lunedì 28 luglio 2014

“Il fantasma dell’Opera” di Gaston Leroux (1868 – 1927)

IL FANTASMA DELL’OPERA
di Gaston Leroux
NEWTON COMPTON EDITORI
Pubblicato nel 1911 “Il fantasma dell’Opera” è forse il romanzo più conosciuto di Leroux, opera che contribuì inoltre a consacrare definitivamente la fama dello scrittore.

Ad oggi sono molte le trasposizioni cinematografiche del libro la cui fortuna ha visto anche adattamenti teatrali, trasformazioni in musical e perfino adattamenti per il balletto.

La trama del romanzo è nota a tutti.

Erik, conosciuto da molti come il fantasma dell’Opera e da alcuni come il signore delle botole, vive nei sotterranei del teatro.
Il suo aspetto mostruoso non gli permette di potersi presentare in pubblico se non indossando una maschera che nasconda le sue orribili fattezze.
                                                                                               
E’ prodigiosamente magro e il suo frac volteggia sopra una impalcatura scheletrica. I suoi occhi sono così profondi che le pupille, immobili, non si distinguono bene. Insomma, si vedono soltanto due grandi buchi neri come dei crani morti. La sua pelle, tesa sull’ossatura come la pelle di un tamburo, non è bianca, ma sgradevolmente giallastra; il naso è così minuscolo da essere invisibile di profilo, e l’assenza di quel naso è cosa orribile a vedersi. Tre o quattro lunghe ciocche castane sulla fronte e dietro le orecchie fungono da capigliatura.

Erik è però un personaggio dalle mille risorse: è un abile costruttore, a lui viene attribuita infatti in parte la costruzione del teatro con i suoi numerosi cunicoli, passaggi segreti e botole; è un capace ventriloquo, tanto da essere definito il migliore del mondo, e per finire è dotato di eccezionali doti canore.

Proprio grazie alla sua magnifica voce, Erik presentandosi come l’angelo della musica riesce ad ammaliare Christine Daaé, una giovane ed ingenua cantante, orfana di padre.
Il padre della ragazza, un valente violinista di origini svedesi, aveva raccontato a Christine, quando questa era solo una bambina, la storia dell’angelo della musica e, proprio a causa del ricordo legato al genitore, lei ingenuamente cade nel tranello di Erik.

Christine un giorno rivede a teatro un amico di infanzia, Raoul ovvero il visconte di Chagny; questi si innamora perdutamente della ragazza da lei ricambiato.
La loro storia d’amore però sarà una storia di tormenti e paura poiché il fantasma dell’Opera non ha nessuna intenzione di cedere al rivale la donna che anch’egli ama perdutamente e userà ogni mezzo a sua disposizione per sposare Christine e sbarazzarsi di Raoul.

Leroux conduce sapientemente la narrazione tenendo sempre alta l’attenzione del lettore utilizzando le strutture del romanzo epistolare e diaristico.
Riesce inoltre a rendere sempre partecipe il lettore della storia porgendo a questi il racconto da diversi punti di vista attraverso le testimonianze, i racconti, le memorie di vari personaggi.

Le ultime pagine che riguardano l’epilogo del racconto e svelano chi sia in effetti Erik, sono affidate alla testimonianza di colui che a teatro è conosciuto come il Persiano ma che Erik chiama il daroga.
Il daroga (capo della polizia) aveva salvato la vita ad Erik anni addietro in Persia quando questi era stato condannato a morte dal sultano perché non potesse mai svelare i misteri del palazzo che gli aveva costruito e non ne potesse costruire di simili per altri committenti.

Il Persiano si sente quindi responsabile dei delitti commessi da Erik e tenta in tutti i modi di porgli un freno.

Raoul e Christine sono due tra i personaggi principali, eppure non mi hanno particolarmente entusiasmata: troppo ingenua e svenevole lei, troppo imberbe e mellifluo lui, insomma ben lontani da personaggi dai caratteri forti e ben delineati come Mina Murray e Jonathan Harker vessati da Dracula nell’omonimo romanzo di Bram Stoker.

Erik è invece un personaggio ben riuscito, non solo per la descrizione del suo aspetto fisico, delle sue qualità diaboliche e per la sua astuzia, ma sopratutto per quel senso di pietà che sa infondere nel lettore al termine della narrazione quando vengono svelati i particolari della sua infanzia e quando egli stesso apre il cuore al Persiano raccontandogli del bacio dato e ricevuto da Christine.

Il fantasma dell’Opera è un mostro, un essere crudele che come Frankenstein, celebre personaggio nato dalla penna di Mary Shelley, rivendica la sua appartenenza al mondo degli uomini con gli unici mezzi che ha a sua disposizione.
Lui essere deforme dalla voce d’angelo anela esclusivamente ad essere amato come qualunque altro essere umano.

Amami e vedrai! Avevo soltanto bisogno di essere amato per diventare buono!

“Il fantasma dell’opera” è un romanzo teatrale e gotico dove le descrizioni dei luoghi sono dettagliatissime e perfette.
Ogni cosa è raccontata da Leroux con una tale dovizia di particolari che il lettore non fa alcuna fatica a ricreare nella sua mente ogni angolo del teatro e della casa sul lago.

E’ una storia terribile e misteriosa dove si potrebbe dire che i veri protagonisti siano i sentimenti: la passione, la vendetta, l’amore, la gelosia, la compassione…

E’ un romanzo che raccoglie in se diverse tipologie di scrittura che appartengono a diversi stili letterari come il poliziesco, la commedia, l’avventura e l’horror. 
Forse si deve anche a questa contaminazione di generi se “Il fantasma dell’opera” riesce ancora oggi, a più di un secolo dalla sua prima pubblicazione, ad affascinare il lettore moderno e a coinvolgerlo dalla prima all’ultima pagina.



domenica 27 luglio 2014

Eduardo De Filippo (1900-1984) e "Le poesie"


Sono nato a Napoli il 24 maggio 1900, dall’unione del più grande attore-autore-regista e capo-comico napoletano di quell’epoca, Eduardo Scarpetta con Luisa De Filippo, nubile. Ma ci volle del tempo per capire le circostanze della mia nascita perchè a quei tempi i bambini non avevano la sveltezza e la strafottenza di quelli d’oggi e quando a undici anni seppi che ero “figlio di padre ignoto” per me fu un grosso choc. La curiosità morbosa della gente intomo a me non mi aiutò certo a raggiungere un equilibrio emotivo e mentale. Così, se da una parte ero orgoglioso di mio padre, della cui Compagnia ero entrato a far parte, sia pure saltuariamente, come comparsa e poi come attore, fin dall’età di quattro anni quando debuttai nei panni d’un giapponesino nella parodia dell’operetta Geisha, d’altra parte la fitta rete di pettegolezzi chiacchiere e malignità mi opprimeva dolorosamente. Mi sentivo respinto, oppure tollerato e messo in ridicolo solo perchè “diverso”. Da molto tempo, ormai, ho capito che il talento si fa strada comunque e niente lo può fermare, ma è anche vero che esso cresce e si sviluppa più rigoglioso quando la persona che lo possiede viene considerata “diversa” dalla società. Infatti, la persona finisce per desiderare di esserlo davvero, diverso, e le sue forze si moltiplicano, il suo pensiero è in continua ebollizione, il fisico non conosce più stanchezza pur di raggiungere la meta che s’è prefissa. Tutto questo però allora non lo sapevo e la mia “diversità” mi pesava a tal punto che finii per lasciare la casa materna e la scuola e me ne andai in giro per il mondo da solo, con pochissimi soldi in tasca ma col fermo proposito di trovare la mia strada. Dovrei dire: di trovare la mia strada nella strada che avevo già scelto da sempre, il teatro, che è stato ed è tutto per me. 
(Da “Eduardo De Filippo. Vita e opere”. Arnoldo Mondadori Editore, 1986)


Eduardo De Filippo è conosciuto da tutti come autore di teatro oltre che come regista ed attore, ma pochi sanno però che il grande Eduardo fu anche autore di poesie.
All’inizio si trattava di semplici componimenti giovanili, ma nel corso degli anni questa sua attività divenne complementare alla sua produzione teatrale.

LE POESIE
di Eduardo De Filippo
EINAUDI 

Come lo stesso De Filippo ha più volte raccontato succedeva spesso che durante la scrittura di una commedia la sua ispirazione subisse degli arresti, delle pause e allora per non interrompere il lavoro, dal momento che la voglia di riprenderlo sarebbe stata certamente assente, Eduardo lo accantonava per un momento e, con un foglio bianco dinnanzi a lui, iniziava a buttare giù dei versi che avessero attinenza con i personaggi della commedia a cui stava lavorando.
Nascono così poesie come “Tre ppiccerille” legati alla celebre “Filumena Marturano” o “Donn’Amalia” e “L’enemì” legate a “Napoli Milionaria”.

Il linguaggio di De Filippo non è il linguaggio plebeo che possiamo ritrovare ad esempio in Raffaele Viviani il quale aveva esperienza diretta di un mondo fatto di lavandaie, scugnizzi, domestiche, acquaioli, artigiani...
La lingua di De Filippo è quella della borghesia nel primo novecento e il linguaggio del popolo che lui utilizza nasce dalla sua acuta capacità di osservare quelle categorie di persone che egli non frequenta abitualmente.

Nelle poesie di Eduardo De Filippo troverete tutta quell’ironia che spesso fa sorridere, ma allo stesso tempo fa riflettere, quella sua sottile comicità nella descrizione di personaggi e situazioni che sono sì divertenti, ma spesso anche terribilmente amare.

De Filippo ci racconta la sua Napoli con un paternalismo bonario, ci racconta una Napoli fatta di macchiette e di personaggi che vivono ‘into vascio (nel basso, abitazione poverissima sulla strada), che si ingegna per tirare a campare, che campa ‘a bona ‘e Dio.

Nella produzione teatrale di Eduardo così come nelle poesie c’è tutta la filosofia di un popolo, quello napoletano, per cui la famiglia e i figli vengono prima di tutto “E figlie so' figlie e so' tutt'eguale!" (da "Filumena Marturano"), un popolo abituato a dimenticare i torti subiti “chi avuto-avuto” tipico del famoso detto “chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato”.

Non posso dirvi che le poesie di Eduardo siano facilissime da leggere perchè il napoletano è piuttosto ostico per chi è completamente digiuno di questo dialetto, ma le note a piè di pagina facilitano molto chi decida di cimentarsi in questa avventura letteraria.
Da parte mia posso dirvi che lo sforzo sarà ben ripagato perché non solo sono poesie molto interessanti ma sono anche un pezzo di storia del nostro paese.

Mi piacerebbe chiudere questo post con ‘E pparole (tratta dal volume “Le poesie” edito da Einaudi). La scelta di questi versi è stata totalmente casuale perché tutte sono poesie bellissime che meriterebbero di essere lette.


‘E pparole

Quant’è bello ’o culore d' ’e pparole
e che festa addiventa nu foglietto,
nu piezzo ’e carta -
nu’ importa si è stracciato
e pò azzeccato -
e si è tutto ngialluto
p’ ’a vecchiaia,
che fa?
che te ne mporta?
Addeventa na festa
si ’e pparole
ca porta scritte
sò state scigliute
a ssicond’ ’o culore d’ ’e pparole.
Tu liegge
e vide ’o blù
vide ’o cceleste
vide ’o russagno
’o vverde
’o ppavunazzo,
te vene sotto all’uocchie ll’amaranto
si chillo c’ha scigliuto
canusceva
’a faccia
’a voce
e ll’uocchie ’e nu tramonto.
Chillo ca sceglie,
si nun sceglie buono,
se mmescano ’e culore d’ ’e pparole.
E che succede?
Na mmescanfresca
’e migliar’ ’e parole,
tutte eguale
e d’ ’o stesso culore:
grigio scuro.
Nun siente ’o mare,
e ’o mare parla,
dice.
Nun parla ’o cielo,
e ’o cielo è pparlatore.
’A funtana nun mena.
’O viento more.
Si sbatte nu balcone,
nun ’o siente.
’O friddo se cunfonne c’ ’o calore
e ’a gente parla cumme fosse muta.
E chisto è ’o punto:
manco nu pittore
po’ scegliere ’o culore d’ ’e pparole.

(1971)





martedì 22 luglio 2014

“L’uomo che non poteva morire” di Timothy Findley

L’uomo che non poteva morire
di Timothy Findley
Beat
Edizione originale Neri Pozza

Londra, mercoledì 17 aprile 1912. Al n. 18 di Cheyne Walk un uomo si impicca ad un albero nel proprio giardino utilizzando il cordone di seta della sua veste da camera.
A ritrovare il cadavere dell’uomo è il suo cameriere-maggiordomo, il signor Forster, che taglia il cordone e adagia il corpo sull’erba.
Non è la prima volta che il signor Pilgrim, questo è il nome del defunto gentiluomo, prova a togliersi la vita.
Il signor Forster avverte il dottor Greene il quale, prima di certificare il decesso, preferisce chiedere ad un collega, il dottor Hammond, di confermare quanto da lui constatato.
Il certificato di morte viene quindi redatto e firmato da entrambi i dottori.
Dopo sei, sette ore al massimo però il Signor Pilgrim torna in vita così come era accaduto dopo i precedenti tentativi di suicidio.

Lady Sybil Quartermaine accompagna l’amico Pilgrim in una clinica psichiatrica in Svizzera, la clinica Burgholzli, un famoso centro di ricerca di studi psichiatrici che vanta un’eccellente fama internazionale.

Pilgrim viene affidato alle cure del dottor Carl Gustav Jung, un celebre medico e psichiatra che cura i propri pazienti con metodi innovativi e non coercitivi.
Egli preferisce infatti ascoltare e, per quanto possibile, assecondare il malato nel tentativo di ricondurlo alla ragione senza imporgli un brusco ritorno alla realtà.

Quello che Lady Quartermaine chiede al dottor Jung non è la guarigione dell’amico poiché lei, come Pilgrim, è fermamente convinta che egli sia incapace di morire e che viva da sempre.

L’unico aiuto che chiede al dottor Jung è che questi riesca a dare a Pilgrim una qualche ragione per vivere, qualcosa che lo aiuti a sopravvivere alla nausea della sua vita o meglio alle condizioni in cui è costretto a viverla.
Sibyl chiede per l’amico Pilgrim un semplice raggio di speranza.

Ma chi è veramente Pilgrim? È davvero un uomo che non può morire? Un essere imprigionato nella condizione umana? Oppure è semplicemente un pazzo schizofrenico?

“L’uomo che non poteva morire” è un romanzo dove si intrecciano mistero, religione, filosofia e psicologia. E’ un romanzo mistico e visionario.

Come il dottor Jung anche il lettore è completamente spiazzato e soggiogato da Pilgrim. La ragione lo porterebbe ovviamente a credere che egli sia semplicemente un malato di mente, un folle, ma è difficile non lasciarsi affascinare dai suoi “sogni” di esistenze precedenti: la Gioconda, un pastore spagnolo storpio, un maestro vetraio a Chartres…

Egli insiste nel sostenere di aver vissuto ogni epoca storica: la guerra di Troia, l’ellenismo, la lussuria di Roma antica, il medioevo così via fino ai primi del Novecento.
Scrive nei suoi diari di aver conosciuto eroi classici come Achille ed Ettore, un genio come Leonardo Da Vinci, di essere stato soggiogato da Santa Tersa d’Avila, di aver cenato con Henry James e di essere stato amico di Oscar Wilde
Sembra tutto talmente reale che alla fine pare impossibile che Pilgrim stia mentendo o meglio che ogni cosa sia solamente frutto di una mente malata.

Timothy Findley pone il lettore davanti ad un interrogativo pirandelliano: che cos’è davvero la pazzia? Non siamo forse tutti un po’ folli? Non cerchiamo forse tutti nella nostra vita di evadere dalla realtà?

“L’uomo che non poteva morire” è un libro intenso e commovente.
Un romanzo che fa riflettere, che indaga gli abissi dell’identità umana e che pone interessanti domande sull’esistenza di Dio e degli dei, sul valore salvifico della cultura e dell’arte e sul diritto alla libertà di ogni uomo.




lunedì 21 luglio 2014

“Mrs. Poe” di Lynn Cullen

Mrs. Poe
di Lynn Cullen
Neri Pozza

Chiunque ami il romanzo storico e Poe divorerà quest’opera” così Erica Robuck si è espressa in merito al libro di Lynn Cullen.
Dopo averlo letto posso concordare che chiunque ami il romanzo storico e il romanzo vittoriano non potrà non amare questo libro e poco importa se non ha mai nutrito particolare simpatia nei confronti di Edgar Allan Poe, al termine della lettura del romanzo, vi posso assicurare che nessuno potrà resistere al suo fascino, tanto da volerne immediatamente conoscere tutta la produzione letteraria.

Il romanzo di Lynn Cullen è ambientato nell’anno 1845 e narra la storia vera, ovviamente romanzata anche se come l’autrice tiene a precisare le cose inventate avrebbero potuto benissimo accadere, della relazione tra Edgar Allan Poe e la poetessa Frances Osgood.

Frances Osgood, insieme alle figlie Vinnie ed Ellen, era ospite dei coniugi Bartlett.
Il signor Bartlett, marito di Eliza la più cara amica della poetessa, era un noto libraio ed editore.
Frances Osgood era stata costretta ad accettare la generosità dell’amica dopo che il marito l’aveva abbandonata, lasciandola senza un soldo e incalzata dai creditori, fuggendo con una delle sue tante conquiste.

Samuel Osgood era nella realtà un pittore ritrattista piuttosto celebre alla sua epoca, che amava dipingere le signore benestanti, le quali non riuscendo a resistere al suo fascino, ne diventavano molto spesso le amanti.

Frances aveva incontrato il celebre Edgar Allan Poe ad una delle riunioni a casa della signora Anne Charlotte Lynch che aveva istituto presso la sua dimora un vero e proprio salotto letterario al quale partecipavano non solo poeti e letterati ma ogni personalità influente: scienziati, filosofi, editori, giornalisti, naturalisti, dagherrotipisti.

Edgar Allan Poe era anch’egli sposato. Tra lui e la moglie Virginia, che era tra l’altro sua cugina, c’era una differenza di 13 anni. Poe l’aveva presa in moglie all’età di 26 anni quanto Virginia ne aveva solamente 13.

Poe si innamorò perdutamente di Frances fin dal loro primo incontro, riconoscendo in lei la sua anima gemella.
Frances, che a sua volta non mancava di corteggiatori da lei sempre ignorati, non seppe resistere alla passione che sentiva nascere nei confronti di quell’uomo così misterioso e affascinante.
Nacque così una relazione per la maggior parte platonica, fatta di sguardi e di scambi di poesie.
Il loro amore fu però sempre assoggettato ad inevitabili e grandi sensi di colpa nei confronti della moglie Virginia che in quel periodo era già gravemente malata di tubercolosi.

Edgar Allan Poe era all’epoca un personaggio molto famoso a New York, la sua poesia “Il corvo” gli aveva procurato una notorietà assoluta, ma a causa delle recensioni in cui egli massacrava i colleghi si era creato anche molti nemici.
La notorietà di Poe e le sue inimicizie insieme all’ipocrisia e al perbenismo della società del tempo, sempre fonte di maldicenze e pettegolezzi, misero a dura prova la relazione dei due amanti creando notevoli ostacoli alla loro relazione spesso funestata da avversità e malasorte.

Non tutti i biografi di Edgar Allan Poe sono concordi nel ritenere che tra lui e Frances Osgood ci fosse stata davvero una relazione illecita.
Personalmente mi piace credere che Lynn Cullen attraverso le sue ricerche, di cui parla dettagliatamente nella “nota dell’autrice” alla fine dell’opera indicando anche qualche cenno bibliografico per chi volesse approfondire la conoscenza di Poe e della società di New York a lui contemporanea, abbia trovato la giusta chiave di lettura degli eventi storicamente accertati, ritenendo che tra i due ci fu una relazione e che proprio da questa relazione nacque Fanny Fay, la terzogenita della Osgood.

La trama del romanzo, la descrizione di New York con le sue strade percorse da calessi,  carrozze e carri, con i marciapiedi coperti dalla neve, il progresso che avanza inesorabilmente con la costruzione di nuovi edifici che sottraggono giorno dopo giorno spazio al verde cittadino, la descrizione della società di quel tempo, del pubblico delle conferenze e degli ospiti dei salotti letterari, la galleria di personaggi storici che scorrono sotto i nostri occhi pagina dopo pagina: Hawthorne, l’autore di “La lettera scarlatta”; Morse, l’inventore del linguaggio del telegrafo, la scrittrice Margaret Fuller, John James Audubon, celebre ornitologo e pittore; il poeta Walter Whitman autore della famosa poesia “Oh Capitano, mio capitano!” solo per citarne alcuni…. fanno di “Mrs. Poe” un romanzo affascinante come i suoi protagonisti.

E come i suoi protagonisti il libro è anche un romanzo inquietante e coinvolgente, tanto da assumere a tratti le caratteristiche di un romanzo gotico.

Il romanzo è influenzato certamente dalle atmosfere suggestive e macabre dei racconti di Poe, basti pensare a racconti quali “Il gatto nero”, “William Wilson, “Rivelazione mesmerica”, opere tra l’altro citate spesso all’interno dello stesso romanzo della Cullen.

Non tralasciando temi cari al romanzo del Settecento e dell’Ottocento come quello della vicenda di Mary sedotta e abbandonata dal padrone o quello della casa di Madame Restell dove si eseguivano aborti clandestini, l’autrice riesce a creare una storia tipicamente neogotica riuscendo a sviluppare gli aspetti psicologici dei singoli personaggi e indagandone le loro ossessioni e gli incubi personali.

Il carattere cupo e appassionato di Edgar Allan Poe ricorda a tratti quello di un celebre personaggio della letteratura come il signor Rochester, come lui Poe è legato ad una donna dal vincolo matrimoniale ma è perdutamente innamorato di un’altra, la sua vera anima gemella.
Le loro anime riescono a comunicare pur senza che loro siano fisicamente vicini, riescono a dialogare a distanza così da riuscire ad accorrere alle richieste di aiuto l’uno dell’altra senza bisogno di parole.

Il romanzo di Lynn Cullen non è solo “la vera storia di un’attrazione fatale” (Nancy Bilyeau) o la descrizione de “lo scintillante mondo della New York del 1840, dove i poeti erano celebrità e le emozioni un lusso” (Oprah.com), “Mrs. Poe” è sopratutto un romanzo scritto da un’autrice contemporanea che è bravissima a far rivivere le emozioni e la magia che solo i grandi romanzi della letteratura sono capaci di regalare.


domenica 20 luglio 2014

“Abyss” di Simone Regazzoni

ABYSS
di Simone Regazzoni
LONGANESI

Il professore Michael Price ha 39 e insegna filosofia alla UCLA, l’università della California. Ha recentemente scritto un libro intitolato “Le dottrine segrete di Platone”, saggio che gli ha scatenato contro l’intera comunità accademica filosofica che ha bollato le sue teorie come pura fantascienza.

Michel Price però ignora ancora la reale portata dei suoi studi fino al giorno in cui viene improvvisamente convocato al quartier generale della NSA (National Security Agency) dalla dottoressa Olivia Kaplan, capo del dipartimento ricerche avanzate per la sicurezza.
Il giovane professor Price è incaricato di tradurre e comprendere il mistero dei papiri di cui la NSA è venuta in possesso, i misteriosi “Agrapha Dogmata”.

Gli “Agrapha Dogmata” conosciuti anche come “le dottrine segrete di Platone” in verità non appartengono a Platone ma sono una trascrizione in greco di un antico testo sacro in lingua egizia nel quale si tramandava un sapere arcaico risalente ad un popolo misterioso, “I Grandi Antichi”.
Platone durante il suo soggiorno a Eliopoli ne sarebbe venuto a conoscenza e ne avrebbe quindi tradotto il testo in lingua greca.

Ben presto il professor Price viene coinvolto in un intrigo internazionale, qualcuno cerca infatti di incastrarlo facendolo passare per un terrorista.

La NSA è a conoscenza dell’esistenza di un gruppo terroristico neonazista chiamato QR (Quarto Reich) che si ispira alle dottrine platoniche, ma non sa ancora quanto pericoloso possa essere non comprendendone le vere intenzioni.

Gli unici che conoscono l’entità della gravità della situazione sono “i Guardiani” ovvero una ristretta cerchia di militari e agenti dei servizi segreti che dal 1947, anno della loro istituzione, vigilano costantemente sulla sicurezza mondiale.

Michael Price deve riuscire non solo a dimostrare la propria innocenza, ma anche a salvare letteralmente il mondo dalla distruzione totale.

In questa corsa contro il tempo il professor Price non sarà solo, ad accorrere in suo aiuto ci sarà infatti Eddie, suo caro amico, che grazie alla “famiglia di hacker” di cui fa parte, i cosiddetti Goodfellas, non solo gli fornirà il supporto informatico, ma gli procurerà anche un validissimo aiuto sul campo presentandogli Beatrix, Trix per gli amici.

Trix, una vera macchina da combattimento, super addestrata, esperta conoscitrice di ogni genere di armi, era stata cacciata anni addietro dai Navy Seal con disonore per aver mancato gravemente di rispetto ad un superiore.
La sua capacità organizzativa e le sue conoscenze militari saranno elementi decisivi per la riuscita dell’impresa che attende Michael Price.

“Abyss” presenta tutti gli elementi tipici di un libro d’azione, mi verrebbe quasi da dire tipici di un action movie pur trattandosi di una storia su carta stampata.
Il romanzo di Regazzoni non richiama alla mente del lettore solo la letteratura di autori quali Dan Brown, Clive Cussler solo per citarne alcuni, ma risulta evidente che l’autore è anche un buon conoscitore del cinema americano.
Richiami che non sono solo fatti direttamente citando titoli di film come ad esempio “Nemico pubblico”, ma anche intere battute. 
Tra le tante posso ricordare ad esempio la celebre frase tratta da" Il Gladiatore":
 - al mio segnale scatenate l’inferno -

Gli stessi protagonisti del libro di Regazzoni sembrano essere un omaggio ai personaggi cinematografici.
Se è vero che il professor Price ricorda il famoso professor Robert Langdon nato dalla penna di Dan Brown, è altrettanto vero che in lui possiamo riconoscere un moderno Indiana Jones.
E’ inoltre impossibile non avvicinare il personaggio di Trix a Trinity di Matrix o ancora di più a Beatrix Kiddo di Kill Bill.

La trama del romanzo è affascinante e si sviluppa attraverso un susseguirsi di eventi e colpi di scena carichi di suspense, per non parlare poi dei dettagliatissimi e adrenalinici inseguimenti in auto che ricordano le mitiche scene di sorpassi, carambole e scontri tipici della serie Fast and Furious.

“Abyss” è un romanzo fanta-filosofico che, permettetemi l’espressione, schiaccia un occhio anche alla fanta-archeologia.
Regazzoni è stato bravo ad argomentare le sue teorie e a rendere il tutto molto credibile, riportando spesso stralci di brani di autori e ricercatori di epoche passate.

E’ un romanzo che richiede un certo impegno nella lettura; i tantissimi personaggi, i continui flashback, i diversi luoghi in cui si svolgono gli avvenimenti così come la continua variazione temporale nel racconto degli eventi costringono il lettore a mantenere sempre altissima la propria attenzione.

Forse non sono la persona più indicata per esprimere un giudizio su un libro di questo genere in quanto non è solitamente la mia lettura preferita.
E’ pur vero però che credo fermamente che sia giusto ogni tanto allargare lo spettro delle proprie letture per non fossilizzarsi sempre sullo stesso genere e sulla stessa tipologia di autori.

“Abyss” si è rivelato un romanzo ben riuscito, un libro che gli amanti del genere sapranno sicuramente apprezzare e che non deluderà chiunque volesse avventurarsi nella lettura di un genere diverso dal proprio.

Il libro di Regazzoni non ha veramente nulla da invidiare ai volumi scritti dai suoi più famosi colleghi statunitensi così bravi nello scrivere thriller e romanzi d’avventura.




mercoledì 2 luglio 2014

“Il bambino di Budrio” di Angela Nanetti

IL BAMBINO DI BUDRIO
di Angela Nanetti
NERI POZZA 
Il libro prende spunto da un fatto realmente accaduto in quanto esistette davvero a Budrio, antico castello della città di Bologna, un bambino, figlio di un povero garzaiolo, dotato di un’intelligenza superiore alla media e di una memoria prodigiosa che venne accolto sotto l’ala protettrice del predicatore del paese il quale ne scoprì le doti eccezionali e lo istruì nelle varie discipline.

Io narrante di buona parte del romanzo di Angela Nanetti è il medico di Budrio, Alberto Carradori che, in quanto amico e confidente di padre Giovanni Battista Mezzetti, fu testimone delle vicende che si accinge a raccontare.

Dentro il castello di Budrio c’era la chiesa di San Lorenzo con annesso il relativo convento abitato dai frati appartenenti all’Ordine dei Servi di Maria di cui faceva parte padre Mezzetti.

Un giorno il frate notò un bimbo che chiedeva l’elemosina davanti alla chiesa e si accorse che questo bimbo di soli quattro anni, che rispondeva al nome di Giacomo Modanesi, era in verità dotato di capacità intellettuali straordinarie.
Convinse così i suoi superiori ed il padre del bambino a farsi affidare il fanciullo per istruirlo come si conveniva.

Ottenuto l’affidamento di Giacomo intraprese con esso un difficile e faticoso percorso scolastico che gli permise di condurlo nel giro di tre anni a Roma, nella chiesa di San Marcello al Corso per sostenere, alla sola età di sette anni, pubbliche delucidazioni nelle quali esibire la sua intelligenza e dare prova di quanto appreso nel corso degli studi condotti.

La sapienza dimostrata dal “dotto fanciullo” e le notevoli capacità di insegnamento dimostrate da padre Giovanni Battista scatenarono però le invidie di molti nell’ambiente ecclesiastico e non solo, sia a Roma che a Budrio.
Furono soprattutto proprio l’astio e la gelosia che condussero allievo e maestro ad una tragica fine.

Angela Nanetti dipinge un bellissimo affresco della Roma papale.

Grandiose sono le descrizioni dei monumenti, delle vie, delle chiese, dei palazzi che ci fanno rivivere i fasti di un’epoca caratterizzata dall’arte; tra gli aneddoti dell’epoca l’autrice ricorda la caduta in disgrazia del Bernini perché legato alla famiglia Barberini e l’ascesa del Borromini legato alla famiglia Pamphilj a cui apparteneva il nuovo papa.

E’ un’interessante galleria di personaggi della Roma seicentesca quella proposta dalla Nanetti e tra essi, solo per citarne alcuni, ritroviamo personaggi quali papa Innocenzo X e sua cognata, l’avida Olimpia Maidalchini.

“Il bambino di Budrio” è senza dubbio un romanzo storico ma allo stesso tempo è anche un romanzo estremamente contemporaneo come più volte ha voluto sottolineare la sua autrice nel corso di diverse interviste sul suo libro, che ricordo è stato finalista alla prima edizione del premio letterario Neri Pozza nel 2013.

La modernità della vicenda sta tutta in quel conflitto tra un maestro troppo ambizioso e un allievo dotato di un talento straordinario.
Il romanzo ci pone vari e profondi interrogativi: per esempio quanto sia giusto che i genitori proiettino le loro ambizioni e aspirazioni sui figli senza tenere conto delle loro attitudini e delle loro naturali inclinazioni.

Ci obbliga ad interrogarci sul difficile tema dell’educazione sollevando una problematica alquanto controversa ovvero quanto possano essere di aiuto nell’educazione dei bambini i metodi coercitivi o se non siano da preferire metodologie che assecondino piuttosto le predisposizioni e i talenti di ognuno di loro in quanto singoli individui.

Nel caso specifico poi del bambino di Budrio viene spontaneo chiedersi se sia stato giusto, se pur con le migliori intenzioni, rubare l’infanzia ad un bimbo di soli quattro anni, per quanto straordinariamente dotato, per farne uno strumento della grandezza divina e regalargli sì un futuro migliore di quello che avrebbe avuto crescendo con il padre naturale, ma pur sempre un futuro scelto da altri per lui senza tenere conto dei suoi desideri.
Dinnanzi alle numerose crisi del bambino, ai suoi sogni ad occhi aperti alla vista del mare e delle vele, davanti alle sue aspirazioni continuamente frustrate non era forse prevedibile si giungesse ad un tragico epilogo?
Ma siamo obbligati a guardare anche il rovescio della medaglia, quale vita avrebbe condotto Giacomo se padre Mezzetti non si fosse accorto di lui? Costretto a lavorare già all’età di quattro o cinque anni?

Nonostante tutto devo confessare che, per quanto mi sia sforzata durante la lettura del romanzo, padre Giovanni Battista Mezzetti, così orgoglioso e concentrato sui suoi obiettivi, non è riuscito a conquistarsi la mia simpatia, anche se devo concedergli il proverbiale beneficio del dubbio sul fatto che egli davvero non si rendesse conto fino in fondo dei suoi errori e delle sue mancanze.

Le simpatie tendono ad essere indirizzate piuttosto nei confronti del dottor Carradori perché, nonostante assecondi l’insegnante, non smette mai di dubitare dei suoi metodi opprimenti e di intercedere per quanto possibile presso di lui in favore del bambino per cercare di alleviarne le sofferenze psicologiche.

Inutile infine sottolineare che il libro è scritto in modo magistrale. Angela Nanetti riesce, infatti, a creare fin dall’inizio un senso di attesa, una suspense che tiene il lettore letteralmente incollato al romanzo fino all’ultima pagina.