domenica 25 novembre 2012

“Lettera sulla felicità” di Epicuro


Epicuro nacque nel 341 a.C. a Samo e morì ad Atene nel 271 a.C. dove fondò una scuola, il Giardino, aperta anche alle donne e agli schiavi. L’epicureismo fu una dottrina molto diffusa dal IV secolo a.C. fino al II secolo d.C. Subì un rapido declino in quanto avversato dai Padri della Chiesa, ma fu rivalutato nuovamente in seguito in epoca Umanistica, durante il Rinascimento ed il periodo dell’Illuminismo.
Fu autore di numerosi scritti che sono andati in parte perduti e di cui restano solo alcuni frammenti. Sono giunte però tre epistole riportate da Diogene Laerzio: la “Lettera ad Erodoto”, la “Lettera a Meneceo” e la “Lettera a Pitocle”.

Proprio la “Lettera a Meneceo” conosciuta anche come “Lettera sulla felicità” viene riproposta da Einaudi con testo greco a fronte nella traduzione di Angelo Pellegrino (70 pagine – prezzo € 8,00). Nel volume ritroviamo inoltre le “Massime capitali”, il “Gnomologium Vaticanum Epicureum” e la “Vita di Epicuro” scritta da Diogene Laerzio.

Perché leggere questo libro? Direi soprattutto per riscoprire e comprendere meglio il pensiero di un filosofo che nel corso dei secoli è stato frainteso, odiato ed equivocato.
E perché no? Forse la dottrina epicurea potrebbe aiutarci a vivere più tranquillamente la vita di tutti i giorni…a conoscerci meglio, ad essere più felici, ad imparare ad accettare i nostri limiti, a non desiderare l’impossibile, ad allontanarci da tutto ciò che ci crea ansia, a prendere le distanze da tutto ciò che è superfluo e che non abbia come fine ultimo la nostra serenità.

Perché come recitano le prime righe dell’introduzione scritta dallo stesso Angelo Pellegrino:

“Epicuro e la giustezza del piacere”
Un pensiero per la vita, solo per la vita.
Un filosofo veramente amico che da ventitre secoli non cessa di dirci che non può esistere autentica felicità senza il piacere.
Un pensiero che, contrariamente a tanti altri, non ha mai fatto e non può fare male a nessuno, che inviata ad amare se stessi e soprattutto a rispettarsi, azione primaria per non danneggiare i propri simili.

Davvero interessante poi la seconda parte dell’introduzione “Fortuna d’una traduzione” in cui Angelo Pellegrino ci racconta la nascita del suo progetto, la storia e la fortuna editoriale della prima edizione della sua traduzione, nelle edizioni dei volumetti da 1000 lire, e del suo amore per Epicuro e la dottrina epicurea.

da “Lettera sulla felicità”

Meneceo,
Mai si è troppo giovani, o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’animo nostro (…) Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c’è tutto abbiamo.

da “Massime capitali”

VIII - Di per sé nessun piacere è male, ma bisogna stare attenti a certi modi di procurarlo, che arrecano più tormenti che piacere.

XVII – Il giusto è un tranquillo, l’ingiusto un agitatore perenne.

XXVII – Il bene più grande che la conoscenza ci offre per la felicità di tutta la vita è acquistare l’amicizia.

XXXI – Diritto di natura significa patto fondato sull’utile reciproco, per non fare male agli altri e non riceverne.

Come definirei questo libro? Un libro da tenere a portata di mano, magari sul comodino e da rileggere ogni tanto…

mercoledì 14 novembre 2012

The Keats- Shelley House


Quello di oggi sarà un post un po’ diverso dal solito perché vorrei raccontarvi di una giornata davvero speciale. Spesso le emozioni forti non hanno voce e così ora mi ritrovo a fissare lo schermo cercando disperatamente di riuscire a trovare le parole più adatte per descrivere quel senso di agitazione misto a commozione ed ansia che mi hanno colta appena giunta al n. 26 di Piazza di Spagna.

Davanti a quel grande portone marrone, sovrastato dalla targa in marmo che recita “Keats Shelley Memorial House acquired and dedicated to the memory of the two poets by their admires in England and America”, la caotica Piazza di Spagna mi sembra ad un tratto un luogo silenzioso e solitario. Improvvisamente ci siamo solo io ed “il portone”: mentre lo apro chiedendomi quante volte Keats abbia fatto quello stesso gesto, comprendo che quella che sto per varcare non è semplicemente la soglia di una casa, ma la soglia del tempo stesso. Mentre salgo le strette scale di marmo bianco, circondata dalle figure dei personaggi del romanticismo inglese, cresce l’emozione al pensiero che sto camminando dove personaggi quali Byron, Shelley, Severn hanno camminato due secoli fa e sono sempre più affascinata dall’idea che di lì a pochissimo attraverserò quelle stesse stanze dove ha trascorso gli ultimi mesi della sua vita uno dei poeti da me più amati, John Keats.



Al primo piano, alla biglietteria, mi accoglie una ragazza inglese molto gentile che, in un italiano stentato, mi consegna il ticket e mi accompagna in una saletta adiacente dove posso vedere un interessante video della durata di una quindicina di minuti, tutto rigorosamente in inglese, sulle vite di Byron, Keats e Shelley e sulla storia della Memorial House.



La Keats-Shelley House è, come dice il nome stesso, una “casa museo”. Non essendo su suolo britannico non può ricevere sovvenzioni pubbliche dal Regno Unito. Per sopravvivere pertanto si affida alla generosità dei suoi sostenitori, agli ingressi (il biglietto è davvero economico, costa solo € 4,50) ed alla vendita di alcuni articoli per la maggior parte libri e gadget di notevole qualità venduti a prezzi veramente congrui.

Finito il filmato è giunta l’ora di affrontare la salita degli ultimi gradini per entrare nel cuore stesso della casa! La prima stanza è una stanza immensa, una vera e propria biblioteca, con le pareti di legno scuro ricoperte interamente dai libri. Il museo ospita una delle più importanti biblioteche della letteratura romantica oltre ad un’esclusiva collezione di manoscritti quadri ed oggetti memorabili. Tutto, dall’arredamento ai tendaggi, è curato alla perfezione sin nei minimi particolari. Qui possiamo ammirare un ritratto di Percy Bysshe Shelley mentre compone “ Il Prometeo liberato” alle Terme di Caracalla, un bellissimo dipinto di Joseph Severn eseguito nel 1845. Da questa sala si accede ad una stanza più piccola dove sono conservati oggetti legati a Byron, a Shelley e ai membri del loro circolo. Da questo ambiente che in realtà all’epoca era utilizzato dalla padrona di casa, la signora Angeletti, come cucina si accede ad una deliziosa piccola terrazza che si affaccia su Trinità dei Monti. E qui di nuovo il batticuore pensando che quasi due secoli prima Keats osservava quello stesso panorama che sto ammirando io! Sempre dal salone principale si accede ad altre due stanze: la prima che incontriamo è la stanza di Severn anch’essa piena di manoscritti, miniature, reliquie e prime edizioni di libri, tra cui una copia della prima edizione dell’Endymion di John Keats. Dalla stanza di Severn si accede direttamente alla stanza di Keats, dove il poeta spirò il 23 febbraio dell’anno 1821. Che emozione! La finestra della stanza dà su Piazza di Spagna e viene spontaneo chiedersi quante volte Keats seduto allo scrittoio abbia osservato la gente in strada, quante volte abbia sospirato immaginando magari di poter un giorno passeggiare in quella stessa piazza e per le altre strade della città eterna con la sua amata Fanny Brawne…purtroppo ogni speranza, ogni sogno gli sarà precluso, la morte lo coglierà, infatti, a soli 25 anni.

Questa la descrizione della stanza che si può leggere nella guida del museo che si può acquistare a € 3,50 direttamente alla biglietteria sia in italiano che in inglese:

Secondo la legge vaticana, dopo la morte di Keats tutto quanto era contenuto in questa stanza, incluso il letto e le tende, doveva essere bruciato. Si riteneva allora, erroneamente, che questo avrebbe impedito la diffusione dell’infezione. Il caminetto tuttavia, è originale ed è qui che Joseph Severn riscaldava il cibo per Keasts. I rumori che Keats poteva udire dal suo letto sono simili a quelli che sentiamo oggi – l’acqua che scorre nella Barcaccia o lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli sui sampietrini.
L’ultima acquisizione di rilievo alla collezione del Museo è del 2003 (centenario della fondazione della Keats-Shelley Memorial Association): è il letto collocato nella stanza, che risale al 1820 circa, in noce italiana, di forma semplice ma armoniosa, un classico letto “a barca”.

All’interno di una teca nella stanza di Keats è conservata la lettera che Severn scrisse a Charles Brown il giorno dopo la sepoltura di Keats nella quale ricorda gli ultimi momenti del poeta:

“Se n’è andato – è morto nel modo più tranquillo… il 23 (venerdì) alle quattro e mezzo si approssimò la morte – “Severn – S – tirami su perché sto morendo – morirò facilmente – non ti spaventare – grazie a Dio ci siamo”. – Lo tirai su tra le mie braccia, e il catarro sembrava ribollirgli nella gola – e andò aumentando fino alle 11 di notte, quando gradualmente scivolò nella morte – così quietamente che pensai dormisse…”

Si è conclusa così la visita ad uno dei musei più emozionanti che io abbia mai visitato, un’esperienza bellissima e commovente. Se amate ed adorate Keats quanto me sarà senza dubbio un’esperienza unica. Se amate la poesia romantica di Shelley, Byron e Keats dovete visitarlo assolutamente, non perdete l’occasione di entrare nella storia del romanticismo inglese e trascorre un’oretta con i suoi protagonisti.. .

Non sono mai stata molto brava con le parole, so bene di non essere stata in grado si trasmettervi nemmeno una piccolissima parte delle emozioni che ho provato, ma spero di essere riuscita almeno ad incuriosirvi un poco…
Per chi volesse dare un’occhiata virtuale alla Keats-Shelley House lascio qui il link della pagina ufficiale del museo.


A thing of beauty is a joy for ever:
Its loveliness increases; it will never
Pass into nothingness; but still will keep
A bower quiet for us, and a sleep
Full of sweet dreams, and health, and quiet breathing.
  

Una cosa bella è una gioia per sempre:
cresce di grazia; mai passerà
nel nulla; ma sempre terrà
una silente pergola per noi, e un sonno
pieno di dolci sogni, e salute, e quieto fiato.

 (da "Endymion" John Keats)

sabato 3 novembre 2012

“La donna in bianco” di Wilkie Collins


Wilkie Collins (1824 – 1889) è conosciuto come il padre del romanzo poliziesco grazie soprattutto alla sua capacità di narrare storie di delitti e di misteri avvalendosi di strutture narrative intricate e ben congegnate.
Il padre di Wilkie Collins, un noto pittore paesaggista dell’epoca, avrebbe voluto per il figlio una carriera ecclesiastica. Lo scrittore però, per nulla incline a seguire i desideri paterni, preferì intraprendere una carriera commerciale, dedicandosi nel frattempo a scrivere articoli e brevi racconti pubblicati con uno pseudonimo. In seguito, resosi conto di non essere tagliato al commercio del tè, decise d’accordo con il padre di dedicarsi allo studio della legge e riuscì ad essere ammesso ad esercitare la professione forense. Neppure questa però si rivelò essere la sua vera strada. Approdò così alla sua vera vocazione: la scrittura, grazie alla quale le conoscenze legali apprese trovarono una maggiore e creativa applicazione.
Un importante evento per la sua carriera letteraria fu la conoscenza di Dickens, avvenuta nel 1851, con il quale iniziò non solo una vera e sincera amicizia ma anche una collaborazione lavorativa. Wilkie Collins collaborò attivamente alle riviste di Dickens “Household Words” e “All the Year Round” e proprio su quest’ultima rivista il 26 novembre 1859 uscì la prima puntata de “La donna in bianco”. Fin dalla prima uscita il romanzo si rivelò un successo; non solo vi fu un indubbio aumento di tiratura della rivista ma a Londra si scatenò una vera e propria mania, insomma la pubblicazione del romanzo divenne un vero fenomeno commerciale. Le vicende narrate ne “La donna in bianco” divennero argomento di discussione per le strade e nei salotti; si arrivò persino a dedicare profumi alla misteriosa “dama” e ci furono addirittura abiti, balli e serate a tema dedicate a lei.
Il romanzo prende avvio dall’incontro di Mr Hartright, un insegnante di disegno, con una misteriosa donna vestita di bianco della quale solo più tardi si verrà a sapere che si chiama Anne Catherick e che è fuggita dal manicomio. Walter Hartright nel frattempo viene assunto per insegnare l’arte del disegno a due sorelle (solo da parte di madre) Mariam Halcombe, donna intelligente ed energica, e Laura Fairle, donna angelica e delicata.
Non voglio anticipare nulla di più perché è un libro ricco di colpi di scena che si susseguono ripetutamente. “La donna in bianco” è un romanzo carico di suspense, non esiste un “io onnisciente” ma i fatti sono riportati di volta in volta dai vari personaggi come fossero testimonianze di un processo. Proprio attraverso i vari punti di vista dei protagonisti e dei testimoni dei fatti il lettore partecipa al gioco di ricostruzione del complotto ordito. Un complotto che vede protagonista un’eroina che, per affermare e rivendicare i propri diritti ereditari e sociali, è costretta ad opporsi ai pregiudizi ed alle leggi dell’epoca vittoriana oltre a combattere contro personaggi malvagi e pericolosi.
Non mancano inoltre gli elementi tipici della letteratura gotica come la misteriosa apparizione della donna vestita di bianco che potrebbe sembrare un’apparizione ultraterrena oltre alle atmosfere cupe ed alle situazioni inquietanti, dovute spesso alla capacità dell’autore di giocare sul “tema del doppio”.
Non è un romanzo brevissimo, sono circa 690 pagine, ma non fatevi spaventare dalla mole perché “La donna in bianco” è a tutti gli effetti un libro che si legge tutto d’un fiato grazie ad una trama avvincente e ad una scrittura coinvolgente che tiene il lettore incollato fino all’ultima pagina. Assolutamente consigliata la lettura.

Bigliografia:
"La donna in bianco" di Wilkie Collins, 2012 Fazi Editore, introduzione di Paolo Ruffilli - traduzione Stefano Tummolini