domenica 29 settembre 2013

“Caffè Babilonia” di Marsha Mehran

CAFFE’ BABILONIA
di Marsha Mehran
BEAT
Edizione originale Neri Pozza
“Caffè Babilonia” (titolo originale “Pomegranate Soup”) è la storia di tre ragazze persiane: Marjan, Bahar e Layla che, fuggite dalla repressione politica in Iran all’inizio della rivoluzione khomeinista, riescono a raggiungere, grazie all’aiuto di alcune associazioni umanitarie, l’Inghilterra.
Dopo i primi anni trascorsi a Londra, decidono per motivi che verranno poi svelati nel corso del racconto, di trasferirsi a Ballinacroagh.
Qui, in questo piccolo villaggio dell’Irlanda occidentale, con il suo paesaggio da cartolina, dove i turisti vengono per onorare San Patrizio, le sorelle Aminpour possono finalmente lasciarsi il passato alle spalle e ricominciare a vivere.
Inevitabilmente, in un villaggio dove i giorni scorrono sempre uguali, pigri e lenti, dove tutti si conoscono l’arrivo delle tre ragazze iraniane getta lo scompiglio nelle vite tranquille degli abitanti.
Le sorelle Aminpour prendono in affitto da Estelle Delmonico, la vedova di un pasticciere e fornaio italiano, il vecchio negozio del marito per aprire un locale tutto loro: il Caffè Babilona. Le ragazze ignorano però che proprio sullo stesso negozio aveva già messo gli occhi, ormai da anni, Thomas McGuire il boss del villaggio nonché proprietario di diversi pub della zona, un uomo dispotico e violento.
A complicare ulteriormente la situazione sarà poi la storia d’amore che nascerà tra la più giovane delle sorelle, l’affascinante Layla ed il sensibile Malachy McGuire, figlio proprio del loro peggiore nemico.

Marjan aveva un effetto magico sia sugli uomini che sulle donne in un modo più pratico, ma non meno affascinante. Con le sue ricette spingeva le persone verso imprese che prima parevano impossibili: bastava un assaggio delle sue pietanze e la gente cominciava non solo a sognare, ma a prendere in considerazione la possibilità di agire.

Ogni capitolo del libro è introdotto da una ricetta poi preparata nel corso del capitolo stesso; ogni piatto è lo spunto per ricordare momenti dolorosi, per esprimere speranza per il futuro, per suggerire rimedi per il cuore e per la mente o a volte più semplicemente per curare piccoli disturbi come l’emicrania.
I profumi orientali delle spezie: della curcuma, dello zafferano e del cumino, solo per citarne alcune, si sprigionano dalle pagine del libro accompagnandovi nella lettura e instillando in voi pagina dopo pagina il desiderio di provare a cucinare ogni singola ricetta.

Il romanzo di Marsha Mehran che ricorda per alcuni aspetti della trama un altro romanzo ovvero “Chocolat” di Joanne Harris, è un libro che affronta anche tematiche importanti quali l’integrazione razziale ed i conflitti politico-religiosi, senza tralasciare però di porre l’accento sui veri valori della vita ovvero l’amore, l’amicizia e la solidarietà.

La scrittrice ha tratteggiato perfettamente il carattere di tutti i personaggi che ruotano intorno alle tre protagoniste, accennando anche per la maggior parte di essi al loro “vissuto” prima di entrare a fare parte della nostra storia.
Marsha Mehran è stata davvero abile a ricostruire un affresco corale di una tipica società di paese, chiusa e sospettosa, in grado però al momento giusto di trovare la giusta determinazione e la forza per aprirsi al mondo ed alle novità.

“Caffè Babilonia” è una lettura scorrevole, semplice e piacevole. Credo però che la vera forza di questo romanzo stia principalmente nella capacità della Mehran di affrontare tutti gli argomenti, anche quelli più cruenti quali gli orrori della guerra, in modo aggraziato, senza mai indulgere nella descrizione della violenza più di quanto sia necessario al lettore per comprendere la reale drammaticità della situazione.

In un mondo dove ogni giorno ci vengono continuamente imposti racconti di brutalità e violenza non solo dalle tv, ma spesso purtroppo anche dalla stessa letteratura, è davvero apprezzabile la scelta di Marsha Mehran di dare al suo romanzo un taglio così delicato.


  

lunedì 23 settembre 2013

“La meraviglia della vita” di Michael Kumpfmüller

LA MERAVIGLIA DELLA VITA
di Michael Kumpfmüller
NERI POZZA
Müritz, luglio 1923. Franz Kafka è ospite della sorella Elli nella casa presa in affitto per le vacanze estive. Il celebre scrittore, affetto da tubercolosi e reduce da vari ricoveri in sanatorio, spera di trarre giovamento dal soggiorno nella località turistica sul Mar Baltico.

Qui “il Dottore” conosce Dora Diamant, una giovane ebrea ortodossa, che lavora nella colonia estiva di Müritz per i bambini ebrei.
Tra i due è amore a prima vista e, nonostante i problemi di salute di lui e la differenza d’età (Franz ha 40 anni e Dora solo 25), decidono di vivere questo forte sentimento che li lega.
Si trasferiscono a Berlino, dove lo scrittore prende in affitto una stanza e la ragazza si trasferisce quasi subito da lui.
Da sottolineare che per l’epoca, quella di convivere senza essere sposati, fu una scelta decisamente coraggiosa.
Vivere a Berlino si rivela più complicato del previsto: l’inflazione è alle stelle, il cambio di un dollaro si aggira su un milione di marchi, il denaro non basta mai e la salute di Kafka continua a peggiorare.
Dora e il Dottore cercano di fare del loro meglio per isolarsi da tutto e da tutti, di vivere la loro storia giorno per giorno, senza fare progetti a lungo termine consapevoli del fatto che, per loro, il tempo a disposizione è davvero limitato.
Non ne parlano mai, loro sanno ma tacciono, fanno finta di credere che la malattia possa scomparire, che lo scrittore possa guarire e che il miracolo possa accadere.
Gli ultimi mesi sono costretti a trasferirsi a Kierling, vicino a Vienna, dove lo scrittore viene ricoverato nel sanatorio locale e dove nel giugno del 1924 spirerà tra le braccia della donna amata.

Nella vita di Franz Kafka, prima dell’incontro di Müritz, c’erano state due donne molto importanti: Felice Bauer, con la quale romperà il fidanzamento, e Milena Jesenská, una donna sposata e per nulla intenzionata a lasciare il marito.
A differenza dei precedenti rapporti, Kafka troverà con Dora, non solo l’amore ma anche la stabilità e la serenità, sebbene costretto a rompere con Praga e la sua famiglia per poter vivere liberamente questa passione.

Nonostante l’apparenza “La meraviglia della vita” non lo si può definire un romanzo triste. Il messaggio che trasmette è un messaggio di speranza: la vita merita di essere sempre vissuta, perché ogni cosa è possibile, in ogni momento potrebbe accadere qualcosa di bello e spesso non sarebbe possibile ritrovarsi a vivere certe emozioni se non ci fossero stati precedentemente eventi contrari.
I percorsi dell’esistenza sono tortuosi e insondabili, spesso avversi, ma nel bene come nel male la vita ci sorprende sempre con la sua imprevedibilità.

“La meraviglia della vita” è un romanzo malinconico, questo sì. Kumpfmüller, attraverso una scrittura evocativa che scorre lenta e piana, come se la storia ci venisse sussurrata nel silenzio, ci racconta una bella storia d’amore, struggente e sofferta.
Una storia che ricorda gli amori di altri tempi, gli amori romantici dell’Ottocento come quello di John Keats e Fanny Brawne anch’essi divisi dalla malattia di lui, una malattia che non perdona.

Kumpfmüller è bravissimo a ricostruire una storia di cui purtroppo non è rimasto alcuna traccia tangibile. Tutta la corrispondenza tra i due amanti è andata perduta, confiscata nell’agosto del 1933 insieme ad altri scritti dello scrittore, quando la casa di Dora fu perquisita dalla Gestapo. 

Attraverso le pagine di questo libro facciamo la conoscenza con personaggi vicini a Kafka, come gli amici più intimi, Robert Klopstock e Max Brod; le sue sorelle, in particolare l’amata Ottla e la protettiva Elli; leggiamo del difficile rapporto che lo scrittore aveva con il padre…
Tutto questo fa de “La meraviglia della vita” una biografia romanzata curata e ben scritta dell’ultimo anno di vita dello scrittore praghese, che ci svela nuovi aspetti del carattere di Franz Kafka e ce ne ricorda nel contempo quelli più conosciuti.

domenica 15 settembre 2013

“I privilegiati” di Jonathan Dee

I PRIVILEGIATI
di Jonathan Dee
BEAT
Edizione originale NERI POZZA
Adam e Cynthia sono belli, giovani e rampanti; lui sempre attivo, detesta i tempi morti ed è un maniaco della forma fisica, lei vanitosa e sicura di sé è una di quelle persone che non crolla se le cose non vanno alla perfezione.

Decidono di sposarsi prima di tutti i loro amici, non vogliono aspettare, hanno ben chiari i loro obiettivi e sanno di essere fatti l’uno per l’altra.

(…) essere il rifugio sicuro l’uno dell’altra, è questo che ti fa capire di aver trovato ciò di cui tutti lamentano l’assenza.

Il romanzo inizia proprio dal racconto del loro matrimonio. Due ragazzi appena ventiduenni che scalpitano per lasciarsi alle spalle il loro vissuto e soprattutto le loro famiglie fatte di persone “normali”.
Adam e Cynthia quasi si vergognano delle loro “umili” origini, vogliono gettarsi al più presto nella mischia, fare soldi e avere successo.

Ogni scelta, ogni azione nella loro vita è proiettata verso il futuro perché ogni attimo nel momento in cui lo si vive è già passato. E’ necessario guardare sempre avanti, mai voltarsi indietro negli affetti come nel lavoro perché il rischio di essere risucchiati dai ricordi è troppo grande.

Subito dopo il loro matrimonio si trasferiscono a New York, Adam lavora nel mondo dell’alta finanza, sotto l’ala protettiva di un capo che lo adora e per il quale invece lui prova solo disgusto, sfrutta il momento e compie speculazioni illecite in borsa, approfittando di informazioni riservate, per arrotondare le entrate familiari; Cynthia resta a casa ad occuparsi dei figli, April e Jonas, ovviamente due bambini bellissimi e viziati.

La storia si svolge in un arco di tempo di circa 20 anni, alla fine del romanzo i ragazzi hanno più o meno l’età dei genitori all’epoca del loro matrimonio.
Il libro è in sostanza la storia di una famiglia, una famiglia di privilegiati, come li definisce il titolo stesso.

Quello di Dee è un romanzo originale nel suo genere, infatti, anche se la trama è piuttosto ovvia, il modo in cui lo scrittore racconta la storia non lo è affatto.
Romanzi di questo genere tendono a diventare solitamente un susseguirsi di tradimenti e di lamentele e recriminazioni da parte di gente ricca e insoddisfatta.
I protagonisti de “I privilegiati” invece sono persone “vere”. Reale è la crisi di Cynthia colta dall’ansia di essere diventata una di quelle mogli ricche che hanno come unico scopo nella vita accudire i figli e andare in palestra, costretta ad osservare giorno dopo giorno l’inarrestabile decadimento del proprio corpo. Così come appartiene al mondo reale il desiderio di Adam di proteggere la propria famiglia da ogni eventuale incertezza economica a costo di sacrificare a questo scopo ogni scrupolo etico.

Non esisteva niente di sbagliato, se non quello che lo era negli occhi di lei.

Jonathan Dee non esprime alcun giudizio morale nei confronti dei suoi personaggi, lo scrittore si limita a raccontarci la loro storia, una storia comune a molti “nuovi ricchi”.
Dee pone l’accento sul fatto che i protagonisti del suo romanzo non vogliano accumulare ricchezza per il solo piacere di farlo, ma per mettersi al riparo da eventuali rovesci di fortuna. La povertà fa paura.

(…) la questione non era il bisogno, era il desiderio di sentirsi al sicuro a questo mondo.

Quello che potevi aver fatto il giorno prima non significava nulla: l’istante in cui smettevi di valutare ciò che avevi costruito aveva inizio la rovina.

Il ritmo del romanzo è incalzante, coinvolgete, carico di suspense; alcune pagine sembrano appartenere quasi ad un romanzo thriller per come lo scrittore riesce a tenere il lettore con il fiato sospeso.
Il finale è un finale aperto, potrebbe essere la rovina o la salvezza per tutti i personaggi o forse solo alcuni di loro potrebbero riscattarsi.
Ogni protagonista del romanzo ha intrapreso un proprio percorso di autoanalisi psicologica e resta da scoprire dove questo li condurrà.
Al lettore rimane comunque la speranza di salvezza e redenzione per tutti quanti.


lunedì 9 settembre 2013

“Ai piani bassi” di Margaret Powell (1907 – 1984)

AI PIANI BASSI
di Margaret Powell
EINAUDI
“Ai piani bassi” (titolo originale “Below stairs”) è un romanzo autobiografico che fu pubblicato per la prima volta nel 1968 ottenendo un discreto successo e vendendo 14.000 copie nel primo anno.

Julian Fellowes, l’autore di Downton Abbey, si è ispirato alle pagine di questo libro per la sceneggiatura della serie televisiva e, grazie al successo di pubblico ottenuto, la casa editrice Einaudi ha deciso nel 2012 di pubblicare il romanzo in edizione italiana.  

Non fatevi però trarre in inganno dalla copertina che riporta l’immagine di Highclere Castle (la dimora che da milioni di telespettatori è conosciuta con il nome di Downton Abbey) nel libro, infatti, non ci sono riferimenti diretti alla residenza dei Conti di Carnarvon.
La scrittrice lavorò per diverse famiglie di varia estrazione sociale ma mai per i proprietari di Highclere Castle.

Margaret Powell, seconda di sette figli, nasce nel 1907 a Hove, una cittadina del Sussex. La sua è una famiglia povera, il padre è imbianchino e la madre lavora come donna delle pulizie. Nonostante una borsa di studio per la grammar school, Margaret Langley (questo il suo cognome da nubile) è costretta ad andare a servizio poiché i genitori non possono permettersi di mantenerla fino al termine dell’iter scolastico per diventare insegnante.

La Powell nella sua autobiografia ci racconta dettagliatamente le sue esperienze lavorative negli anni Venti e Trenta prima come sguattera, il gradino più basso della servitù, e poi come cuoca, fino al giorno del suo matrimonio.

Quando Margaret sposa Mr Powell, di professione lattaio, inizia la seconda fase della sua vita come casalinga e madre di tre bambini.
I primi anni non sono semplicissimi, ci sono periodi duri anche nella vita matrimoniale, i soldi non bastano mai e quando, durante la Seconda Guerra Mondiale il marito viene arruolato, la sua situazione economica peggiora ulteriormente.
Margaret però è una donna forte e determinata che riesce a superare ogni difficoltà senza mai scoraggiarsi.

Attraverso una scrittura semplice e diretta la Powell ci descrive un mondo nettamente diviso in due: “Noi e Loro”.
Fin da ragazzina è stata costretta a fare i conti con la differenza sociale tra “noi” cioè la servitù, coloro che abitavano i piani bassi e “loro” ovvero i datori di lavoro che spesso si comportavano da veri padroni nei confronti dei dipendenti, come se la schiavitù non fosse mai stata abolita.

I ricchi aristocratici non riuscivano a capire i loro “servi” e li consideravano un male necessario. Si curavano solo ed esclusivamente del loro benessere “morale” mai di quello “fisico” e si stupivano se, come nel caso di Margaret Powell, leggevano libri di autori quali Dickens e Conrad. Per loro i domestici erano semplicemente esseri inferiori, privi di morale e con poca voglia di lavorare.
C’erano è vero alcuni datori di lavoro più ben disposti di altri, come ci racconta la Powell, ma nessuno provava “amore” per i propri domestici né li comprendeva.

Nel corso degli anni, da quando Margaret Powell entra a servizio all’età di 14 anni, lentamente le cose si trasformano: gli strumenti del mestiere diventano più moderni facilitando il lavoro e i domestici iniziano a far valere i propri diritti rivendicando la propria dignità come persone e come lavoratori.

“Ai piani bassi” è’ un libro coinvolgente, ironico e divertente. La Powell riesce a raccontarci esperienze di vita difficili e problematiche facendoci ugualmente sorridere perché lo fa sempre in modo leggero, con il sorriso sulle labbra e senza mai abbandonarsi all’amarezza.


domenica 8 settembre 2013

“Lady Almina e la vera storia di Downton Abbey” di Lady Fiona Carnarvon

LADY ALMINA
E
LA VERA STORIA DI DOWNTON ABBEY
di Lady Fiona Carnarvon
ANTONIO VALLARDI EDITORE
Vi anticipo subito che non sono una fan accanita del period drama Downton Abbey del quale, lo confesso, ho visto per ora solo la prima serie e parte della seconda.
Da appassionata di antiche dimore devo ammettere però che, pur non essendo stata particolarmente affascinata dalla trama della serie tv, sono stata ammaliata dall’ambientazione e dallo stile di vita che si conduceva all’interno del castello.

E allora perché non approfondire l’argomento?

 “Lady Almina e la vera storia di Downton Abbey” è la storia della moglie del V Conte di Carnarvon e di Highclere Castle, il bellissimo castello che milioni di telespettatori conoscono con il nome di Downton Abbey.

Almina Wombwell, figlia illegittima di Alfred de Rothschild, nonostante le sue discutibili origini ma proprio grazie all’ingente patrimonio paterno, fece un riuscitissimo matrimonio. 
Appena diciannovenne nel 1895, infatti, sposò il V Conte di Carnarvon e per merito della sua dote riuscì a saldare i consistenti debiti del marito e a salvare dalla rovina Highclere Castle.
Fu un matrimonio d’amore e d’interesse; Almina era una bella donna oltre che ricca e il Conte un uomo molto affascinante, la loro fu quindi un’unione perfetta sotto ogni aspetto.

La storia raccontata da Lady Fiona, autrice del libro e VIII Contessa di Carnarvon non è esclusivamente la storia di Lady Almina e della sua nuova famiglia ma anche quella della servitù che abitava i cosiddetti “piani bassi”.
Highclere Castle non era solo la residenza dei Conti di Carnarvon ma era piuttosto una struttura, giustamente paragonata da Lady Fiona ad una nave per come veniva gestita, nella quale ognuno doveva svolgere attentamente il proprio ruolo per la continuità ed il rispetto delle tradizioni.

Lady Almina ha ispirato il personaggio di Lady Cora in Downton Abbey ma la sua vita è stata in realtà più appassionante di quella del suo alter ego televisivo.
E’ vero che Fiona Carnarvon potrebbe, in quanto coinvolta, aver dato un taglio agiografico al racconto ma alcuni dati storici sono irrefutabili come l’impegno della Contessa durante la Grande Guerra che la vide trasformare Highclere Castle in un ospedale all’avanguardia per la cura dei reduci dal fronte.
Inoltre come non appassionarsi agli scavi archeologi condotti e finanziati dal V Conte di Carnarvon in Egitto? Ebbene sì, fu proprio lui insieme a Howard Carter colui che scoprì il tesoro e la tomba di Tutankhamon.

Il libro è corredato da un’ampia documentazione fotografica e riporta anche copia dei documenti e delle lettere prova di un’accurata ricerca condotta dall’autrice.

Gli anni in cui si svolgono i fatti del libro vanno dall’ultimo periodo vittoriano al regno di Giorgio V; Lady Almina ed il marito assistettero a ben due incoronazioni, quella di Edoardo VII e quella dello stesso Giorgio V.

Attraverso la storia dei Conti di Carnarvon vengono raccontati avvenimenti storici importanti; molte pagine sono dedicate alla Grande Guerra ma interessanti sono anche quelle dedicate al racconto delle campagne di scavo in Egitto con particolare attenzione a riferire le metodologie usate, gli elevati costi delle operazioni e le difficoltà di ottenere permessi e concessioni.

Leggendo le pagine di “Lady Almina e la vera storia di Downton Abbey” scoprirete la società dell’epoca, prenderete parte ad importanti eventi quali incoronazioni, ricevimenti, cerimonie e balli; conoscerete le liste degli invitati e i menù che venivano serviti.

Insomma sia che siate innamorati della serie tv o semplicemente appassionati di storia, questo libro vi incanterà con tutto il fascino di un’epoca passata.


domenica 1 settembre 2013

“Frankenstein” di Mary Shelley (1797 – 1851)

FRANKENSTEIN
di Mary Shelley
LA BIBLIOTECA DI REPUBBLICA

Prima di parlarvi del romanzo mi piacerebbe accennarvi qualche nota biografica sulla sua autrice. Tutti conoscono il mostro creato dalla sua penna, ma chi era Mary Shelley?

Mary, nata Wollstonecraft Godwin, era figlia del filosofo e politico William Godwin e di Mary Wollstonecraft, filosofa e scrittrice considerata oggi la fondatrice del movimento femminista.
Poiché la madre muore di parto pochi giorni dopo averla data alla luce, Mary Shelley viene allevata dal padre in modo molto informale. Incoraggiata a partecipare alle riunioni tenute da questi su argomenti politici, filosofici e letterari, sviluppa ben presto uno spirito indipendente e moderno.
Nel 1814 conosce e si innamora del poeta romantico Percy Bysshe Shelley, discepolo del padre. Nonostante Shelley fosse già sposato con Harriet Westbrook, Mary decide ugualmente di fuggire con lui.
Dopo il suicidio della moglie del poeta, nel 1816 Mary e Shelley regolarizzano la loro situazione e si sposano. Dalla loro unione nascono diversi figli ma solo uno, Percy Florence, sopravvivrà ai genitori.
“Frankenstein” risente molto dei lutti che avevano colpito Mary Shelley durante la sua vita: i figli, la madre, la prima moglie del marito.

L’idea di “Frankenstein” nasce per caso. Nel 1817 durante il soggiorno della coppia a Ginevra, Mary e Shelley si riuniscono con due amici il medico John Polidori e Lord Byron. Tra loro viene lanciata la sfida su chi riuscirà a scrivere il migliore racconto dell’orrore.

Frankenstein è uno dei personaggi fantastici più conosciuti al mondo. Chiunque nella sua vita ha visto almeno un film che abbia come protagonista questa creatura o faccia riferimento alla sua immagine mostruosa. Non tutti però sanno che “Frankenstein” è un romanzo avvincente la cui storia nel corso degli anni, a seguito dei vari adattamenti televisivi e cinematografici, ha perso le sue originali caratteristiche.
Molti per esempio ignorano che nel romanzo la Creatura non ha nome e che Victor Frankestein in realtà è il nome dello scienziato che ha creato il mostro.

Il romanzo inizia con le lettere che Robert Walton, un giovane esploratore, scrive alla sorella raccontando le impressioni e le aspettative sul viaggio che ha intrapreso per mare. Giunto al polo la sua nave resta incagliata tra i ghiacci e qui presta soccorso ad un uomo, il dottor Victor Frankenstein.
Questi, spaventato dall’ossessione di Robert Walton di voler raggiungere ad ogni costo i propri obiettivi, decide di raccontargli la sua storia per metterlo in guardia dai pericoli che si corrono quando si diventa schiavi di una sfrenata ambizione.
Victor Frankenstein racconta della sua infanzia e della sua adolescenza, della sua famiglia e dei suoi studi. Racconta della sua ossessione per la creazione e di come abbia dato vita al “mostro” che l’ha perseguitato per tutta la vita, togliendogli uno ad uno tutti gli affetti più cari.

La trama del libro è suggestiva e affascinante. Spesso assistiamo ad un racconto nel racconto, ma la lettura resta sempre agile e scorrevole. Sembra quasi, passatemi l’espressione, un sistema di scatole cinesi: le lettere di Robert Walton fanno da cornice alla storia che Victor Frankenstein racconta in prima persona, ma ad un certo punto è la Creatura stessa a prendere la parola e a narrare le sue esperienze di vita, raccontandoci anche la storia della famiglia francese che ha conosciuto e alla quale si è affezionata, storia che non ha nulla a che vedere comunque con il racconto principale del romanzo.

Spesso nella critica moderna si è voluto dare una connotazione scientifica e di condanna morale alla ricerca estrema, ma il romanzo di Mary Shelley è semplicemente un romanzo che indaga le passioni umane: la solitudine, la paura del diverso, il desiderio di essere amati e accettati dagli altri, la voglia di far parte della società.

“Frankenstein” è un romanzo romantico che presenta elementi gotici. Numerose sono le citazioni di versi di P.B. Shelley, William Wordsworth, Samuel Taylor Coleridge.
E’ evidente inoltre che Mary Shelley abbia letto i romanzi gotici della Radcliffe, di Matthew Gregory Lewis, di William Beckford e da questi sia stata influenzata traendone ispirazione.

“Frankenstein” è il moderno Prometeo, come recita il titolo originale dello stesso romanzo (Frankenstein, or the modern Prometheus).
Il mito di Prometeo, colui che rubò il fuoco per donarlo agli uomini suscitando così l’ira di Zeus, era un tema caro alla letteratura romantica.
Lo stesso P.B. Shelley scrisse un dramma lirico in versi su questo eroe ribelle ed indomito. Ma mentre il “Prometeo liberato” (Prometheus Unbound) di P.B. Shelley è un eroe positivo che porta il bene e l’amore tra gli uomini, il Prometeo di Mary Shelley porta solo odio e violenza.

Quando la Creatura racconta della sua solitudine, di come sola osservi di nascosto la vita degli altri, impossibilitata a partecipare alla loro felicità “che io non ero fatto per godere del piacere”, viene spontaneo richiamare alla mente alcuni versi del Leopardi in cui egli esprime tutta la sua lacerazione per non poter partecipare alle gioie della vita, dell’amore e della gioventù che a lui solo sono precluse.

La trasposizione cinematografica del 1994, diretta da Kennet Branagh in cui Robert De Niro recita nel ruolo della Creatura, si avvicina forse più di altre alla storia originale, ma anche’essa presenta sempre moltissime differenze più o meno evidenti con il testo originale di Mary Shelley.

Mi sono avvicinata alla lettura del libro in maniera piuttosto scettica poiché, lo ammetto, non sono una particolare estimatrice dell’immagine “popolare” di Frankenstein.
Il romanzo invece si è rivelato una piacevolissima sorpresa, “Frankenstein” di Mary Shelley è un classico tutto da riscoprire, assolutamente da leggere.