni cinematografiche che, per quanto fedeli possano essere,  non saranno mai in grado di rendere giustizia alla profonda psicologia dei personaggi nati dalla penna dello scrittore. 

Un’ultima parola voglio spenderla per l'impeccabile qualità della veste grafica sempre molto accurata dei libri editi da questa casa editrice che, anche in questo particolare caso, risulta essere oltremodo elegante, accattivante e azzeccata.




sabato 26 settembre 2020

“Odissea” di Omero (traduzione di Dora Marinari)

Dopo l’Iliade di cui vi ho parlato il mese scorso, vorrei oggi parlarvi dell’altro poema omerico, l’Odissea, sempre edito da La Lepre Edizioni e tradotto da Dora Marinari, commento a cura di Giulia Capo.

La traduzione classica o comunque più conosciuta dell’Odissea è senza dubbio quella di Ippolito Pindemonte. A differenza della traduzione dell’Iliade ad opera del suo contemporaneo Vincenzo Monti, quella dell’Odissea del Pindemonte ha una sonorità molto differente per quanto anch’essa sia ricca di echi settecenteschi.

La differenza però non è tanto da imputare al diverso spirito con il quale i due traduttori si sono accostati ai testi omerici, quanto piuttosto al diverso linguaggio proprio dei due poemi stessi. Pur riscontrando nell’Odissea patronimici ed epiteti già incontrati nell’Iliade, quali per esempio ῥοδοδάκτυλος Ἠώς (l’Aurora dalle dita di rosa) oppure Menelao definito βοὴν ἀγαθός (potente nel grido), il linguaggio dell’Odissea è meno solenne rispetto a quello dell’Iliade.

Se l’Iliade infatti era il poema che raccontava dell’ira di Achille, della contesa delle armi e della ricerca della gloria, l’Odissea è invece il poema che canta l’uomoRaccontami, Musa, di quell’uomo ricco d’ingegno” e proprio per questo il linguaggio di Omero si fa più semplice e nulla, o poco, ha in comune con quello eroico e celebrativo proprio dell’Iliade.

Giulio Nascimbeni in una sua introduzione ai poemi Omerici affermava, attingendo ai propri ricordi di studente, che a scuola quelli più timidi erano soliti parteggiare per Ettore ed Enea, mentre quelli più sicuri di sé e un po’ rissosi prediligevano Achille e Aiace.

Per quanto riguardava invece la figura di Ulisse, sempre in bilico tra astuzia e nostalgia, la sua era una figura troppo complicata e ambigua per poter essere apprezzata da degli adolescenti.

Non saprei dirvi se questo pensiero mi trovi più o meno d’accordo, da parte mia posso dire che rileggendo l’Iliade ho rivalutato moltissimo il personaggio di Achille e questo proprio grazie alla traduzione di Dora Marinari che mi ha portato a considerare particolari e sfumature che mi erano sfuggiti quando in precedenza mi ero affidata alla traduzione del Monti; a questa mia rivalutazione della figura di Achille ha senza dubbio contribuito molto anche il coinvolgente e dettagliato commento di Giulia Capo.

Ulisse, lo ammetto, non è mai stato uno dei miei personaggi preferiti e questo, purtroppo, ha influito negativamente per anni anche sul mio giudizio dell’Odissea. La traduzione di Dora Marinari non ha potuto compiere il miracolo di rendermi simpaticissimo Ulisse, ma è riuscita comunque a farmi comprendere meglio il suo personaggio e soprattutto a farmi riconciliare con il poema.

L’Odissea non è solo il racconto del nostos (νόστος) di Ulisse, ma le tematiche affrontate da Omero in questo suo poema sono molteplici; la fluidità della traduzione di Dora Marinari riesce a evidenziarle tutte in modo semplice e naturale.

Il mondo degli eroi della guerra di Troia non era un mondo di signorotti feudali, ma l’immaginazione del lettore potrebbe essere ingannata in tal senso dalle traduzioni sette/ottocentesche. 

La traduzione di Dora Marinari invece riporta dinnanzi ai nostri occhi quella realtà arcaica costituita da popoli dediti all’agricoltura, all’allevamento e alla navigazione. Lo stesso Ulisse era un re di una terra petrosa, possedeva greggi e armenti, e in quel tempo per il possesso di quelle medesime mandrie potevano scoppiare cruente e sanguinose guerre.

Il mondo dell’Odissea è un mondo popolato non solo da re, principi ed eroi, ma anche da servi e ancelle.

L’Odissea è il poema delle donne, molte e diverse tra loro sono infatti le figuri femminili che vi appaiono: Elena, Penelope, Circe, Calipso, Nausica.

Grazie alla traduzione di Dora Marinari ho riscoperto il piacere della lettura di alcune pagine dell’Odissea che sanno regalare immagini particolarmente struggenti come quelle in cui Ulisse ritrova il vecchio padre Laerte dedito a coltivare i propri campi e lui, per farsi riconoscere dal genitore, gli elenca tutti quegli alberi che un giorno, tanto tempo prima, il padre gli aveva donato o altre pagine di straordinaria intensità come quelle in cui Ulisse visita l’Ade e incontra le anime dei morti dopo aver lasciato la casa della maga Circe.

Lo scopo di Dora Marinari, come da lei stessa sottolineato, era quello di riuscire a realizzare una traduzione il più fedele possibile al testo greco, ma che allo stesso tempo mantenesse un linguaggio corrente, d’uso comune, così da essere compreso dal vasto pubblico e non solo da coloro in possesso di una formazione classica.

Direi che è riuscita perfettamente nel suo intento, le sue traduzioni dell’Iliade e dell’Odissea parlano un linguaggio moderno e antico allo stesso tempo, restando fedeli alla tradizione dei poemi omerici nati per essere trasmessi oralmente.

Ciò che mi ha colpito di più, leggendo i poemi in questa nuova versione, è quella sorta di pace che si impossessa del lettore il quale fin da subito si trova immerso nel ritmo lento e rilassato nella narrazione, ammaliato da un dolce canto che gli infonde serenità seppure gli episodi narrati siano spesso aspri e violenti; sembra davvero di entrare in un’altra dimensione, in un altro mondo e questa sensazione perdura per ogni singolo libro di entrambi i poemi senza mai abbandonare il lettore.

Nonostante lo scetticismo iniziale che avevo raccontato di aver provato prima di avvicinarmi a queste traduzioni, scetticismo che era comunque già stato spazzato via dopo la lettura delle prime pagine dell’Iliade, dopo aver letto entrambi i poemi non posso che ammettere di essere stata letteralmente conquistata da questi volumi editi da La Lepre Edizioni.




Vi ricordo qui il link relativo al post dedicato all’Iliade 

domenica 30 agosto 2020

“Iliade” di Omero (traduzione di Dora Marinari)

Questo poema non ha ovviamente bisogno di alcuna presentazione né è mia intenzione in questa sede riproporvi l’annosa questione omerica, in realtà lo scopo di questo post è invece quello di parlarvi di una recente traduzione dell’Iliade (2010) edita da La Lepre Edizioni, traduzione di Dora Marinari (1930-2013) con il commento di Giulia Capo.

Le traduzioni dei poemi omerici sono state innumerevoli nel corso dei secoli, ma quella più conosciuta, sebbene forse non la più fedele al testo, è senza dubbio quella di Vincenzo Monti.

Ricordo ancora il mio primo incontro con il poema, ero alle medie e l’antologia si intitolava “Armi Eroi Popoli” a cura di Salvatore Guglielmino, fu subito amore.

Qualche anno dopo mia nonna mi regalò le edizioni integrali di entrambi i poemi in sei volumi: l’Iliade nella classica traduzione del Monti e l’Odissea, traduzione di Ippolito Pindemonte.

Avevo sempre ritenuto impossibile, quasi fosse un sacrilegio, leggere una traduzione dell’Iliade diversa da quella del Monti, fino a quando, la settimana scorsa, mi sono decisa ad avvicinarmi alla traduzione di Dora Marinari e, grazie a lei, ho scoperto che esiste un altro modo di approcciarsi al poema omerico, altrettanto piacevole e fruttuoso seppur differente.

Senza nulla togliere all’espressività poetica della traduzione del Monti, un’espressività che per me resterà sempre di una forza e di una bellezza ineguagliabili, avvicinandomi ad una nuova traduzione ho riscontrato che il rischio di finire per identificare il poema omerico con la traduzione montiana è effettivamente molto alto, quasi che il vero testo dell’Iliade fosse quello scritto da Monti.

Grazie alla traduzione di Dora Marinari la lettura dell’Iliade diviene scorrevole, pur rispettando tanto la narrazione in versi quanto il linguaggio poetico originale.

La fluidità del testo così come l’eleganza che contraddistinguono questa moderna traduzione, attenta e fedele allo spirito omerico, ci permettono di apprezzare meglio sia quanto ci viene narrato da Omero sia la bellezza di quel mondo popolato da eroi, dei e semidei senza l’incessante sforzo di cercare di interpretare quella che, in verità, è una traduzione che, seppur di grande intensità poetica e forse proprio per questa sua stessa caratteristica, tende a mettere in ombra il testo omerico.

Per fare un esempio concreto: nel proemio nella traduzione di Monti si fa riferimento agli inferi traducendo quello che nel testo è Ἂïδi (Ἂïδης) con Orco (dal latino Orcus,i).

Tradurre con il termine più letterale Ade nulla toglie alla poeticità del testo, ma facilita invece molto la comprensione da parte del lettore che nel caso della traduzione del Monti necessita di una nota a piè pagina, mentre nel caso della traduzione della Marinari comprende immediatamente ed è pertanto più libero di concentrasi sulla narrazione dei fatti.

Orco era definizione presente anche nei Sepolcri del Foscolo però ciò che all’epoca del Monti, contemporaneo del Foscolo, era un termine forse di facile identificazione non è detto debba esserlo per noi oggi tanto più se digiuni di studi classici.

Non dimentichiamo infatti che i poemi omerici nacquero con un intento comunicativo cioè con lo scopo di trasmettere storie e concetti di tipo sociale e politico.

Una traduzione fluida permette di raggiungere ai giorni nostri lo stesso scopo e di rendere accessibili a tutti quei concetti che sono alla base nella nostra cultura e che si svilupparono proprio su suolo greco.

Questa nuova traduzione così scorrevole ci permette inoltre di leggere il poema quasi fosse un romanzo in versi, dandoci la possibilità di apprezzarne anche la trama e quei personaggi che con tanta armonia mantengono i loro epiteti (Era dalle bianca braccia, Achille dal passo veloce, Atena la dea dagli occhi azzurri).

Al termine di ogni libro è presente il relativo commento a cura di Giulia Capo; il fatto di porlo alla fine anziché all'inizio del libro come si è soliti fare, è una soluzione che ho apprezzato davvero molto perché questo permette di leggere il testo omerico in maniera libera apprezzando lo svolgimento del  racconto senza subire influenze di sorta.

I commenti, tutti molto articolati ed esaustivi, sono una via di mezzo tra una parafrasi del testo e quelle che erano le note a piè di pagina delle edizioni tradizionali.

I commenti agevolano il lettore nel fare il punto su quanto appena letto e lo aiutano a focalizzare i concetti principali espressi nel libro senza tralasciare, dove necessario, di dare una spiegazione sulla scelta di tradurre una particolare parola con un dato termine piuttosto che un altro.

Al posto delle note a piè di pagina si trova invece il testo originale in greco, altra soluzione molto gradita perché facilita un riscontro immediato con la traduzione.

Questa nuova edizione ci dà inoltre la possibilità di rileggere il poema secondo diversi registri.

Indubbiamente l’Iliade è un poema dagli intenti celebrativi siano essi morali, politici o sociali, è il poema in cui Apollo ci inviata ad indagare su noi stessi  γνῶθι σαυτόν (conosci te stesso) e ancora di più ci inviata alla moderazione, a rispettare il limite invalicabile  μηδὲν ἄγαν (niente di troppo), ma l’Iliade più prosaicamente è anche il poema alle origini di tutta una letteratura che nei secoli si è ispirata all’ideale di perfezione del καλὸς καὶ ἀγαθός, dai romanzi cavallereschi ai miti romantici fino ad arrivare ai nostri giorni con la letteratura fantasy.

Quanto sono simili a quelli che leggiamo nei romanzi moderni i discorsi di incitamento ai compagni prima della battaglia che troviamo nell’Iliade? Quanto sono affini le cruente descrizioni delle ferite inferte ai nemici in quelle stesse battaglie?

Mi sono ritrovata anche a sorridere quando leggendo di Ettore sterminatore di uomini mi è sopraggiunto alla mente la definizione di sterminatore di re che George R.R. Martin attribuisce a Jaime Lannister nella sua saga del “Trono di spade”.

Ebbene sì, lo riconosco, sono partita dal ritenere quasi blasfemo leggere una traduzione dell’Iliade diversa da quella universalmente riconosciuta di Vincenzo Monti a ritrovare addirittura analogie con la più ordinaria letteratura contemporanea.

L’elemento distintivo della traduzione di Dora Marinari è proprio questo, averci restituito in tutto il suo splendore un poema che, sebbene millenario, è ancora vivo e attuale, un poema che non ci si stancherà mai di leggere anzi di ascoltare.   

Era da tanto tempo che non leggevo ad alta voce eppure con questo libro mi sono ritrovata a farlo perché se si vuole davvero apprezzare a pieno la natura di questo poema bisogna rispettarne il ritmo, l'Iliade va ascoltata anche se solo dalla propria voce.

 



 

domenica 15 marzo 2020

“Lo straniero venuto dal mare” di Winston Graham


LO STRANIERO VENUTO DAL MARE
di Winston Graham
SONZOGNO
Siamo nel 1810 e sono trascorsi ormai dieci anni dagli eventi narrati nella Furia della marea laddove si era interrotto anche il racconto della serie televisiva.

Demelza attende a Nampara il ritorno di Ross impiegato in Portogallo per conto del governo presso l’armata di Wellington.

Il rapporto tra Ross e Demelza è ormai un rapporto consolidato e sereno così come quello tra il dottor Enys e la sua bella moglie Caroline.

Sono ora le nuove generazioni che iniziano ad imporsi sulla scena.

I figli di Ross e Demelza sono ormai cresciuti, Isabella-Rose ha appena dieci anni, ma Jeremy ne ha ormai diciannove anni e Clowance sedici.

George Warleggan, vedono da undici, sembra deciso a risposarsi e per questo inizia a corteggiare un’elegante lady.
Deve però fare i conti con i comportamenti piuttosto dissoluti del suo primogenito Valentine e con alcune avventate scelte finanziarie che metteranno a rischio il suo patrimonio.

Anche i fratelli di Demelza conducono ormai una vita serena: Drake e Morwenna hanno coronato la loro storia d’amore e hanno avuto una figlia, mentre Sam è felicemente sposato con Rosina.

Un giorno Jeremy trae in salvo dal naufragio di una nave un marinaio, il suo nome è Stephen Carrington.

L’uomo è un tipo gioviale, allegro e passionale; Jeremy e Clowance restano entrambi affascinati dalla nuova conoscenza, ognuno ovviamente a modo suo.

Jeremy vede infatti incarnato in Stephen lo spirito di avventura e Clowance invece se ne innamora fin da subito.

Clowance che, a dire il vero, vanta un nutrito numero di ammiratori tra i quali spicca persino un lord, non è una ragazza frivola e senza senno per cui, seppur scossa e spaventata dai sentimenti che sente di provare per Stephen, non si lascia assolutamente travolgere dalla passione.

Come avrete capito anche questo nuovo capitolo della saga di Poldark non delude il lettore.
La scrittura è scorrevole, piacevole ed il romanzo si legge tutto d’un fiato.

I personaggi sono intriganti ed affascinanti; le vicende come sempre appassionanti ed emozionanti.

I protagonisti che si affacciano sulla scena per la prima volta riescono a coinvolgere il lettore con le loro storie fin dalle prime pagine.

Come sempre quello che colpisce di più è la grande capacità di Winston Graham di saper raccontare nuove storie senza mai perdere continuità con le precedenti.

La fluidità del racconto è assoluta; le nuove storie si inseriscono perfettamente in quelle raccontare precedentemente; i vecchi personaggi interagiscono con i nuovi restando sempre fedeli a se stessi, senza che il racconto evidenzi mai un minimo scollamento.

Ne è un esempio il modo in cui l’autore ci racconta il conflitto tra il vecchio e il nuovo che avanza.
Jeremy è entusiasta delle nuove tecnologie, egli vede tutte le meravigliose potenzialità che un uso più ampio del vapore potrebbe apportare alla società e cerca di persuadere di questo suo padre. 
Ross all'inizio è piuttosto scettico e fatica a lasciarsi convincere, ma poi cede dinnanzi alle competenze di quel figlio che gli ha anche dimostrato di essere ormai diventato un uomo.

Lo straniero venuto dal mare inaugura la seconda parte della saga di Poldark e lo fa, non solo attraverso il racconto delle vicende della nuova generazione della famiglia, ma anche attraverso il racconto di un epoca e delle sue conquiste. 

Protagonista del romanzo, però, non è esclusivamente la nuova scienza tecnologica, ma, come per i precedenti volumi, i veri protagonisti della storia sono i sentimenti e gli amori che siano questi appena nati, contrastati o impossibili.

Protagoniste del libro sono le pene d’amore di Jeremy per Cuby, ma anche i sentimenti dei pretendenti di Clowance.
Ci dispiace per Ben Carter che sembra avere ben poche speranze, nutriamo forti dubbi nei confronti di Stephen che sembra nascondere un qualche segreto, ma soprattutto facciamo il tifo per Lord Edward che sembra un personaggio uscito dalle pagine di un romanzo di Jane Austen. Come si potrebbe non fare il tifo per lui?

Per sapere come andrà a finire, però, non ci resta che aspettare l’uscita del prossimo libro sperando davvero di non dover attendere troppo a lungo.



Qui potete trovare gli altri post relativi alla saga di Poldark


domenica 8 dicembre 2019

“La furia della marea” di Winston Graham


LA FURIA DELLA MAREA
di Winston Graham
SONZOGNO
Il Diciottesimo secolo sta volgendo al termine e i protagonisti della storia hanno l’angosciante sensazione che non solo il secolo sia prossimo  alla fine, ma anche la vita così come l’anno conosciuta fino ad allora.

Ross è ancora scosso dal tradimento di Demelza, i sentimenti che prova sono contradditori e fatica a ritrovare con lei l’armonia di un tempo nonostante sia la cosa che desideri più ardentemente.
Dopo aver vinto la sfida con il suo rivale di sempre, George Warleggan, Ross Poldark ora è un membro del parlamento e questa nuova carica lo costringe a dividere il suo tempo tra Londra e la Cornovaglia.

Durante l’assenza di Ross a Nampara è la moglie ad occuparsi degli affari di famiglia.
Demelza, da donna forte e determinata qual è, nonostante le difficoltà riesce sempre ad affrontare saggiamente ogni cosa sia per quanto concerne la miniera e la fattoria sia per quanto riguarda le problematiche familiari.

Il matrimonio di Morwenna con il reverendo Osborne è sempre più in crisi e l’uomo sembra essere disposto a  qualunque cosa pur di liberarsi della moglie.
Drake, pungolato in tale direzione da Demelza e da Sam, è finalmente sul punto di rifarsi una vita con una brava giovane del villaggio, nonostante non abbia però mai dimenticato Morwenna.
L’amore di Drake e Morwenna sembra ormai un amore impossibile, eppure la vita si sa è beffarda e riserva sempre delle sorprese.

Elizabeth e il marito sembrano aver ritrovato finalmente un po’ di serenità in quanto George sembra essere riuscito a superare il terribile dubbio sulla vera paternità di Valentine. Ma quanto durerà questa tregua?

Nel frattempo un nuovo personaggio appare sulla scena, un libertino senza scrupoli che ha messo gli occhi su Demelza e Ross non esiterà a sfidarlo a duello rischiando non solo di compromettere la sua posizione in parlamento, ma anche la sua completa riconciliazione con la moglie.

Il matrimonio di Caroline e Dwight scricchiola a seguito di un duro colpo che la sorte ha loro riservato.
Il loro legame è profondo, ma i loro caratteri sono molto diversi così come completamente diverso è il loro modo di affrontare le crisi.
Riusciranno a ritrovarsi anche questa volta?

Siamo arrivati così al settimo libro della saga e, come sempre, gli avvenimenti si susseguono senza tregua.

Nuovi personaggi si affacciano sulla scena, altri acquistano importanza con le loro vicissitudini e le vecchie storie si intrecciano con le nuove dando vita ad un nuovo ed avvincente romanzo.

Il punto di forza di questa saga, non mi stancherò mai di sottolinearlo, è proprio la grande capacità di Winston Graham di riuscire a tenere viva l’attenzione del lettore arricchendo la storia, romanzo dopo romanzo, con l’introduzione di nuovi personaggi, con l’evoluzione e la crescita di quelli conosciuti e con nuovi interessanti sviluppi della trama.

Ancora una volta ci ritroviamo a sperare in una riconciliazione completa tra Ross e Demelza e tra Dwight e Caroline e, ancora una volta, non possiamo non sperare che accada qualcosa per cui possa finalmente esserci un lieto fine anche per Drake e Morwenna.

Il racconto scorre veloce e il romanzo si legge tutto d’un fiato, ma anche questo aspetto non è una novità per i lettori della saga.
Ci si ritrova sempre troppo presto all’ultima pagina con la speranza che la casa editrice pubblichi quanto prima il volume successivo.

Da venerdì 3 gennaio andrà in onda su Sky la quinta ed ultima stagione della serie TV dedicata ai Poldark.
Non sarà facile accettare la conclusione di una serie TV che tanto ci ha affascinato, ma la buona notizia è che il racconto si fermerà prima della fine della storia scritta da Winston Graham per cui, una volta terminata la visione televisiva, le vincente della famiglia Poldark ci potranno tenere compagnia attraverso le pagine dei libri ancora per un po’.


I post relativi ai precedenti romanzi potere trovarli qui